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Libia, la crisi divampa e si ripercuote sul settore energetico: i blocchi ai pozzi fanno impennare il petrolio

Cresce il malcontento in Libia, scatenato da crisi economica, stallo politico e mancanza di elettricità. Di questa paralisi ne sta facendo le spese anche il settore energetico

Libia, la crisi divampa e si ripercuote sul settore energetico: i blocchi ai pozzi fanno impennare il petrolio

Torna a crescere la tensione in Libia: divampano le proteste contro la crisi economica (ci sono code per comprare il pane e persino per fare rifornimenti di benzina) e il blocco delle esportazioni di petrolio. Una protesta contro le pessime condizioni di vita, con i prezzi che aumentano e il paradosso di ritrovarsi senza elettricità nel Paese del petrolio, fino anche a 18 ore al giorno con temperature che arrivano a 45 gradi. A Tobruk, nell’Est del Paese, i manifestanti hanno assaltato la sede del parlamento nazionale, dando fuoco a numerosi arredi e bruciando documenti ufficiali della camera. Le fiamme hanno distrutto molti dei locali. Anche a Misurata, la città costiera delle milizie più agguerrite, e a Sabha, nel Fezzan desertico, sono stati devastati palazzi amministrativi. Più pacifiche invece le manifestazioni a Tripoli, dove però nella notte ci sono state sparatorie intorno alla sede del governo, a Sirte e a Bengasi.

Non c’è solo la guerra Russia-Ucraina, si combatte anche in altre parti del mondo con guerre o guerriglie che in alcuni casi vanno avanti da anni, come in Libia: il Paese più ricco di petrolio in Africa è senza pace dal 2011, dalla caduta di Gheddafi, immersa nel caos dall’inizio della rivolta messa in moto dalle cosiddette “primavere arabe”.

La rabbia dei cittadini è rivolta contro la classe politica, giudicata incapace di dare risposte concrete ai problemi quotidiani, e di convocare nuove elezioni, dopo l’annullamento di quelle previste lo scorso 24 dicembre. Da mesi c’è un braccio di ferro tra due governi che da marzo si contendono il potere: uno con sede a Tripoli e guidato da Abdel Amid Dbeibah dal 2021 e un altro guidato da Fathi Bashagha e sostenuto dal maresciallo Khalifa Haftar, l’uomo della Cirenaica.

I blocchi ai pozzi di petrolio fanno salire i prezzi

La crisi locale però non poteva non avere ricadute anche sul settore energetico: la National Oil Corporation è stata costretta a dichiarare lo stato di forza maggiore nei porti di Es Sider e Ras Lanuf e nel giacimento petrolifero di El Feel, a causa dei continui blocchi della produzione e dei porti, che hanno gravemente paralizzato le esportazioni di petrolio della Libia, provocando l’impennata delle quotazioni del greggio.

Ad aprile è iniziato un blocco di due importanti terminal di esportazione petrolifera e di diversi giacimenti. Per l’ente nazionale, tale blocco finora ha comportato perdite per 3,5 miliardi di dollari, mentre l’esportazione è calata di 865 mila barili al giorno.

Il premier Dbeibah sulla crisi in Libia: “Si vada a voto”

“È assolutamente fondamentale mantenere la calma e che la leadership libica si dimostri responsabile”. Così, su Twitter, l’imprenditore Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, primo ministro della Libia ad interim, ha reagito dopo l’assalto al parlamento libico a Tobruk – contestato dai manifestanti come “ladro” e “traditore” – ha detto di essere pronto a “unire la sua voce “ai manifestanti in tutto il Paese: tutti gli organi politici devono dimettersi, compreso il governo, e non c’è modo per farlo se non attraverso le elezioni”.

Ancora una volta il Paese nordafricano sembra tornare sull’orlo della guerra civile.

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