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L’intelligenza artificiale scongiurerà la stagnazione secolare?

Un saggio dell’economista industriale Fabio Menghini, edito da goWare e accompagnato da una riflessione di Giulio Sapelli sul declino delle classi medie, ripercorre tutte le tappe del dibattito sulla stagnazione secolare dell’economia con l’occhio alle nuove tecnologie e alla crescita delle diseguaglianze

L’intelligenza artificiale scongiurerà la stagnazione secolare?

Il punto su un dibattito incandescente 

È vero quello che scrive l’economista Richard J. Gordon che le innovazioni tecnologiche dell’ultimo mezzo secolo sono niente a paragone di quelle introdotte nella seconda rivoluzione industriale, come la lampadina, il motore a scoppio, il telefono, il cinematografo e tante altre? Secondo Peter Thiel, il consigliere tecnologico di Trump, è proprio così. Nel suo libro Da zero a uno ha scritto che nel nostro tempo ci attendevamo le macchine volanti e invece abbiamo avuto i 140 caratteri di Twitter e i like di Facebook.

Elon Musk non si è mai espresso sull’argomento, ma le sue iniziative sembrano proprio volte a riprendere il filo, interrotto, con la seconda rivoluzione industriale. Altri due economisti e pensatori di grande acume e fine ingegno come Tyler Cowen e Larry Summer, seppur di orientamento e formazione differente, sembrano concordare sul punto che siamo in una stagnazione ininterrotta e pervasiva. Sarà l’intelligenza artificiale a tirarci fuori dalla stagnazione secolare? Per ora siamo nel campo delle promesse e delle aspettative.

In un recente libro, un’ora di rapida e intensa lettura (La stagnazione secolare. Ipotesi a confronto), Fabio Menghini, già autore di due volumi sulla Disruptive innovation e sulle FANGS, sintetizza e discute, per il pubblico italiano al quale arrivano solo vaghi echi di questo dibattito importante, i punti salienti della discussione sulla stagnazione secolare passando in rassegna le analisi e le ipotesi dei maggiori protagonisti (Alvin Hansen, Robert J. Gordon, Larry Summers, Joseph Stiglitz, Paul Krugman) dei quali, tra l’altro, sono offerti in traduzione italiana, degli estratti significativi del loro pensiero. Un saggio di Giulio Sapelli sul declino delle classe medie, aggiunge un ulteriore elemento di riflessione al dibattito.

Qui di seguito è lo stesso autore, Fabio Menghini, a sintetizzare per il nostro blog il senso del suo libro. Buona lettura!

I temi aperti dal dibattito sulla stagnazione secolare 

Con il suo discorso alla conferenza annuale del Fondo Monetario Internazionale del 2013, Larry Summers, economista di fama mondiale e Segretario al Tesoro nell’amministrazione Clinton, fu in grado di scatenare un ampio dibattito tra economisti e policy makers. E lo fece rievocando un concetto antico, che notoriamente fa impallidire gli economisti: la stagnazione secolare.

Cinque anni sono ormai trascorsi e ci sono oggi i segni di una ripresa economica che sembra più solida di quelle precedenti, sebbene nessuno sia ancora in grado di scommettere su un ritorno ai trend di crescita anteriori alla crisi finanziaria del 2007.

Proprio per questo pensiamo sia oggi utile ricordare i punti del dibattito sui fattori che hanno generato la crisi economica recente menzionando sia quelli su cui si sono registrate significative convergenze che altri, a volte solo accennati, o rimasti sullo sfondo.

Il ruolo della tecnologia 

Pur tra pareri divergenti, sembra esserci una unanimità almeno su due aspetti principali:

1. Le attuali tecnologie, ICT oriented, hanno drammaticamente abbassato la soglia degli investimenti rispetto alle fasi precedenti di sviluppo economico, diminuendo la domanda di fondi da parte delle aziende e contribuendo in questo modo all’abbassamento del tasso di interesse di equilibrio.
2. Contemporaneamente tali tecnologie hanno sostituito in modo massiccio macchine al lavoro, producendo livelli di disoccupazione endemici. I benefici delle innovazioni, di cui in precedenza godeva l’essere umano nei suoi ruoli sia di produttore che di consumatore, sembrano oggi restare solo appannaggio di quest’ultimo. Ma un consumatore senza più lavoro e quindi con mezzi limitati di sostentamento, ha meno risorse per acquistare i beni prodotti. Il circolo appare vizioso e non vorremmo qui entrare nel merito di implicazioni più profonde, che riguardano la dignità dell’uomo, privato del suo lavoro.

La crescita delle disuguaglianze 

Con una minore quota assoluta di lavoratori occupati e una maggior percentuale di addetti a lavori poco qualificati e retribuiti si è incrementato il divario tra le classi sociali. Ed è svanito il sogno che a metà del secolo scorso sembrava poter offrire, grazie alla crescita economica sostenuta, benessere e standard di vita più elevati per tutti. L’incremento delle disuguaglianze ha portato con sé un aumento della propensione al risparmio e una conseguente diminuzione della propensione al consumo (più elevata nelle classi alla base della piramide sociale). Una più debole domanda aggregata è il caro prezzo che l’economia e la società stanno oggi pagando.

Il declino della popolazione 

Le proiezioni per i prossimi decenni non mostrano segni di inversione. Soprattutto nei paesi più industrializzati, l’intreccio tra invecchiamento e diminuzione delle nascite appare inesorabile e senza vie d’uscita. Almeno sino a quando si considererà questo fenomeno come un trend naturale e pertanto incontrastabile. Sembra tuttavia difficile trascurare il ruolo che su questa tendenza hanno giocato la crescita della disoccupazione, i redditi calanti, il crollo nella fiducia dei consumatori e la crescente incertezza sul futuro. Sotto certe condizioni quindi, l’andamento demografico declinante potrebbe essere reversibile.

L’influenza degli oligopoli 

I grandi player dell’era digitale si sono per lo più affermati attraverso la sistematica distruzione della old economy senza però essere in grado di generare, almeno per ora, nuove spinte propulsive all’economia. Il bilancio è passivo: il valore e l’occupazione generati dai vecchi settori non sono stati rimpiazzati da nuove, analoghe opportunità. E dove nuovo valore viene creato, il modo in cui è oggi distribuito appare assai più sperequato che nel passato.

A ciò si associano le problematiche descritte dalle tradizionali teorie sugli oligopoli, Ci riferiamo, ad esempio, alla gigantesca creazione di cassa solo parzialmente reinvestita e all’affermazione di entità globali in grado di superare qualsiasi tipo di confine nazionale e che sempre più si sentono libere di agire senza vincoli di leggi, regole, culture e sistemi fiscali locali.

Questi nuovi oligopoli infine, hanno il controllo di settori il cui profilo di beni pubblici è oggi sempre più evidente in quanto non si può ormai fare a meno di essi per lavorare e mantenere relazioni sociali.

La finanziarizzazione dell’economia 

I governi che hanno difficoltà ad agire in modo efficace nei confronti di player senza più patria né regole, hanno armi spuntate anche di fronte al predominio della finanza in azienda (short termism) e nei movimenti speculativi dei capitali su scala internazionale. Ciò che un tempo veniva definita come economia reale è qualcosa di sempre meno percepibile e su è cui arduo intervenire. Ne sanno qualcosa le imprese, strette tra le pressanti richieste degli analisti finanziari di creare “valore per gli azionisti” a scapito di piani di sviluppo a lungo termine e la disponibilità sempre minore delle banche di provvedere alle loro esigenze di finanziamento.

Il contesto geografico 

Sulla Stagnazione Secolare hanno dibattuto in prevalenza gli economisti occidentali e il loro sguardo si è soffermato principalmente sulle economie più sviluppate. Certamente anche altre aree del mondo hanno subito le conseguenze della crisi del 2007 e delle successive fasi recessive. Tuttavia esistono paesi come l’India o la Cina, che stanno ancora sperimentando livelli significativi di crescita. La Cina in particolare, oltre a proseguire nel suo sviluppo, sembra abbastanza lontana da fenomeni di short termism e si sta muovendo sui mercati internazionali con strategie che appaiono chiaramente orientate al lungo termine. Difficile immaginare oggi quali saranno le conseguenze di tale mismatch con le economie dei sistemi occidentali, ma sembrerebbe opportuno non sottovalutarlo.

Evoluzione delle relazioni sociali e organizzazione della società 

Il lavoro in azienda incorpora interazioni sociali che si sono profondamente modificate nel corso degli ultimi decenni. Si pensi ad esempio al numero crescente di lavoratori che non ha più un rapporto diretto con l’impresa per cui opera ma è impiegato da sub fornitori il cui ruolo principale è di affittare mano d’opera ad altre aziende. Ricordiamo inoltre che un numero crescente di persone lavora ormai da remoto. Cioè si reca solo saltuariamente in ufficio ed è collegato da casa, tramite computer e smartphone. Le tradizionali gerarchie aziendali si sono rarefatte, come pure qualsiasi tipo di interazione: dalle riunioni, ai processi formativi (a cui, via Internet, si può accedere, da soli, a qualsiasi ora del giorno o della notte). Ognuno dei tanti lavoratori “home office” ha a che fare principalmente con i propri task che gli vengono di volta in volta assegnati, naturalmente via posta elettronica. Che effetti tale organizzazione del lavoro possa avere sul progresso tecnico è probabilmente presto da comprendere. Certamente qualcuno inizia a chiedersi se queste forme saranno mai in grado e come di rimpiazzare, per esempio, lo spirito di appartenenza alla propria azienda e il relativo commitment. Oppure le riunioni per affrontare un dato problema e i cosiddetti brainstorming. Ma anche le chiacchiere in mensa, o davanti alla macchinetta del caffè. Che sono spesso state generatrici di nuove idee: per migliorare, adattare, prevenire e perché no, qualche volta innovare.

Stagnazione e democrazia 

Fuori dalle mura (come si è visto ormai virtuali) dell’azienda, tanti altri cambiamenti sono in atto e stanno configurando dei sistemi di organizzazione sociale completamente diversi dal passato. Pensiamo alle concentrazioni crescenti in grandi centri metropolitani con la conseguente marginalizzazione di aree sempre più estese, non solo di campagna, ma anche di quelli che erano stati i centri economici dello sviluppo del secolo scorso. Da cui progressivamente scompaiono competenze, abilità, forme aggregative e infrastrutture. Che avevano generato un importante valore per l’economia nel suo complesso e ancora potrebbero farlo se inserite in logiche di sviluppo pianificato. Infine uno sguardo alla nuova struttura sociale che sta emergendo dagli inizi di questo secolo: molto meno piatta, con disuguaglianze crescenti e masse di marginalità diffusa.

Vorremmo infine aggiungere che da tutto ciò emerge un ulteriore tema a cui qui ci limitiamo a dare solo un titolo esemplificativo: stagnazione e democrazia.

Contenuti del libro 

Summers, Hansen e la stagnazione secolare
di Fabio Menghini

La crescita economica degli Stati Uniti è finita? Un’innovazione vacillante affronta sei venti contrari
di Robert J. Gordon

Classi medie Dalla tecnologia alla “fine del mondo”
di Giulio Sapelli

eXtras 

La stagnazione secolare nelle economie aperte
di Gauti Eggertsson e Lawrence Summers

Riflessioni sull’ipotesi della nuova stagnazione secolare
di Lawrence Summer

Bolle, regolamenti e stagnazioni secolari
di Paul Krugman

Stagnazione secolare: fatti, cause e rimedi
di Paul Krugman

Dove dissento con Krugman sulla stagnazione secolare
di Lawrence Summers

Bibliografia

L’autore 

Fabio Menghini, economista industriale e dirigente d’azienda, insegna Strategia e Finanza nel Corso di Economia Finanziaria presso la Facoltà di Economia Giorgio Fuà di Ancona. È autore di numerose pubblicazioni tra cui: Disruptive Innovation: Economia e Cultura nell’era delle Start Up, Le FANGs, Industria 4.0 Imprese e distretti nella web economy, tutti editi da goWare.

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