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Le liberalizzazioni non possono partire da taxi e farmacie ma dall’apertura dei mercati

Secondo l’ex segretario generale dell’Antitrust le vere liberalizzazioni non possono partire da casi marginali come i taxi e le farmacie ma devono puntare all’apertura dei mercati ed essere uno strumento portante di una strategia di crescita – Il punto cruciale è quello di creare reale concorrenza tra le imprese: solo così ne derivano benefici ai consumatori

Le liberalizzazioni non possono partire da taxi e farmacie ma dall’apertura dei mercati

Una delle caratteristiche tipiche del dibattito politico italiano è stata quella di non impegnarsi sui problemi concreti di aggiornamento della struttura economica del paese, sostenendo che il problema era “ben altro”: la lotta di classe, l’assetto del capitalismo italiano, la democrazia; perdendo così in più occasioni il treno della modernizzazione. L’idea di passare per un “benaltrista” fa allora venire la pelle d’oca a chi abbia sentimenti riformatori. Eppure, di fronte alle critiche che si levano rispetto alle mancate liberalizzazioni nel programma di governo, non si può fare a meno di constatare che il problema è proprio “ben altro”.

Davvero il problema delle liberalizzazioni in Italia riguarda la vendita dei farmaci di fascia C nelle parafarmacie e i taxi? Confondendo i farmaci da banco con quelli in fascia C (cioè, non a carico del Servizio Sanitario Nazionale) tra i quali ve ne sono di potenzialmente altrettanto tossici o bisognosi di precauzione di quelli di fascia A? E dimenticando che i taxi bene o male svolgono la loro attività in presenza di obbligazioni di servizio pubblico (disponibilità notturna, obbligo di servizio, turnazione) che possono anche giustificare i limiti alla concorrenza di chi queste obbligazioni non ha (fermo restando che questi limiti non dovrebbero essere tali da cozzare contro l’interesse a un servizio efficiente)?

Il che non vuol dire che non vi sia necessità di liberalizzare, ma che una vera azione riformatrice richiede una maggiore riflessione sia sugli obiettivi che sugli strumenti.

Sugli obiettivi: deve essere chiaro che le liberalizzazioni nei mercati dei beni e dei servizi non servono solo ad abolire privilegi o a ridurre marginalmente i costi per il consumatore, ma sono un passo essenziale delle politiche per la crescita, perché consentono di ridurre i vincoli all’entrata e all’organizzazione dell’attività delle imprese. Tenendo presente che gli effetti positivi non sono in genere limitati al mercato interessato, ma si trasmettono attraverso la filiera produttiva. Qualche esempio: la liberalizzazione del commercio al dettaglio, tuttora attuata a pelle di leopardo a causa della mancata predisposizione dei piani da parte di varie regioni, implica modifiche profonde nella logistica, nelle modalità produttive, nel controllo qualità anche nelle fasi a monte. La liberalizzazione dell’autotrasporto, ancora caratterizzato di fatto dal controllo ministeriale dei prezzi, faciliterebbe la riorganizzazione e la razionalizzazione del sistema. E si potrebbe continuare ricordando la situazione del trasporto aereo nazionale, in cui la monopolizzazione del traffico è stata addirittura autorizzata per legge, e nel quale una apertura alla concorrenza, magari attraverso l’ingresso di seri operatori europei, può avere effetti benefici non solo sui prezzi dei biglietti, ma sulla articolazione del servizio e di qui su tutte le attività influenzate dalla convenienza del trasporto, come il turismo.

Sugli strumenti: un’effettiva liberalizzazione richiede però un’analisi dei mercati al fine di individuare quali siano i vincoli effettivi al funzionamento della concorrenza. Restiamo al caso delle farmacie: non pare proprio che il problema sia quello dei farmaci di fascia C: invece, nel nostro paese esiste un vincolo normativo all’apertura di nuove farmacie, poiché secondo una legge nazionale è ammessa una farmacia ogni 5mila abitanti. Quando la regione Puglia ha abbassato la soglia a 3.500 abitanti, lo Stato ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale, che ha dichiarato la competenza statale in materia (poco vale l’argomento che gli organismi locali dovrebbero conoscere meglio la situazione). Nel nostro paese le farmacie possono essere gestite solo da farmacisti o da società di farmacisti (comunque con il limite massimo di quattro). E ogni farmacista può avere solo una farmacia. Si impedisce così la industrializzazione del servizio, attraverso la creazione di catene di farmacie, con conseguenti efficienze, così come ogni possibilità di integrazione tra distribuzione del farmaco e rivendita. I farmacisti e la loro associazione argomentano che queste previsioni sono state attaccate dalla Commissione Europea, ma ritenute non in contrasto con la normativa europea dalla Corte di Giustizia perché in questa materia ogni paese può far valere considerazioni relative alla salute pubblica; ma legittimo non vuole necessariamente dire opportuno: certamente la difesa del criterio “una farmacia, un farmacista” cozza contro una gestione imprenditoriale della distribuzione del farmaco, che può consentire una semplificazione nella logistica, una riduzione dei margini per il distributore, e quindi un minor costo per l’erario e per i consumatori.

E’ ardito pensare che riforme complessive di settori come quello della distribuzione farmaceutica, o della distribuzione commerciale o dei carburanti o dell’autotrasporto o degli ordini professionali avrebbero potuto essere affrontate in poche settimane da un governo appena insediato. Ed è diminutivo pensare che taxi e fascia C rappresentino o avrebbero rappresentato un punto di svolta sul tema: certamente lo rappresentano meno di altre misure che pure sono presenti nel decreto, in particolare, le disposizioni riguardanti gli orari e i vincoli all’apertura degli esercizi commerciali, benchè ancora a un livello largamente di principio, e i nuovi compiti affidati all’Antitrust per quel che riguarda i vincoli amministrativi all’attività economica (tema complesso su cui sarà bene tornare). Certo, la difficoltà incontrata dalle proposte governative mostra la forza delle categorie: ma forse ciò era più facile di fronte a provvedimenti parziali che non a una riflessione complessiva sul funzionamento dei mercati.

Insomma, il tema delle liberalizzazioni è ancora largamente da svolgere. E non potrebbe essere altrimenti, data la complessità delle questioni da affrontare, in un contesto che peraltro più che quello della scelta per il consumatore dovrebbe essere quello delle opportunità per il produttore concorrenziale: è dall’evoluzione, modernizzazione e crescita del sistema produttivo che derivano benefici per il consumatore. Le liberalizzazioni devono allora diventare un tassello, e neanche il meno importante, della strategia di crescita intende impostare nelle prossime settimane.

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