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Linda Lanzillotta: “In Telecom di strategico c’è solo la rete: è interesse nazionale difenderla”

La vicepresidente (Pd) del Senato, Linda Lanzillotta spiega perchè ha chiesto al management di Telecom Italia e ai soci francesi di illustrare in Parlamento le loro intenzioni sul futuro di un gruppo che ha in sè un solo asset strategico – la rete – ma questo sì fondamentale, specie nell’era della digital global economy: è nell’interesse nazionale difenderla

Linda Lanzillotta: “In Telecom di strategico c’è solo la rete: è interesse nazionale difenderla”

La decisione di giovedi del cda di Telecom Italia di convertire in azioni di risparmio in ordinarie conferma che intorno alla piuù grande azienda italiana di tlc si sta svolgendo l’ennesima battaglia di quella che potremmo definire la guerra dei vent’anni per conquistarne il controllo. Una guerra in cui il capitalismo italiano mostra, purtroppo, ancora una volta la sua fragilità e la sua mancanza di visione.

Delle grandi aziende di tlc che operano nel nostro Paese solo Telecom è ancora (o almeno così pare) a controllo italiano.
Il Governo ha dichiarato che Telecom Italia è un’azienda strategica per il Paese. Da qui è nata la mia richiesta, avanzata l’altro giorno in Senato, di audire in Parlamento i nuovi soci e il management attuale che nel cda di ieri è risultato, almeno nella persona del suo Presidente, molto attivo.

Ora le istituzioni italiane, Governo e Parlamento, devono, a mio avviso, innanzi tutto chiarire a se stesse in che cosa consista davvero l’interesse strategico nazionale che questa grande azienda racchiude. Certo, Telecom è tra le prime società quotate nel nostro mercato azionario, occupa migliaia di persone molte delle quali con skills professionali e tecnologici di alto livello, opera nel settore che trainerà il nostro futuro e da cui dipende ormai la crescita dell’economia e della società in tutti i settori. Ma tutto questo non vale a definirla strategica in un senso giuridicamente compatibile con le regole di un mercato europeo delle telecomunicazioni che è completamente liberalizzato. Questi elementi, pur importantissimi, non valgono però a legittimare un’interferenza pubblica nel suo assetto azionario o nelle sue modalità operative.

Da questo punto di vista l’unico asset strategicamente rilevante può essere la rete. Non solo la rete sparkle (di cui sempre si parla) riservata alle comunicazioni tra Stati di cui va ovviamente garantita la sicurezza da interferenze esterne, ma anche la rete ordinaria di cui, proprio a tutela della concorrenza che all’Europa sta a cuore, va assicurata la assoluta neutralità tra operatori e l’accesso da parte di tutti i produttori di contenuti. Quest’ultimo aspetto è stato forse sin qui sottovalutato. Infatti, l’accessibilità e neutralità della rete non riguarda più solo i gestori di tlc ma sempre di più condiziona la distribuzione dei contenuti. Ciò sta determinando la tendenza, ormai evidente in tutta Europa, a integrare rete e contenuti perchè è “over the top” che si crea valore.

Bene, alla vigilia dell’avvio del mercato unico digitale e del TTIP, controllare la rete significa controllare la distribuzione dei contenuti. Rischiamo, rischiano le nostre imprese (e già siamo su questo punto in grave ritardo e in grande difficoltà), di scomparire dal mercato digitale che, in prospettiva, sarà la più grande rete commerciale di vendita dei prodotti, di attrazione turistica, di accesso all’informazione e alla cultura.

E’ dunque legittimo che il Paese comprenda, ora e non tra dieci anni per versare inutili lacrime di coccodrillo, come questi interessi strategici si possano salvaguardare. Occorre quindi comprendere bene quali siano le intenzioni dei nuovi azionisti per quanto riguarda gli investimenti sulla banda larga, investimenti che fino ad ora una Telecom troppo indebitata ha potuto fare solo grazie a risorse pubbliche (peraltro non adeguatamente bilanciate da obblighi di accessibilità della rete). Bisogna capire i nuovi piani industriali per verificare, ad esempio, se tra gli obiettivi non ci sia la integrazione della filiera produttiva e non ci sia quindi il rischio di un’estensione dell’area del monopolio dalla rete ai contenuti. O forse, come si potrebbe maliziosamente intravedere nelle caratteristiche dei nuovi soci francesi, se non ci sia piuttosto il rischio della nascita di un nuovo duopolio. Il punto è, in altre parole, se si possa contare ancora solo su Telecom per difendere, nel contesto europeo, gli interessi nazionali nell’era della digital global economy.
Per questo le audizioni pubbliche di alcuni protagonisti sarebbe utile farle e farle in fretta.

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