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La strage sul lavoro di Suviana, gli scioperi e le farlocche sparate di Landini su appalti e subappalti

L’ennesima strage sul lavoro impone riflessioni serie e interventi concreti ma le polemiche pregiudiziali su appalti e subappalti sollevate dal segretario della Cgil sono fuorvianti e non aiutano a risolvere i problemi della sicurezza

La strage sul lavoro di Suviana, gli scioperi e le farlocche sparate di Landini su appalti e subappalti

Lo sciopero generale dell’11 aprile ha determinato una coda di polemiche tra Maurizio Landini e Luigi Sbarra.  Il  segretario della Cgil – con riferimento alla tragedia della centrale idroelettrica dell’Enel sul lago di Suviana –  ha voluto sottolineare che  la Cisl non ha invitato i lavoratori ad astenersi dal lavoro nonostante che altre morti sul lavoro si fossero aggiunte, solo poche ore prima, al lungo elenco delle croci. I fatti sono andati diversamente. Innanzi tutto lo sciopero dell’11 aprile era stato proclamato dalla Cgil e dalla Uil quale momento di avvio della campagna di agitazione di primavera per una serie di motivi tra cui anche la sicurezza sul lavoro. L’incidente nella centrale era stato pertanto cooptato per fornire una motivazione in più per scioperare. La Cisl non aveva aderito a quell’iniziativa che aveva ricondotto nell’ambito degli ‘’scioperi compulsivi’’, che da tempo hanno trasformato in un rito il ricorso alla forma di astensione del lavoro più significativa e memore di storiche battaglie sindacali. La Cisl, però, non era stata sorda e immobile rispetto all’esigenza di dare una risposta immediata di protesta per l’ultima strage, nella quale il numero delle vittime è stato pari a quello della Thyssenkrupp di Torino: un evento che suscitò grande commozione e sdegno nell’opinione pubblica. Infatti, la Confederazione di via Po aveva proclamato uno sciopero all’Enel e in provincia di Bologna per dare un segnale mirato di protesta, nella migliore tradizione sindacale, ad un evento specifico che non meritava di essere incorporato di contrabbando nel polverone di uno sciopero deciso a tavolino alcune settimane prima. Del resto, anche la sciagura  del cantiere dell’Esselunga a Firenze aveva ricevuto una risposta unitaria. E’ sempre più evidente, però, che il ricorso all’astensione dal lavoro costituisce un’ammissione di impotenza. Si ricorre allo sciopero perché è il modo per salvarsi la coscienza e giustificarsi per non essere riusciti a risolvere il problema della sicurezza sul lavoro che – al di là degli aspetti umani – costituisce una fondamentale obbligazione del datore nell’ambito del rapporto di lavoro. Anche i governi e il Parlamento – di fronte al ripetersi di tragedie sempre più ricorrenti, aggiungono nuove norme alla legislazione esistente (di per sé molto esaustiva) senza domandarsi il motivo per cui – se le nuove disposizioni sono ritenute utili – non siano state adottate prima. Mentre  la Cgil e la Cisl scioperavano (la solo novità era il giorno scelto per l’astensione: un giovedì anziché il consueto venerdì) era in corso la conversione in legge di un decreto (n.19/2024)  varato a tambur battente dal governo dopo la strage di Firenze. Queste le modifiche più importanti

 1. La “Lista di conformità INL”.
Si tratta della possibilità, per il datore di lavoro che risulti regolare in caso di accertamenti ispettivi in materia di lavoro e di legislazione sociale, ivi compresa la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, di essere iscritto in un apposito elenco informatico (consultabile pubblicamente dal sito dell’INL) al fine di attestare la mancanza di violazioni o irregolarità.Gli effetti derivanti da tale attestazione, hanno una durata di 12 mesi dalla data di iscrizione e, durante questo arco temporale i datori di lavoro virtuosi non saranno sottoposti ad ulteriori verifiche da parte dell’INL.

2- La congruità dell’incidenza della manodopera negli appalti in edilizia.

Si introduce l’onere di verificare la congruità dell’incidenza della manodopera negli appalti, pubblici e privati, per la realizzazione di lavori edili.Sono previste norme differenziate per gli appalti pubblici e quelli privati. 

3 – Sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi tramite la “patente a punti”.

.La disposizione introduce una complessa regolamentazione tramite la quale la patente a punti (basata su 30 crediti totali) sarà rilasciata, in formato digitale, dalla competente sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I sindacati lamentano che per ora la patente sia limitata al settore edile.
 
4 – Nella stessa ottica di tutela dei lavoratori  viene modificato l’articolo 29 del Dlgs 276/2003, introducendo  l’obbligo per gli appaltatori e i subappaltatori di riconoscere al personale  impiegato un trattamento economico non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi la cui applicazione risulti maggioritaria nella  zona e nel settore oggetto dell’appalto. Così era previsto  nel testo iniziale poi modificato facendo riferimento ai contratti stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.  Non sappiamo se il  governo, nel fare questa modifica in un emendamento, si sia reso conto che la nuova definizione va ad incidere anche su quanto previsto nella delega (di cui si sono smarrite le tracce) sul giusto salario, dove il trattamento minimo complessivo sancito nei contratti maggiormente applicati viene praticamente esteso erga omnes. Si porrà il problema di rendere uniformi i criteri di qualificazione e individuazione dei contratti da applicare.

5- La questione degli appalti e sub appalti:  è il principale cruccio di Maurizio Landini, il quale attribuisce ai c.d. appalti a cascata (il copyright è suo) la principale causa degli infortuni. Al segretario della Cgil non interessa tanto risolvere i problemi quanto piuttosto imputare alla ricerca del profitto (che per lui è lo sterco del diavolo) del committente/appaltante anche per gli inadempimenti delle imprese appaltatrici. A Landini facciamo rispondere  dall’economista, Carlo Alberto Carnevale Maffè che in un’intervista su Formiche afferma: “Gli appalti per le opere infrastrutturali, se fatti a norma di legge, sono una prassi non solo legittima, ma in certi casi indispensabile per assicurare flessibilità organizzativa, presenza sul territorio di riferimento e accesso a competenze specialistiche” (come quelle della squadra che stava intervenendo nella centrale al momento della esplosione a Suviana). Per l’economista, poi, gli appalti “costituiscono una componente importante del mercato delle piccole e medie imprese locali. Chi pretende di addossare immediatamente responsabilità in caso di incidente, senza attendere un’istruttoria rigorosa, vìola i principi del garantismo e arreca un danno ingiustificato al sistema economico nazionale”. Poi – aggiungiamo modestamente noi – la libertà di impresa non può essere messa sotto tutela.  Nella vulgata di Landini c’è la rivendicazione di un nuovo tipo di azienda, al cui interno vi sia, magari con soli rapporti di lavoro a tempo indeterminato, tutto il personale che può essere chiamato a svolgere la sua attività quando si presenta il problema attinente a quelle mansioni.  Questa predicazione – di solito incontrastata dai suoi interlocutori nelle ricorrenti interviste – ha richiamato alla mia memoria un brano che mi colpì in occasione della lettura del saggio ‘’La nuova geografia del lavoro’’ di Enrico Moretti,  laddove era descritto l’iter produttivo dell’iPhone.  L’unica fase della produzione realizzata negli Stati Uniti era quella del progetto, del design, dello sviluppo del software e dell’hardware. La Apple, però,  guadagnava 321 dollari su ogni iPhone venduto, il 65% del totale. I componenti elettronici (ben 634)  venivano prodotti  a Singapore e a Taiwan, mentre il montaggio (ad elevata intensità di manodopera) si svolgeva nella Cina popolare  in uno stabilimento del tutto autosufficiente con 400mila dipendenti nella periferia di Shenzhen (‘’più che una fabbrica – scriveva Moretti – sembra una città’’). Che sia questa la nuova impresa a cui pensa Landini?

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