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LVenture e l’ecosistema delle start up

Quando si dice start up si pensa al leggendario garage di Steve Jobs ma oggi le imprese nascenti hanno bisogno di un ecosistema più che di un garage – Il modello di Luigi Capello di LVenture che ha creato Luiss Enlabs con l’interessante centro della Stazione Termini di Roma che raccoglie le start up e le mette in relazione con l’università e gli investitori

LVenture e l’ecosistema delle start up

Apple e il garage di Steve Jobs. Da allora l’immagine della start up creata nello scantinato di casa è entrata con forza nell’immaginario collettivo. In qualche caso, come Apple, l’esperienza è risultata vincente, soprattutto nella Silicon Valley e dintorni. Il garage non è però la ricetta migliore. Per avere più probabilità di avere successo le start up hanno bisogno di un ecosistema in cui partecipino quante più persone possibili, dalle Università agli investitori. “Creare un ecosistema aumenta il tasso di successo delle start up, permette di crescere, fare sistema e creare lavoro, si moltiplicano i contatti e le opportunità”, afferma Luigi Capello che con la holding di partecipazioni LVenture Group per primo ha messo insieme in modo integrato nella stessa realtà un venture capital, un acceleratore di start up (Luiss Enlabs, in partnership con l’Università Luiss), e un vero e proprio ecosistema di relazioni e contatti. Dalle università, oltre alla Luiss ci sono per esempio La Sapienza  e il Politecnico di Torino, agli investitori e alle grandi corporation, passando per il supporto di una rete di advisor e partner. Al posto del garage, ci sono 2000 metri quadrati alla Stazione Termini di Roma, dove lavorano tutte le start up in cui LVenture ha investito. E non solo. LVenture  ospita anche realtà con cui non ha una vera e propria relazione d’affari ma che in qualche modo potrebbero beneficiare di rimanere qualche tempo immersi nell’”ecosistema”: o perché necessitano si essere ancora monitorate prima di un eventuale investimento, per esempio, o perché non sono ancora in grado di esprimere un team completo (la formula perseguita è che tutte le principali risorse umane necessarie debbano essere interne al team della start up per minimizzare i costi di avvio). L’idea è nata nel 2010 in un viaggio a San Francisco dove Capello, co-fondatore della principale associazione di Business Angel nel 2007 Italian Angels for Growth e un passato nei private equity e nelle banche di investimento, si rese conto che lì le start up erano tutte accelerate e che quello avrebbe potuto essere il modo per fare start up anche in Italia. Da oltreoceano alla Stazione Termini di Roma il passo non è proprio breve ma si è rivelato una scelta interessante in Italia: nella Capitale c’è meno concorrenza  e più opportunità di talenti grazie alla più grande popolazione universitaria d’Europa; allo stesso tempo la stazione offre un crocevia inesauribile di contatti.

Una formula per creare sinergie di creatività, di idee ma anche di relazioni ed opportunità. Ecco che così il successo della start up Atooma- a touch of magic, che ha sviluppato un’App inclusa nel nuovo orologio-cellulare da polso di Samsung, si è tradotto in una vetrina e in opportunità per le altre start up che condividono la postazione alla Stazione Termini:  per Samsung oggi il treno per  la Silicon valley italiana passa dalla stazione Termini. “Sono venuti in Italia per comprare una tecnologia e hanno visitato anche tutte le altre start up dell’acceleratore”, ha raccontato Capello a margine della Small cap conference organizzata da Borsa Italiana. E la logica riguarda la maggior parte delle altre grandi corporation, potenziali clienti delle start up, che vanno in pochi grandi centri in cerca di nuove idee e imprese. Ecco perché LVenture punta ad aumentare ulteriormente il numero di start up accolte a Termini ed è per questo in cerca di ulteriori spazi (nell’ultima selezione su 80 gruppi già preselezionati ne sono stati presi solo sei, più spazio permetterà di ampliare il numero delle entrate).

In altre parole, tante piccole start up ma con il network di un colosso multinazionale.“Da noi ogni piccolo centro vuole aprire qualcosa – ha rilevato Capello – Ma le start up in realtà si fanno in pochi posti al mondo. Nel mondo digitale le corporation vanno per esempio a Berlino. In Germania è lì che nascono le start up. Seattle è nata perché dietro c’era la Boeing. In Italia per possono esserci al massimo 1-2 centri di start up”. D’altra parte, sono anche altre le differenze rispetto agli altri Paesi su cui si dovrebbe riflettere quando si parla di sostegno alla crescita e all’occupazione. A livello mondiale il 40% circa delle risorse per questo settore viene da fonte pubblica,  in Irlanda l’agenzia governativa Enterprise Ireland, grazie ai fondi europei, ha un ufficio in ogni paese e attrae con benefici fiscali e finanziamenti. “Noi non chiediamo soldi al pubblico – afferma Capello – ma il procurement, ossia il ricorso alle start up per il 5%, per esempio, degli acquisti delle forniture delle pubbliche amministrazioni”.

D’altra parte oggi il mondo delle start up è in pieno fermento e incomincia a rappresentare l’ossatura di opportunità attorno ai quali i giovani (ma non solo) stanno riorganizzando energie e intelligenze per reagire alla crisi. Allo stesso tempo la tecnologia ha cambiato radicalmente lo scenario: nel digitale nel 2000 servivano 5 milioni di dollari per mettere su una start up,oggi circa 5mila euro. Oggi la costruzione del prodotto è più economica e internet ha reso più veloce acquisire clienti in tutte le parti del mondo.

Allo stesso tempo internet sta costringendo a cambiare i business model, stravolgendo i vecchi modelli di business e aprendo ampi spazi di conquista. LVenture, che guarda ad imprese italiane a crescita veloce (fast growing companies) nel mondo digitale, interviene nella prima fase di vita delle start up, chiamata la valle della morte, attraverso due tipi di interventi: il micro seed financing, ossia investimenti limitati (circa 60mila euro) in start up che entrano nel programma di accelerazione; il seed financing, ossia investimenti  (circa 200mila euro) in  start up che sono in una fase più avanzata, scelte soprattutto tra quelle che hanno partecipato all’acceleratore. Come controparte dell’investimento LVenture rileva una quota minoritaria della start up. L’obiettivo è far crescere le start up in modo che possano trovare investitori più importanti, come i business angel o i venture capital che stanziano investimenti maggiori, per arrivare poi fino ai private equity e alla Borsa. 

Le prime exit (ossia l’uscita da parte del venture capital dall’investimento che per definizione è temporaneo) sono previste fra 2-3 anni, ossia ormai a 4-5 anni dall’inizio della nascita del progetto. “Abbiamo colloqui continui con tutti i venture capital del mondo – racconta capello – si stanno accorgendo che in Italia la qualità è alta. Non si tratta esclusivamente di nuove tecnologie ma anche di nuovi modelli di business su business già esistenti. Quando i venture capital ci chiamano da New York ci chiedono start up nei settori del cibo, del design e della moda”. A oggi LVenture, che è quotata in Borsa all’Mta e ha quasi 3mila azionisti ) ha raccolto 5 milioni di euro con il prossimo obiettivo di arrivare a 10 milioni di fundraising e ha investito 1,8 milioni nelle start up (4 milioni con gli altri investitori) in 18 partecipazioni, creando più di 150 posti di lavoro. L’obiettivo atteso di tasso interno di rendimento (Irr) è del 30%. Al momento l’80% delle start up fanno già fundraising, ossia raccolgono da sé i soldi per andare avanti, il che li rende appetibili per altri investitori. Certo oggi c’è già chi teme una bolla delle start up. Ma Capello rassicura:“Non la vedo ancora – ha detto – in Italia non c’è una bolla dei prezzi, sono tante ma sono numeri ancora esigui. Siamo ancora in pochi rispetto ad altri Paesi”.

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