Il XXIV Rapporto dell’Inps ci aiuta a comprendere meglio le dinamiche del mercato del lavoro a seconda degli apporti forniti dagli italiani o dagli stranieri sia comunitari che extracomunitari. E’ una precisazione utile che serve ad evidenziare i punti critici del mercato del lavoro sul versante dell’offerta (la vera novità degli ultimi anni).
Nel dare i dati dell’occupazione si è di solito sbrigativi tanto da rassegnare l’impressione che gli occupati in più siano nostri concittadini, anche quando non è così. E’ a parti invertite la medesima suggestione di quando si commentano le statistiche della povertà. Negli insiemi che riguardano le famiglie, si tende a non chiarire che si tratta di nuclei residenti, non necessariamente di italiani. Lo zoccolo più basso – che influisce sulla percentuale del dato medio -riguarda famiglie di stranieri.
Ma a talune forze politiche di opposizione non è utile questa distinzione tanto da far credere che la condizione di disagio riguarda i nuclei italiani. Al contrario altre forze politiche quando vantano i successi sul terreno della maggiore occupazione tendono a mettere in ombra l’apporto dei lavoratori stranieri. Ovviamente queste considerazioni non devono indurci a sottovalutare i casi di povertà perché interessano in prevalenza famiglie di stranieri né a sminuire il valore di trend positivi sull’occupazione perché molti di questi nuovi posti vengono affidati agli stranieri.
E’ opportuno però avere chiare le dinamiche reali al di là della propaganda. Nell’arco temporale considerato (2019-2024), che include la crisi sanitaria e la successiva ripresa, i dipendenti privati (esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli) sono aumentati di 1,7 milioni di unità, passando da 19,1 milioni a 20,8 milioni. Il tasso medio annuo di incremento è stato dell’1,7%; il tasso di crescita del 2024 (1,8%) risulta quindi allineato a quello medio del periodo.
Lo spazio dell’occupazione femminile è aumentato, seppur molto lievemente, passando come incidenza dal 44,9% al 45,2% dei dipendenti totali. Decisamente rilevante la crescita dei giovani under 30, pari nell’intero periodo a oltre 600 mila unità (+107 mila tra il 2023 e il 2024): il tasso medio annuo sul periodo è risultato pari al 3,4%, il doppio di quello medio generale. In tale contesto ancor più significativa e importante risulta la crescita dei lavoratori extracomunitari (+665 mila nel periodo, + 175 mila nell’ultimo anno): per essi il tasso medio annuo è pari al +6,9%, cioè quattro volte quello complessivo. I lavoratori comunitari provenienti dai Paesi dell’Est rimangono sostanzialmente stabili attorno alle 500 mila unità e quindi riducono la loro incidenza sul totale dipendenti, da 2,6% nel 2019 a 2,4% nel 2024.
L’apporto degli stranieri alla manodopera impiegata nell’industria è del 15% con punte del 24% nel made in Italy (tessile-abbigliamento-calzature-mobilio). Rilevante e in accelerazione risulta l’espansione occupazionale dei settori ricettività-turismo-intrattenimento: il loro tasso medio annuo è stato del +2,4% ma nell’ultimo anno ha toccato il 4,7%. Sempre più importante, per questi settori, è poter contare sui lavoratori stranieri, che costituiscono già il 24% dei dipendenti totali. Tra gli altri settori terziari, indici di crescita rilevanti si osservano per trasporti-logistica-comunicazione (+2,0% il tasso medio annuo, in rallentamento nell’ultimo anno) e per il comparto pubblico istruzione-salute-cura (+2,5% il tasso medio annuo, in netto rallentamento nell’ultimo anno).
Il 40% della crescita di 1,7 milioni di unità tra il 2019 e il 2024 è stato reso possibile dall’apporto degli stranieri (comunitari e non) che nel 2024 rappresentano il 27% degli occupati nel settore delle costruzioni, con un picco del 33,9% tra i giovani. L’apporto degli stranieri è particolarmente significativo anche nelle attività di alloggio e ristorazione (25,8%; il 32,6% nella fascia di età centrale), nel lavoro in somministrazione (che rappresenta larga parte delle attività ricomprese nel noleggio e nelle agenzie), nel made in Italy (tessile, abbigliamento, calzature, etc.), oltre che chiaramente nelle attività di famiglie e convivenze, anche se in quest’ultimo caso i valori assoluti sono molto modesti poiché, come più volte specificato, dal perimetro di questa analisi sono esclusi i lavoratori domestici.
Sotto il profilo territoriale si conferma con sicura evidenza il recupero del Sud, dove i dipendenti sono aumentati ad un tasso medio annuo del 2,4% (1,4% al Nord) con un +2,7% nell’ultimo anno. Campania e Sicilia risultano le regioni con le performance migliori: rispettivamente +2,8% e +2,6%.
Con riferimento alle tipologie contrattuali emergono questi elementi salienti:
- a. stabile risulta l’occupazione a tempo indeterminato nel settore pubblico, attorno a 3,1 milioni di dipendenti;
- b. in netta crescita nel settore pubblico (specificamente nel comparto scuola) risulta il tempo deter¬minato (9,4% tasso medio annuo): nel 2024 si avvicina alle 600 mila unità;
- c. anche nel settore privato i dipendenti a termine aumentano significativamente per effetto so¬prattutto della crescita degli stagionali (5,4% tasso medio annuo, 30,1% variazione sull’intero pe¬riodo);
- d. i dipendenti con contratto a tempo indeterminato standard nel settore privato crescono nel pe¬riodo in esame ad un tasso medio annuo dell’1,7%: l’incremento, pari a +979 mila unità, li porta a superare i 12 milioni, rappresentando, sul totale dei dipendenti, il 58,3%.
Nel settore privato, tra le varie tipologie di lavoro a termine, gli indici di crescita più significativi – sia nell’arco del periodo esaminato che nell’ultimo anno – sono quelli del lavoro stagionale e del lavoro intermittente. Stabile, e nell’ultimo anno in netta contrazione, il lavoro somministrato. Come già rimarcato, è significativa la crescita del tempo determinato nell’ambito pubblico.
Da notare che l’incidenza nel 2024 sia del part time (23,6%) che del tempo determinato (16,0%), qui valutata in termini di lavoro erogato, risulta nettamente inferiore a quanto in precedenza illustrato in termini di numerosità dei dipendenti.
Nel rapporto dell’Inps, viene analizzato se e in che misura l’aumento dell’offerta di lavoro da parte dei migranti induca i lavoratori nativi a spostarsi verso mansioni meno manuali o di routine, che richiedono maggiore autonomia o competenze cognitive e analitiche superiori.
Per i lavoratori non qualificati, un aumento dell’offerta di lavoro dei migranti è associato a una diminuzione delle attività manuali, sia di routine che non di routine e a un aumento delle attività cognitive non di routine. Non si rivela alcun effetto sulle attività cognitive di routine. Per i lavoratori qualificati, si evidenziano effetti più deboli, nella stessa direzione rispetto a quanto stimato per i lavoratori non qualificati, con una riduzione delle attività manuali non routinarie e un aumento delle attività non routinarie cognitive, entrambe statisticamente significative quando consideriamo le variazioni all’interno.
In conclusione, l’analisi evidenzia che una maggiore presenza di immigrati induce uno spostamento dei lavoratori nativi verso mansioni meno routinarie e più cognitive. Tale effetto risulta più marcato per i lavoratori nativi non qualificati. Questo risultato è coerente con l’ipotesi che gli immigrati tendano a sostituire i nativi nelle attività più routinarie.