Condividi

Iva e deficit: Borghi sbanda sui numeri

In un’intervista alla Stampa l’economista della Lega dice di voler disinnescare le clausole di salvaguardia lasciando correre il deficit, ma i suoi calcoli non vanno d’accordo con quelli dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio

Iva e deficit: Borghi sbanda sui numeri

Dopo aver aperto una crisi agostana inedita per l’Italia, la Lega dà prova di creatività anche sui conti pubblici, soprattutto per quanto riguarda Iva e deficit. In un’intervista pubblicata lunedì sul quotidiano La Stampa, l’economista del Carroccio Claudio Borghi – presidente della Commissione bilancio della Camera, nonché teorico dei minibot – assicura che la manovra di un eventuale governo Salvini frutto di elezioni anticipate “è già scritta” e contiene una ricetta infallibile per evitare che l’Iva aumenti.

In sostanza, per sterilizzare le clausole di salvaguardia da 23 miliardi la Lega intende aumentare il debito pubblico, lasciando salire il deficit 2020 fino al 2,8% del Pil. Un livello inferiore al 3% di Maastricht, ma superiore al 2,1% previsto nell’ultimo Def e soprattutto all’1,8% chiesto da Bruxelles e fissato come obiettivo dal ministro Tria.

Borghi dice di non cercare il conflitto con l’Ue e di non voler uscire dall’euro: “Cosa penso io dell’euro si sa, ma non c’è nessun intento di andare a menare le mani per il gusto di farlo. Però, per noi, c’è un punto invalicabile che è il bene per i cittadini italiani. E se non ci fanno fare le cose che riteniamo utili noi le facciamo lo stesso, a differenza di altri che invece partono già battuti e rassegnati a fare quello che ti dice l’Europa”.

Tuttavia, il problema è nei numeri. Borghi non cita infatti altre misure compensative per scongiurare l’aumento dell’Iva da 23 miliardi: nessun taglio alle spese, nessun aumento delle entrate fiscali. Anzi, l’economista della Lega ribadisce l’intenzione di abbassare l’Irpef: “Il 15% va raggiunto con gradualità, però bisogna iniziare da subito e garantirlo a tanti”. Quindi il disinnesco delle clausole di salvaguardia avverrebbe completamente in deficit.

In un’ulteriore precisazione fornita all’agenzia Reuters, Borghi spiega che il disavanzo salirebbe al 2,8% come “effetto contabile isolato del non far aumentare l’Iva” e aggiunge che questo livello non è un obiettivo preciso, perché è troppo presto per stabilirlo (strano: la manovra non era “già scritta”?), ma si rimarrà certamente sotto il 3%.

Peccato che l’Ufficio Parlamentare di Bilancio non sia d’accordo con questi calcoli. In un’audizione dello scorso 16 aprile davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il presidente dell’Upb, Giuseppe Pisauro, ha detto che, in base all’ultimo Def, senza gli aumenti dell’Iva e senza compensazioni il deficit salirà “al 3,4% nel 2020, al 3,6% nel 2021 e al 3,8% nel 2022”.

Anche ipotizzando che queste previsioni siano sbagliate di diversi decimali, è molto probabile che la cancellazione delle clausole di salvaguardia a colpi di deficit spingerebbe comunque l’Italia verso la procedura d’infrazione europea. Un rischio che abbiamo corso appena due mesi fa per aver alzato il disavanzo del 2019 al 2,4% e che siamo riusciti a scongiurare solo tornando a quota 2,04% con l’assestamento di bilancio di luglio.

Commenta