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La maledizione degli anni che finiscono in 7: vero o falso?

Il sanguinoso attacco terroristico di Barcellona riporta alla ribalta una vecchia diceria che circola nel mondo finanziario, secondo cui gli anni che finiscono con la cifra 7 sono borsisticamente sfortunati – Erik Knutzen, chief investiment officer di Neuberger Berman, ci ricorda che cosa successe nel 1987, nel 1997 e nel 2007.

La maledizione degli anni che finiscono in 7: vero o falso?

Chi lavora nei mercati finanziari potrebbe essere portato a credere che una maledizione incomba sul terzo e quarto trimestre degli anni che finiscono con il numero 7. Alla metà di agosto del 1987, i mercati azionari raggiunsero un picco con un +30% da inizio anno. Due mesi dopo, senza alcun preavviso arrivò il Lunedì nero.

Nel luglio del 1997, la Thailandia, schiacciata da una montagna di debiti e incapace di acquisire una quantità sufficiente di valuta forte per difendere l’ancoraggio del baht al dollaro statunitense, fu costretta a lasciare fluttuare il cambio. Il baht subì un tracollo, trascinando il paese nella bancarotta e contagiando buona parte del sud-est asiatico. La Thailandia e le Filippine chiesero aiuti al FMI e in autunno Indonesia e Corea del Sud furono costrette a fare lo stesso. In ottobre, il panico aveva colpito i mercati sviluppati. 

Il 6 agosto 2007, gli effetti combinati di posizioni sovraffollate, indebitamento e compiacimento causarono un aumento delle pressioni su alcuni portafogli di investimento quantitativo. Quelle pressioni esplosero con un “quant quake” che scosse i mercati azionari per una settimana, lasciando il segno sugli investitori quantitativi e value, che impiegarono anni a riprendersi. 

Tre giorni dopo, in uno dei momenti che hanno segnato la crisi del credito, i mercati monetari interbancari ebbero una crisi senza precedenti quando BNP Paribas fu costretta a sospendere i rimborsi di tre fondi di ABS ritenuti fin allora “sicuri”. Nel giro di un mese, i clienti di una importante banca retail britannica si ritrovarono a fare la fila agli sportelli cercando di liquidare il conto. 

La volatilità può colpire senza preavviso

La convergenza di questi anniversari potrebbe indurre gli investitori a riflettere sulla natura della volatilità e del rischio di mercato, mentre l’improvvisa ricomparsa della volatilità sul finire della settimana scorsa, in risposta alle schermaglie tra Corea del Nord e Stati Uniti, potrebbe indurci a riflettere su tali anniversari. Ciò che spicca è la capacità dei mercati finanziari di ignorare a lungo tensioni e situazioni di stress per poi scontarle tutte in una volta.

Il Lunedì nero e il “quant quake” si verificarono senza alcun chiaro segnale di preavviso. La crisi dei mutui subprime e la stretta sul credito erano chiaramente prevedibili, per chi avesse voluto coglierne i segnali: già nel febbraio 2007 Freddie Mac aveva smesso di acquistare mutui subprime, in aprile New Century Financial aveva dichiarato fallimento e in giugno (due mesi prima di BNP Paribas) Bear Stearns aveva sospeso i rimborsi dei fondi di ABS.

Ciò nonostante, l’indice S&P 500 aveva chiuso il mese di luglio 2007 in rialzo del 7,5% da inizio anno. Anche dopo aver traballato in
agosto e novembre, chiuse l’anno in rialzo del 4,4%. Pochi avevano previsto che un mercato rialzista di cinque anni aveva appena raggiunto il picco e che stava per scatenarsi uno dei crack più devastanti della storia della finanza.

È difficile prevedere il futuro 

Se lo scambio di dichiarazioni della settimana scorsa dovesse sfociare in una situazione più seria, gli storici faranno notare che gli investitori ancora una volta non l’hanno saputo prevedere. Anche quando nella prima metà della settimana scorsa lo scontro verbale si è fatto pesante e i mercati asiatici hanno iniziato a tremare, l’S&P 500 ha continuato a crescere, segnando un nuovo record di sedute di mercato senza variazioni superiori allo 0,3%. È stato necessario aspettare fino a giovedì perché la situazione venisse finalmente compresa. 

Ma solo chi ha il dono della retrospettiva e non ha scommesso nulla su strumenti rischiosi rinfaccerebbe agli investitori queste sviste. La recente volatilità pare giustificata. Il costo umano ed economico di un eventuale scontro a fuoco tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti o relativi alleati, e la vicinanza della crisi a un attore economico e geopolitico importante come la Cina, implicano che anche la più piccola probabilità di un simile sviluppo potrebbe essere sufficiente a generare un rischio finanziario. Allo stesso tempo, è molto probabile che tutto si concluda con un nulla di fatto. In tal caso, torneremmo ad occuparci di bilanci e fondamentali aziendali, gongolandoci nell’aura positiva di due ottime stagioni degli utili. 

Chiunque nel 2005 o 2006 si fosse posizionato per affrontare una crisi dei mutui subprime, per poi vedere i propri clienti allontanarsi per andare a lenire dolorose perdite, può testimoniare non solo quanto sia importante posizionarsi per la volatilità del mercato, ma anche quanto sia facile per gli investitori ignorare i segnali di tensione, privilegiare un insieme di dati rispetto a un altro o lasciarsi trascinare dalle vicende di singole società o dalle tendenze. 

Riteniamo che la migliore lezione che si possa trarre dagli eventi del 1987, 1997 e 2007 sia abbandonare il compiacimento e l’eccesso di sicurezza nella propria capacità di prevedere gli eventi della settimana, del mese o dell’anno a venire. Per contro, la nostra esperienza in quei tre momenti di tracollo epocali ci dice che un portafoglio adeguatamente diversificato è quello che avrà le maggiori probabilità di superare indenne il 2027, 2037 e 2047.

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