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L’Altra-Africa: l’Afromodernità come condizione globale

La recensione del libro “Teoria dal sud dal mondo. Ovvero, come l’Euro-America sta evolvendo verso l’Africa” di Jean e John Comaroff

L’Altra-Africa:  l’Afromodernità come condizione globale

Il Nord globale sta assumendo alcuni dei tratti un tempo caratteristici del “Terzo Mondo”, come la crescente diversità interna, la conflittualità su base etnica e razziale, l’aumento di povertà e disuguaglianza, la crescita degli insediamenti informali e di una gioventù sotto-proletarizzata. 

Crescita di un’economia neoliberista accompagnata da un forte aumento della disuguaglianza, insorgenza di pandemie e catastrofi naturali che talvolta stimolano il sorgere di movimenti di resistenza popolare, concezioni innovative della democrazia che si ispirano a strutture di politica partecipativa del passato, queste e altre caratteristiche contrastanti della modernità africana sembrano investire progressivamente il resto del mondo. 

L’Africa, nella visione dei Comaroff, sta diventando una condizione globale. Cosicché studiare l’Afromodernità potrebbe metterci nelle condizioni di meglio comprendere il mondo contemporaneo.

Nonostante sia stata a lungo considerata un soggetto marginale da condurre per mano sulla strada della civilizzazione, “un recipiente passivo di interventi e aiuti provenienti dal Nord”, oggi il continente africano sembra aver ripreso in mano il proprio destino offrendo il suo contributo alla comprensione dei fenomeni della contemporaneità. 

Come sottolinea Cecilia Pennacini nell’introduzione al testo, con Teoria dal Sud del mondo i Comaroff hanno realizzato l’obiettivo di riportare gli africani, “che gli imperi coloniali avevano posto ai margini del mondo”, al centro della riflessione contemporanea lasciando intuire le enormi potenzialità – demografiche, economiche, culturali, epistemologiche – di un continente la cui storia permane in gran parte sconosciuta all’Occidente. 

Le grandi civiltà del suo passato e la straordinaria creatività della sua popolazione contemporanea – costruita in gran parte da giovani inseriti nella globalizzazione grazie alla diffusione capillare delle tecnologie digitali – suggeriscono uno scenario di grande interesse per una teoria sociale che voglia uscire finalmente dall’eurocentrismo per tentare di comprendere le più recenti dinamiche globali. 

Lo studio etnografico condotto da Jean e John Comaroff ha avuto inizio in un’area remota sita tra il Botswana e il Sudafrica. Attraverso un lungo percorso di ricerca e indagine, gli autori hanno sviluppato una teoria dei processi globali di produzione della conoscenza e del ruolo che l’antropologia e gli studi africani possono svolgere, a livello globale, nella contemporaneità.

Una riflessione, quella condotta dai Comaroff, definita da Pennaccini di ampissimo respiro, nella quale resta tuttavia evidente l’impronta di una tradizione di pensiero nata sul confine che separa e allo stesso tempo unisce il Nord e il Sud del mondo, all’interno di quella zona che Pratt nel 1992 definì di contatto, dove gli europei si confrontarono con le popolazioni extraeuropee in un contesto segnato da marcate e diseguali relazioni di potere. 

Il particolare punto di vista che gli Tswana esprimono sulla loro società e, più in generale, sul mondo riesce a provocare nell’osservatore esterno quel prezioso effetto di straniamento che consente di de-familiarizzare l’ordinario della sua palese ordinarietà, contribuendo a un decentramento del punto di vista in grado di offrire prospettive nuove e originali.

In epoca coloniale, la società tswana ha attraversato una serie di trasformazioni, la più rilevante delle quali è, con ogni probabilità, l’espropriazione di gran parte delle terre maggiormente produttive da parte dei coloni bianchi e, più in generale, dall’introduzione di nuove forme economiche di stampo capitalistico. 

Gli Tswana, come le altre popolazioni sudafricane, saranno soggetti a un massiccio processo di urbanizzazione, che spingerà la popolazione maschile verso le nascenti città minerarie e industriali “dove verranno di fatto trasformati in proletari”. 

I primi contatti con gli occidentali sono dovuti all’incontro con i missionari metodisti i quali, lungi dal limitarsi ad agire nella sfera morale e religiosa, intervennero a tutto campo sulle istituzioni fondamentali della società locale (il matrimonio poliginico, la sessualità, i modelli di genere, i modelli corporei, la divisione del lavoro, l’economia, i contenuti e i modi dell’educazione scolastica, la salute…). 

Due snodi fondamentali nello sviluppo “civile” di un popolo. Trasformazioni profonde, veicolate, studiate che hanno alternato a fondo i paradigmi sociali e culturali dei Tswana.

Si evince con facilità estrema il parallelismo con quanto accaduto nella più e meno recente storia dell’Occidente e della stessa Italia. Lo spopolamento delle campagne e l’indottrinamento religioso che, anche in questo caso, va a modificare, plasmare, frenare i comportamenti. 

Nella gran parte delle regioni sudafricane l’arrivo degli europei e l’insieme dei cambiamenti che innescò, ebbe l’effetto di scatenare una violenta conflittualità interna. Una situazione generata anche dalla perdita dei punti di riferimento originari. La forte emigrazione, per esempio, ebbe come conseguenza diretta un profondo indebolimento del tessuto familiare e sociale che porterà a un declino pressoché totale del settore agricolo. 

Spesso gli osservatori europei hanno insistito sull’intrinseca fragilità delle democrazie africane, apparentemente incapaci di raggiungere un adeguato livello di maturazione. Come sottolinea Cecilia Pennacini nell’introduzione, gran parte delle critiche riguardano i brogli elettorali e la corruzione delle classi dirigenti. I Comaroff fanno notare che questi fenomeni, apparsi in un primo momento nel mondo coloniale e postcoloniale, stanno progressivamente investendo anche le democrazia occidentali.

Si diffondono a macchia d’olio nei paesi del Nord sempre più alle prese con una crescente eterogeneità demografica che produce fratture e rivendicazioni, con un’economia delocalizzata dove i centri di produzione e di consumo appaiono dispersi, dove la finanza prevale sulla produzione, la flessibilità sulla stabilità. Dove si registra un continuo e progressivo indebolimento del tessuto sociale ed economico. 

La politica, nella cultura Tswana, è in primo luogo “dimensione partecipativa vissuta nel fluire della vita sociale”. Gli Tswana credono fortemente nel senso di responsabilità che il leader deve alla comunità. Nel testo viene anche ricordato, a tal proposito, un antico adagio tswana: kgosi ke kgosi ka morafe (“un capo è un capo grazie alla sua nazione”). 

Per gli autori, la concezione politica tradizionale tswana si basa in definitiva su un’idea di democrazia sostanziale, mentre la democrazia formale ottenuta attraverso il voto risulta essere poco saliente. Riecheggia in ciò l’eco delle richieste di una democrazia maggiormente partecipativa, cavallo di battaglia dei sempre più diffusi movimenti populisti che “utilizzano le arene digitali come forma privilegiata di espressione popolare”. 

Come hanno ben compreso molti investitori internazionali, non da ultimi i cinesi, l’Africa è entrata in una fase totalmente nuova in cui lo sviluppo dei suoi mercati sta aprendo enormi possibilità economiche. Ma questa trasformazione continua a essere percepita da molti come una mera imitazione dello sviluppo occidentale, “una visione eurocentrica che impedisce di comprendere appieno le caratteristiche originali del cambiamento in corso”. 

Liberandoci di questa prospettiva ottocentesca, come suggerisce Pennacini, e seguendo il filo d’indagine dei Comaroff si scopre invece che i fenomeni osservabili in Africa sembrerebbero addirittura anticipare e non seguire taluni processi che stanno investendo l’Europa e il Nordamerica. 

Un’economia emergente, quella africana, tutt’altro che priva di contraddizioni, dal momento che si basa sul desiderio degli stati postcoloniali e dei loro governanti di guadagnare entrate spendibili nelle forme più flessibili e deregolate, a scapito della protezione dei lavoratori, dei controlli ambientali, delle imposizioni fiscali. Lo sviluppo economico si è spesso manifestato in forme rapinose che massimizzano il profitto al minimo costo realizzando pochi investimenti strutturali.

Si tratta di soluzioni ispirate a dottrine neoliberiste, che in questi contesti hanno raggiunto formulazioni estreme e incontrollabili, con il conseguente aumento di fenomeni quali la conflittualità, la xenofobia, la criminalità, l’esclusione sociale, la corruzione… Una violenza strutturale che si riscontra anche nella versione occidentale di tali forme di economia, una economia deregolamentata che inizia a diffondersi a livello globale. 

Il Nord globale sta assumendo alcuni dei tratti un tempo caratteristici del Terzo Mondo, come la crescente diversità interna, la conflittualità su base etnica e razziale, l’aumento di povertà e disuguaglianza, la crescita degli insediamenti informali e di una gioventù sotto-proletarizzata. Secondo i Comaroff l’Africa, a quanto pare, sta diventando una condizione globale. Ragione per cui studiare l’Afromodernità può metterci in condizione di meglio comprendere il mondo contemporaneo. 

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