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La tecnologia è un mezzo o un fine? Il dilemma dell’homo sapiens in un libro di Gianni Previdi

Da pochi giorni è in libreria “Il dilemma dell’homo sapiens. Tecnologie esponenziali: mezzo o fine” di Gianni Previdi, edito da goWare che affronta temi di grandissima attualità. Ne parla lo stesso autore

La tecnologia è un mezzo o un fine? Il dilemma dell’homo sapiens in un libro di Gianni Previdi

Da pochi giorni è in libreria, in edizione digitale e cartacea, un corposo e impegnativo saggio, permeato da uno spirito enciclopedico purtroppo spesso andato perduto nei molti specialismi, che affronta a tutto tondo il tema centrale del nostro tempo, il ruolo della tecnologia nello sviluppo delle organizzazioni umane.

L’autore, Gianni Previdi, approccia questo tema dell’età presente attraverso varie ottiche: da un punto di vista storico, vedendone il suo percorso nel tempo, anche di natura filosofica e dal particolare punto di vista della ricaduta di questa evoluzione sulle organizzazioni come le imprese, nello specifico piccole e medie delle quali l’Italia è ricca.

Come scrive Cosimo Accoto nella sua introduzione, quello che il libro di Gianni Previdi affronta è “un percorso che incrocia, tra gli altri, umanesimo e tecnica, economia e filosofia, teoria e strategia”.

Si sta parlando de Il dilemma dell’homo sapiens. Tecnologie esponenziali: mezzo o fine? di Gianni Previdi, pubblicato da goWare e disponibile in tutte le librerie online nei diversi formati.

Già dal titolo si ha un’idea del respiro dell’analisi dell’autore, così come è di amplissimo respiro l’altro homo sapiens, il fondamentale saggio dello storico israeliano Yuval Noah Harari. Come sembra dirci anche Harari è solo inserendola in una prospettiva ampia e universale che si riesce a leggere, con qualche possibilità di comprensione, l’epoca attuale.

La redazione di goWare ha intervistato Gianni Previdi sui temi affrontati nel suo libro. Quello che segue è un sunto ragionato di questa conversazione.

Gianni, sei partito da molto lontano per questo libro. Perché questa scelta per parlare della tecnologia moderna?

“L’opera ruota intorno all’atavico quanto problematico rapporto tra l’uomo e i suoi artefatti, percorrendo le vicende umane, dall’antichità alla contemporaneità. Vicende che ci dicono che ogni qualvolta vi è stato un breakpoint (o biforcazione) l’uomo si è trovato di fronte ad un dilemma: Platone (nel Fedro) contro la scrittura, Leibniz (inaspettatamente) contro il libro stampato, il luddismo di fronte alla prima rivoluzione industriale, oggi nei confronti delle diavolerie della tecnologia digitale (e altre) che invocano per alcuni scenari iperbolici e per altri scenari cupi, distopici”.

Spiegaci meglio questo concetto, in che cosa consiste questa biforcazione?

“C’è la sensazione che quanto sta emergendo intorno ai temi legati al rapporto tra l’uomo e la tecnologia, nel business, nel sociale e nella vita privata, agli infiniti e spesso divisivi dibattiti sul tema, sia una sorta di isteresi, cioè un manifestarsi in ritardo di un interesse epifenomenico accelerato dagli effetti generati dalla natura del digitale, ma che a ben vedere erano già in divenire da quando l’uomo ha iniziato a porre fuori da sé le funzioni fisiche proprie del suo corpo”. 

Ora siamo ben più oltre le funzioni fisiche.

“Certo, la riflessione è divenuta urgente in quando l’uomo ha iniziato a porre fuori da sé le funzioni che qualcuno arriva a dire cognitive. Le cose (e le persone) hanno una loro rappresentazione digitale (digital twin), le fabbriche funzionano in modo automatico e sempre più autonomo, le persone eseguono quello che indica loro un algoritmo. In altri termini, se prima la “macchina” la si associava alle braccia di un verniciatore, ora siamo alla “macchina” che si associa (sostituisce?) alla mente umana, generando inediti paradigmi antropologici, nuove geometrie del lavoro e di business, nuovi dilemmi, appunto”.

Come hai strutturato il libro per affrontare questi concetti complessi?

“Il libro è articolato in 3 parti precedute da una prefazione filosofica per offrire al lettore una mappa concettuale di riferimento anticipante su quanto si andrà ad approfondire. La storia delle vicende umane è la storia delle tecnologie ICT che hanno proceduto in tempi e ritmi diversi a connettere luoghi dove vi fossero informazioni e conoscenza da scambiare”.

Inizia allora con il parlarci della prima parte, quella dedicata proprio ai media e alle informazioni.

“I media si sono nidificati tra loro includendo le nostre stesse menti: i processi comunicativi che oggi si consumano nell’infosfera, o meglio ancora semiosfera (Lotman), dove si veicolano in modo sincrono e asincrono simboli in situazioni aspaziali e atemporali, producono – come sempre è avvenuto nella deriva mediale – effetti concreti sulla mente umana che ne viene plasmata. Le informazioni si sono progressivamente staccate dal loro supporto fisico (tavole d’argilla, papiro, pergamena, libro) come è avvenuto col denaro (che infatti è informazione su informazione)”. 

Qual è il significato dell’informazione in questo contesto?

“Lo vedrei in senso ontologico Per dare una risposta di questo tipo nel libro si percorrono i diversi approcci, dalla teoria statistica quantitativa (Shannon) alla semiotica interpretativa (Peirce) per non cadere nell’errore, ad esempio, di confondere l’informazione con il dato (memorizzato in qualche data base nel cloud), quando invece è il risultato di un processo interpretativo-cognitivo-semantico (della mente umana!) che riduce l’incertezza (neg-entropia) generando una differenza, dentro un contesto: ad esempio nel business l’informazione – perché abbia valore – è legata al tempo”.

Come interviene il digitale in questo ambito? E siamo alla seconda parte del libro.

“Anche qui per andare oltre gli hashtag superficiali che popolano i vari media, si offre una definizione ontologia della natura del digitale e una attenta esamina dei suoi impatti sulla mente umana, sulle organizzazioni e sul business. Si osserva la sensorizzazione (IoT) del mondo che ci porta a leggere il reale non solo attraverso i nostri sensi biologici, ma attraverso le interfacce tecnologiche, che a loro volta stanno evaporando, consegnandoci interazioni con i vari device sempre più analogiche (il curioso paradosso che fa ritornare l’analogico grazie proprio al digitale). Si prosegue poi con una sorta di critica della “ragion tecnologica” sulla autonomazione (tra rischi e opportunità) e sulla cosiddetta intelligenza artificiale, per non confondere il piano sintattico e deterministico dell’algoritmo con quello semantico e cognitivo, quest’ultime capacità prerogative (ad oggi) della mente umana”. 

Come vedi il digitale, è un problema o una risorsa?

“Non la metterei in questi termini. Si tratta di affrontare una necessaria chiarificazione per darci la consapevolezza, da una parte su ciò che rischiamo di perdere (se non ben orchestrato e governato), ma dall’altra su ciò che la tecnologia digitale può dare come opportunità per aumentare esponenzialmente le capacità umane, anche e soprattutto nel business. È dentro queste riflessioni che si insiste sul fattore culturale (il grave gap che spesso si riscontra nelle organizzazioni economiche come nella società), come leva trasformativa delle strategie di business e generatrice di vero progresso di una società, dove l’innovazione crea valore per i tanti e non per i pochi”. 

E con questo veniamo al business, alla governance e alle organizzazioni cioè agli argomenti della terza parte del libro. Ci avviciniamo così anche alla tua attività professionale.

“Nel libro, una volta descritto il paradigma dell’economia di velocità e della iper-competizione che supera la tradizionale competizione di settore, si afffronta la suggestione del modello di business a piattaforma (risonante), come ecosistema (nelle filiere e nei distretti composti tipicamente dalle PMI, ad esempio) per competere nei mercati, per integrare virtuosamente tra loro i fattori di scala, di flusso e di rete per disegnare imprese esponenziali”. 

E qual è il messaggio ai decisori?

“Il messaggio è chiaro: non solo usare le piattaforme di terzi (le attuali ben note “signorie” del Web), ma essere piattaforma! I modelli di business esponenziali futuri saranno popolati da agenti risonanti in piattaforme armoniche. Ma per fare ciò si devono rivedere la reti di sostegno al cambiamento, si devono ripensare le organizzazioni, a partire dalla semplificazione dei processi, spesso troppo complicati per assorbire proficuamente la giusta dose (Pharmakon) di tecnologie abilitanti dell’innovazione”.

Come vedi possibile il costituirsi di queste piattaforme armoniche?

“Sarà indispensabile creare un contesto operativo “sano” e stimolante, che sappia favorire le connessioni tra le intelligenze che operano nelle organizzazioni e distribuire potere “positivo” tra il centro e la periferia del perimetro aziendale (la distribuzione di potere in periferia rinforza anche il centro!), dare quindi la giusta autonomia alle persone ed eliminare invece l’autosufficienza (potere negativo) che genera devastanti forme di burocratizzazione e gerarchizzazione, complicazioni inutili, tempi di latenza operativa e decisionale incompatibili con il livello di complessità (e accelerazione) dei mercati. Anche qui il messaggio e preciso: l’organizzazione sarà un luogo non luogo dove le persone interagiranno non sulla linea del tempo e dello spazio, ma sull’emergere degli eventi”. 

Mi pare di intravedere un certo tecno-ottimismo nella tua analisi.

“L’inevitabile (e a parere dell’autore auspicabile) simbiosi tra l’uomo e le tecnologie potrà generare, se sapientemente orchestrata e governata, contesti sociali ed economici dove le persone potranno liberare le proprie intelligenze ed energie per generare innovazione, dove l’umanesimo (valorizzazione dell’ingegno, della creatività delle persone, e generazione di senso in ciò che si fa) che ha caratterizzato il nostro glorioso Rinascimento, potrà riemergere in nuove forme per dare un senso umano all’uso delle tecnologie, un tocco di vivido colore per creare inedite forme d’innovazione che sia di valore per le imprese, che sia progresso a favore dei tanti, che sia sostenibile col e nel Mondo. Decidiamoci allora, una volta per tutte, su cosa vogliamo essere come umani di fronte agli artefatti da noi stessi creati: Organon o Télos? Strumento o fine?”

Grazie. So che hai in cantiere un altro libro già in fase avanzata di stesura.

“Sì ma di quello ne parleremo in un’altra occasione”.

. . .

Gianni Previdi (business digital-Humanistic innovation advisor), dopo avere fondato e diretto società di consulenza, attualmente è advisor di importanti aziende sui processi di innovazione, trainer della Scuola di Palo Alto di Milano, componente del gruppo di gestione AQ e del comitato di indirizzo di CLEMI (Dipartimento di Economia Marco Biagi, UNIMORE). È autore di diverse pubblicazioni: Innovation Now, Scuola di Palo Alto, 2020; #Smart Management, Scuola di Palo Alto, 2018; #Social.Media.Mente, Phasar Edizioni, 2014; Il valore dell’informazione, Franco Angeli Editore, 2009; Net-Vision – Energia Digitale, Mucchi Editore, 2002.

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