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Le sviste (lessicali) di Renzi e le ossessioni anti-premier degli oppositori

Due svarioni lessicali di Matteo Renzi, uno sulla scuola e l’altro sul sindacato, hanno sollevato valanghe di proteste (sulla Rete e non solo) delle opposizioni soprattutto di sinistra – Ma, al di là del merito del tutto marginale delle questioni, l’obiettivo politico è chiaro: colpire Renzi alle elezioni regionali anche a costo di favorire la destra.

Le sviste (lessicali) di Renzi e le ossessioni anti-premier degli oppositori

E’ proprio vero che in politica il peggiorismo – il tanto peggio tanto meglio di infausta memoria – può avere esiti paradossali. Sia a destra che a sinistra. La divisioni fratricide in Puglia tra le liste che si ispirano a Silvio Berlusconi e quelle che fanno capo a Raffaele Fitto hanno già sortito l’effetto di spianare la strada al Pd e alla prevedibile vittoria dell’ex sindaco di Bari, Michele Emiliano. Nel Veneto le divisioni altrettanto fratricide nella Lega tra il governatore uscente Luca Zaia, sostenuto dal segretario Matteo Salvini, e il sindaco di Verona Flavio Tosi non faranno probabilmente il miracolo di regalare la Regione al centrosinistra ma solo perché la lista di Tosi sembra destinata a raccogliere meno consensi del previsto.

Le guerre fratricide possono invece giocare brutti scherzi al Pd in Liguria dove la lista civatiana di Luca Pastorino insidia la lista ufficiale del Pd capeggiata da Raffaella Paita con il bel risultato di rimettere in gioco il candidato del centrodestra Giovanni Toti, che inizialmente non aveva nessuna speranza di successo, o di azzoppare la stessa Paita costringendola, in caso di vittoria di misura, alle larghe intese.

Talvolta la politica assomiglia al Palio di Siena dove per ogni contrada molto più della propria vittoria conta la sconfitta della contrada più avversa.

In realtà mai come in questa occasione, dei problemi regionali alle elezioni di domenica in 7 regioni d’Italia interessa poco a tutti, per almeno due ragioni: la prima è che il discredito di cui godono in questo momento le Regioni è molto alto e può far impennare l’astensionismo e il secondo motivo è che la forte carica di innovazione introdotta con ruvido decisionismo da Matteo Renzi nel sistema politico manda all’aria vecchi equilibri di potere e spacca le forze politiche tradizionali e i loro bacini elettorali con contraccolpi velenosi anche nella casamadre del premier, il Pd. O forse soprattutto qui.

Illuminante è al riguardo l’ondata di reazioni e di proteste suscitata da due recenti sviste lessicali, in sé del tutto insignificanti, in cui è di recente scivolato il premier. La prima volta è successo quando, gesso alla mano, Renzi ha illustrato alla lavagna le ragioni del Governo sulla “Buona scuola”. La fretta gli ha giocato un brutto scherzo e, anziché scrivere “cultura umanistica” per illustrare l’asse culturale fondamentale dell’istruzione secondaria immaginata dalla riforma, Renzi ha scritto “cultura umanista”. Una svista bella e buona, ma dal valore politico assolutamente nullo. Però, apriti cielo. La Rete ha rischiato di andare tilt e gli insulti e gli sfottò a Renzi si sono sprecati. Lasciando in eredità una bella domanda: chi preferisce lo status quo anche nella scuola non poteva trovare qualche motivo di protesta un po’ più consistente?.

La seconda svista o lapsus in cui Renzi è caduto riguarda il sindacato ed è avvenuta quando il premier ha detto in tv che per semplificare le relazioni sindacali sogna “un sindacato unico”. Siccome la fantasia ha i suoi limiti e anche il peggior detrattore del premier non può realisticamente pensare che Renzi abbia in mente una visione totalitaria delle relazioni sindacali, è evidente che il Presidente del Consiglio ha detto erroneamente “sindacato unico” per intendere “sindacato unitario” volendo cioè sostenere quello che qualunque persona di buon senso pensa e cioè che sarebbe bello se, pur con tutta la sua dialettica interna, il sindacato fosse in grado di sedersi al tavolo delle trattative con il Governo o con il datore di lavoro parlando una sola lingua e dando con ciò più forza alla sua capacità contrattuale. Ma vallo a spiegare a quei soloni delle battaglie perdute come Susanna Camusso o Maurizio Landini. A nessuno dei due pareva vero che Renzi potesse incorrere in uno strafalcione del genere e, anche qui, apriti cielo.

“La concezione del sindacato unico – recita la maestrina con la matita rossa che guida la Cgil – è tipica dei regimi totalitari, è concettualmente sbagliata perché presuppone che i diversi soggetti del mondo del lavoro siano ridotti a un pensiero unico che non è certo indice di modernità. Al contrario – conclude la Camusso – il tema da affrontare è quello del sindacato unitario”. Oibò, e chi l’avrebbe detto?.E’ da quasi mezzo secolo che i sindacati confederali cercano le vie dell’unità ma non pare che la Cgil della Camusso abbia avvicinato l’obiettivo, anche perché per ridare slancio all’unità bisognerebbe avere un modello e una strategia sindacale comune ed è difficile pensare che il massimalismo che pervade oggi la Cgil possa affascinare il sindacato della partecipazione di matrice cislina.

Quanto a Landini, stuzzicato da Renzi anche sulle sue ripetute sconfitte alla Fiat (“Marchionne batte Landini per 3 a 0”), si sa che la raffinatezza del pensiero non è il suo forte e quindi non fa fatica a sentenziare: “Sindacato unico? E’ la conseguenza del modello autoritario di Renzi”. 

In realtà, quando sbaglia, sia pure sul lessico, Renzi farebbe bene ad ammetterlo e a chiarire le sue vere idee, ma il punto politico non è questo. Il fatto che ogni riforma o ogni proposta del premier spacchi la sinistra prima ancora che il Paese deve far riflettere e deve far pensare anche il fatto che l’opposizione che Renzi suscita è per certi versi più pregiudiziale di quella che sollevava a suo tempo Silvio Berlusconi e che, come quest’ultima, stia diventando una vera e propria ossessione. Ma questo è il prezzo che deve pagare chi vuole cambiare.

Il polverone suscitato dalle sviste lessicali di Renzi sono una tempesta in un bicchier d’acqua per un Paese che ha problemi ben più seri a cui pensare, ma la pioggia di critiche che, a sinistra oltre che a destra, hanno generato prima il Jobs Act e l’Italicum, poi la riforma della scuola e infine il decreto sulle pensioni (che rimborsa le pensioni deboli ma, giustamente, non le pensioni d’oro) rivela la sua strumentalità e fa chiarezza sulla vera posta in gioco. Che non è migliorare un provvedimento o l’altro del Governo, come è giusto che sia, ma azzoppare il renzismo sperando di farlo deragliare. Finora gli oppositori della modernizzazione renziana non ci sono riusciti ma il peggiorismo non è mai morto e le Regionali sono una tentazione ghiotta.

Però, finché non presenteranno un progetto politico non solo alternativo ma convincente e utile al Paese, sarà difficile per i dissidenti interni al Pd come per gli oppositori alla Salvini e alla Brunetta o alla Grillo essere presi sul serio. Perché Renzi può piacere o no e le sue riforme possono suscitare consensi o ripulse, ma gli elettori non sono tutti allocchi e alla fine capiscono chi vuol cambiare un Paese da troppo tempo in crisi e chi invece sulla crisi vuole solo vivere di rendita.

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