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Lupotto: sui mercati c’è ancora molta prudenza

Nel report 148 della società di consulenza, nonostante i segnali positivi dell’ultima settimana, continua a mancare la fiducia per gli acquisti sui mercati azionari – Pesano la situazione del comparto energetico e le elezioni americane – Sulla Borsa Italiana incide anche l’asimmetria nel settore bancario – Il dibattito sul Brexit indebolisce la Sterlina.

Lupotto: sui mercati c’è ancora molta prudenza

La settimana appena conclusa è stata la prima dall’inizio dell’anno in cui i mercati azionari hanno dato un qualche segnale di pausa della tendenza negativa assunta da inizio 2016. Lo afferma l’ultimo report di Lupotto & Partners, la società di consulenza finanziaria indipendente.

La situazione tecnica è però deteriorata su tutti gli indici per cui serve ben altro per far tornare fiducia negli acquisti. Osserviamo il principale indice mondiale, l’S&P 500 americano. L’indice ha chiuso venerdì scorso a 1917,78 punti.

La configurazione tecnica è inequivocabilmente ancora ribassista: si sono formati massimi e minimi relativi decrescenti, le medie mobili sono tutte orientate al ribasso. L’oscillatore MACD suggerisce però ora una possibilità di recupero fin verso area 2000, dove l’indice si scontrerà con le medie mobili a 100 e 200 giorni e potrebbe venire nuovamente respinto verso il basso. Saranno necessari fatti nuovi ed esogeni per modificare la situazione, per esempio un vero accordo mondiale per il taglio della produzione petrolifera: finora abbiamo visto tentativi più di facciata che di sostanza volti peraltro a congelare le quote odierne più che a ridurle. Oppure la FED potrebbe per qualche tempo riporre nel cassetto il programma di rialzo dei tassi.

L’anno elettorale in USA non aiuta gli investitori a prendere posizioni decise, sappiamo che statisticamente è un anno debole per i mercati, è aumentata l’incertezza sull’esito delle primarie e il livello del dibattito è a livelli molto bassi. Invito a leggere un commento di Alan Friedman che è scaricabile cliccando qui.

Nella newsletter 146 sugli scenari 2016 ipotizzavamo sulla base del calcolo del P/E delle aziende componenti l’indice un livello di 1700 punti in cui potrebbero tornare i compratori in maniera decisa. Questa ipotesi alla luce dell’andamento del primo bimestre assume una maggiore probabilità. Un cambio di scenario come già accennato presuppone che a causa di elementi che per ora non si sono manifestati, l’indice perfori con forza le medie mobili e la resistenza in area 2100.

Che, del resto, il principale problema per l’indice USA sia dato dai bassi prezzi dell’energia è confermato dal confronto sugli indici di volatilità implicita del mercato (il famoso VIX) e l’indice di volatilità implicita riferito al solo settore energetico. 

Ad agosto 2015, quando l’indice americano crollò a causa delle notizie provenienti dalla Cina su una crescita inferiore alle attese e sulla svalutazione del Renmimbi, entrambi gli indici di volatilità fecero un forte picco. A inizio febbraio l’indice di volatilità del settore energia è tornato ai livelli di Agosto, ma questa volta non è stato seguito dall’indice VIX che è cresciuto in maniera molto meno pronunciata. Adesso la differenza fra i due indici è di circa 16 punti, sintomo di un forte malessere del Settore Energia USA.

Ricordiamo che più l’indice di volatilità è alto, più il mercato manifesta nervosismo su quel mercato.

Sul fronte della Borsa Italiana, la peggiore da inizio 2016, pesa parecchio l’asimmetria che si è andata creando nel settore bancario dopo l’entrata in vigore il 1/1 delle norme sul bail-in, denunciata proprio dall’Italia in sede europea e oggetto di un approfondito articolo sul Sole 24 Ore di domenica 21/2 di cui riportiamo qui sotto un passaggio:

“Mentre in Italia la legislazione fallimentare è rimasta sempre la stessa, altre nazioni hanno modificato arbitrariamente le regole di base prima che il bail-in entrasse in vigore. Il modello di riferimento per gran parte dei Paesi europei (Italia esclusa) è diventato quello già adottato in Inghilterra, Svizzera e Stati Uniti: porre al vertice della società operativa bancaria (quella che gestisce la rete degli sportelli) una holding company che ne detiene il capitale. In Inghilterra, le Holding possono così giocare un ruolo chiave nel complesso processo di risoluzione: l’idea è che quando una grande banca fallisce e il suo capitale viene azzerato, i suoi obbligazionisti si fanno carico delle perdite per ricapitalizzare la banca e permetterle di continuare ad operare. In pratica, non solo si arginano così le legittime paure dei depositanti, ma si costruisce un percorso alternativo a quello previsto uguale per tutti nella direttiva del bail-in. Ecco dunque come i paesi forti hanno neutralizzato il rischio-insolvenza che sta invece logorando in Borsa le nostre banche. In questo schema “furbetto”, le banche emettono debito senior non garantito dalla Holding company, che trasferisce poi i fondi raccolti alla società operativa bancaria. La Holding in questo modo possiede il debito della banca, che può essere azzerato in caso di forti perdite improvvise che ne mettano a rischio il patrimonio. Nello stesso tempo, il debito senior emesso dalla banca rimane inviolato. La separazione tra holding e società operativa bancaria, con la prima che fa da garante ai correntisti e agli investitori della banca, ha creato insomma uno scudo protettivo non solo su azionisti e clienti, ma anche sulle quotazioni di Borsa.

L’auspicio del Sole 24 Ore è che si arrivi ad un periodo di sospensione delle norme sul bail-in per dare tempo a tutti i Paesi di organizzarsi.Nel frattempo è probabile che la volatilità continui.

Il dibattito su Brexit indebolisce Sterlina e obbligazioni in GBP

La settimana scorsa ha in parte chiarito le posizioni sul tema dell’uscita o meno del Regno Unito dall’Unione Europea. A Bruxelles, dopo 24 ore di accese trattative, i ventotto Paesi componenti hanno trovato un sofferto accordo sulla futura relazione della Gran Bretagna con l’Unione Europea. Subito dopo, il premier britannico David Cameron ha annunciato la data del referendum in cui i cittadini britannici dovranno pronunciarsi se rimanere nell’Unione o uscirne; sarà il 23 giugno. Allo stesso tempo, forte dell’accordo, Cameron si è pronunciato a favore del sì a restare, lasciando tuttavia libertà agli esponenti del suo partito e del suo governo di esprimere anche posizioni differenti, cosa che già è avvenuta con il ministro della Giustizia Michael Gove e con il notissimo sindaco di Londra Boris Johnson.

È quindi probabile un periodo di incertezza e di indecisione dei mercati che dovranno valutare impatti e probabilità di un’uscita. Al momento i sondaggi danno i SI e i NO molto vicini fra loro, ma si sa che fino all’ultimo momento queste competizioni sono assai incerte e alla fine spesso vince la resistenza al cambiamento, come quando i sondaggi davano per certo il SI all’uscita della Scozia dal Regno Unito e poi alla fine prevalsero le ragioni della permanenza.

In questa fase si è assistito negli ultimi due mesi ad un indebolimento abbastanza pronunciato della Sterlina inglese nei confronti dell’Euro: una prima resistenza ad un ulteriore indebolimento è in area 0,80 e una seconda attorno a 0,84 dove passa una trendline di lungo periodo che ha già arginato in diverse occasioni i movimenti di apprezzamento dell’EURO.

Sul fronte obbligazionario, i rendimenti delle obbligazioni Corporate in GBP hanno subito una impennata nelle ultime settimane, e lo spread di credito delle obbligazioni corporate Investment Grade in sterline negli ultimi 4 mesi è passato rapidamente da 150 a 200 bps.

E’ probabile che nei prossimi mesi il cambio EURO/GBP rimarrà volatile in un ampio range a seconda del sentiment sul risultato del referendum. L’allontanamento del cambio dai minimi di 0,70 è stato molto rapido e ora il cross è a 0,7725 il che, unito a rendimenti corporate più interessanti che in passato, potrebbe incoraggiare qualche acquisto da parte degli investitori con conseguente beneficio per la Sterlina nel breve periodo.

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