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Letta, non cadere nella trappola della spesa facile

Per il nuovo governo serve un programma selettivo ma efficace tra emergenza e riforme – L’essenziale è che il governo che sta per nascere non ceda all’illusione della spesa facile come panacea di tutti i mali – Occorre invece un piano di privatizzazioni per finanziare investimenti e dare credito alle imprese – L’urgenza di rifinanziare la Cassa integrazione

Letta, non cadere nella trappola della spesa facile

Enrico Letta è apparso consapevole delle difficoltà da superare per portare a buon fine l’incarico affidatogli dal Presidente della Repubblica ed ancor più degli enormi ostacoli che il nuovo Governo, una volta insediatosi, dovrà affrontare. E questa consapevolezza appare un buon viatico per assegnare ragionevoli prospettive di successo al “Governo di servizio” che sta per nascere. Infatti il primo rischio da evitare è quello di rincorrere alla rinfusa le tante istanze che salgono dalla società e di cui si fanno interpreti le varie forze politiche: in un momento di crisi così acuta la tentazione potrebbe essere quella di inseguire l’emergenza con misure tampone che, come giustamente ha osservato Tito Boeri su Repubblica, darebbero solo l’impressione di alleviare il male, ma che in realtà non farebbero altro che spingerci ancora più giù nella spirale recessiva.

Sono troppe le domande che salgono dal Paese volte a spingere il Governo ad allargare i cordoni della borsa nella convinzione che la spesa pubblica possa creare posti di lavoro, aumentare la domanda interna, migliorare la competitività delle imprese. Se si sommano tutte le promesse contenute nei programmi dei due partiti maggiori che dovrebbero costituire la maggioranza (dalla restituzione dell’IMU, al rifinanziamento della Cassa integrazione, dalla riduzione delle tasse sul lavoro, alla riduzione dell’IRAP) si arriva ad almeno 20 miliardi da  trovare subito in un bilancio che è già al limite e che comunque incorpora l’aumento dell’IVA a luglio e quella della TARSU a fine anno. Dove trovare questi soldi? nessuno lo dice con chiarezza limitandosi a parlare genericamente di tagli ai costi della politica e di lotta all’evasione.

E’ evidente quindi che il programma del Governo Letta non può  essere una semplice sommatoria di tutte le richieste dei partiti che lo sosterranno, ma deve basarsi su una più lucida analisi di quello che è necessario fare per rimettere in moto da crescita che peraltro in Italia manca da oltre un decennio. In questo senso il lavoro fatto dai saggi incaricati dal Presidente Napolitano può essere un utile  traccia culturale, oltre che operativa. In primo luogo emerge chiaramente che le due parti del lavoro dei saggi, quella istituzionale e quella economica sono in realtà strettamente intrecciate: infatti è proprio il non  funzionamento del nostro sistema politico e amministrativo il primo e più importante ostacolo alla crescita del Paese. Di questo Letta sembra essere pienamente convinto tanto che nelle sue prime dichiarazioni ha posto una particolare enfasi proprio sulle necessarie riforme costituzionali e sul funzionamento della Pubblica Amministrazione.

Ma il documento economico dei saggi chiarisce alcuni altri concetti fondamentali:1) lo sviluppo ed i posti di lavoro non sono fatti dai Governi, che però hanno un ruolo fondamentale per creare i presupposti per la crescita; 2) la tutela dei risparmiatori che possiedono i 2/3 del debito pubblico italiano è fondamentale non solo dal punto di vista etico (non sarebbe giusto vanificare il risparmio degli italiani) ma anche conveniente dal punto di vista economico in quanto abbassando il rischio paese potremmo beneficiare di tassi d’interesse più bassi e quindi riattivare la normalità del credito a famiglie ed imprese;3) la spesa pubblica e le tasse hanno già raggiunto i livelli massimi possibili e quindi è necessario continuare ad operare con la spending review e con la razionalizzazione della spesa pubblica per creare spazi alla riduzione delle tasse. 

Riassumendo si può dire che il documento dei saggi individua una strada sicura, anche se si avvisa che non sarà in grado di dare risultati immediati, per invertire le tendenze di fondo dell’economia italiana.  Essa passa per importanti riforme istituzionali e dei mercati a cominciare da quello del lavoro per arrivare alla concorrenza in molti settori chiave come quelli dei servizi. In questo modo, infatti si può ristabilire la fiducia e quindi stimolare un flusso di investimenti sia dall’Italia che dall’estero, senza i quali non potrà esserci nessuna ripresa duratura dello sviluppo. Sotto questo aspetto il documento appare un po’ reticente sulle misure che potrebbero accorciare i tempi che passano tra il varo delle riforme e i loro effetti sull’economia. Infatti una accelerazione nella vendita di beni pubblici, magari attraverso la costituzione di un grande fondo a cui passare la proprietà di immobili e partecipazioni azionarie pubbliche, potrebbe fornire quella massa di denari da utilizzare non per aumentare la spesa corrente, ma per finanziare alcuni investimenti o ancor meglio per aumentare il capitale dei fondi di assicurazione sui rischi di credito già esistenti o da creare ex novo, che avrebbero l’effetto immediato di aumentare il credito alle imprese e quindi togliere da subito almeno uno degli ostacoli alla ripresa e cioè la grave stretta creditizia in corso. Del resto bisogna dirlo chiaro anche se questo non piacerà a Grillo: senza ripristinare un corretto funzionamento del sistema bancario non saremo in grado di superare la crisi delle nostre imprese. In questo ci può aiutare l’Europa non tanto allentando il rigore del bilancio pubblico, ma portando a compimento l’unificazione bancaria e consentendo il finanziamento di alcuni investimenti ai paesi virtuosi, quelli cioè che stanno al di sotto del 3% nel deficit di bilancio come appunto l’Italia.

Naturalmente ci sono anche alcune misure di emergenza che si devono prendere come quella sul rifinanziamento della Cassa integrazione, ma bisogna essere consapevoli che tutto non si può fare e che  bisogna darsi delle priorità. Nella Germania uscita distrutta  dalla guerra, i tedeschi decisero che bisognava dare la priorità alla ricostruzione delle fabbriche e che in un secondo momento si sarebbe pensato a ricostruire le case. Analogamente noi dobbiamo concentrare gli sforzi nel rimettere in moto da macchina produttiva avendo come guida la necessità di rafforzare ancora la ”   credibilità” che abbiamo iniziato a recuperare con il Governo Monti e senza la quale nessuna politica di sviluppo potrà concretizzarsi. Purtroppo molti esponenti politici, a cominciare da Cicchitto da un lato e Fassina dall’altro non sembrano aver ben riflettuto su quanto è accaduto nella tarda primavera del 2011, quando fu proprio la spinta proveniente dal Parlamento ad ampliare la  spesa pubblica, a farci perdere la fiducia dei mercati sui nostri titoli pubblici spingendo lo spread fino a 550 punti.  Al contrario avviando quelle indispensabili riforme sia delle istituzioni sia della PA potremmo rapidamente invertire le aspettative sia degli investitori che dei consumatori anticipando gli effetti positivi delle riforme stesse ancor prima della loro concreta attuazione.  Del resto da troppi anni l’Italia è tagliata fuori dai grandi flussi internazionali di capitali e le possibilità di recupero sono enormi. Il problema sono i tempi tra l’attuazione delle riforme e l’arrivo dei benefici ai cittadini. Ma ci sono le possibilità di ridurli al minimo. Enrico Letta sicuramente possiede la necessaria consapevolezza di quello che occorre fare. Auguriamoci che abbia anche la ferma determinazione di attuarlo senza cedimenti alla demagogia della spesa facile.

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