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Italia, la crescita va nonostante inflazione e paure dei listini

La vera novità è che a guidare la ripresa ora è l’Europa del Sud. I prezzi a + 4,1% frenano invece la locomotiva tedesca. Ecco l’analisi di Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, e le sue previsioni

Italia, la crescita va nonostante inflazione e paure dei listini

Soffia un vento sinistro sui mercati azionari, come sempre “condannati” a seguire le tendenze di Wall Street, che pur sempre vale quasi il 60% degli scambi a livello globale, ed innervosita dalle battute d’arresto delle economie d’Oriente, peraltro orfane da stamane del contributo dei listini cinesi, fermi per il golden week. Ma l’atmosfera non rende giustizia, per ora, alla progressione dei mercati europei, per ora solo sfiorati dagli effetti negativi di un autunno che non s’annuncia facile. Certo, la Brexit sta colpendo come un boomerang il Regno Unito che, goffamente, offre agli autisti dei Tir già cacciati dall’isola contratti buoni per un trimestre. E l’inflazione al 4,1% frena la locomotiva tedesca, alle prese con i tagli del cliente cinese e con trasparente ricatto di Mosca, che concede gas naturale con il contagocce finché Berlino non completerà il gasdotto North Stream.  

Ma, grande novità, a guidare la ripresa è l’Europa del Sud, già vittima dell’austerità teutonica, oggi l’area più vivace, anche al di là delle previsioni, come ha sottolineato Mario Draghi. L’ultima conferma è arrivata stamane: la manifattura italiana ha mantenuto una crescita solida a settembre nonostante le ripercussioni legate ai problemi con le forniture e alle carenze di materie prime. L’indice IHS Markit Purchasing Managers (Pmi) si è attestato a 59,7 da 60,9 di agosto, saldamente sopra della soglia di 50 che separa la crescita dalla contrazione, e sopra le attese per 59,4.  

Trova altresì conferma l’analisi di Gregorio de Felice, il chief economist di Intesa Sanpaolo che, tra l’altro, dirige quell’osservatorio dei distretti che è probabilmente la più sensibile antenna della congiuntura di casa nostra. Pochi giorni fa De Felice, in occasione del convegno dell’Andaf, ha tenuto una relazione dal titolo “Un ponte tra passato e futuro” che si concentra sulla spinta che il piano europeo può garantire all’accelerazione della crescita italiana, la vera battaglia da vincere per un Paese, l’Italia, che per (troppi) anni ha registrato un aumento del debito superiore al tasso di sviluppo. Non è questione puramente macroeconomica. Anzi. Il PNRR, nel tempo, può accelerare, se correttamente sviluppato, nel lungo termine la crescita del Pil. Di quanto? Secondo l’analisti di De Felice, l’efficienza della pubblica amministrazione può garantire un aumento del 2,3%, mentre un buon punto percentuale può essere garantita dalla riforma della giustizia e da provvedimenti sulla concorrenza. L’impatto sul tasso di crescita potenziale del Pil del Piano Ue può essere di un buon punto percentuale alla fine del ciclo del Next generation Ue. 

Troppo ottimismo? Certo, i problemi non mancano. A partire dalle strozzature nei trasporti marittimi e dalle pressioni al rialzo delle materie prime. Per di più, l’impennata dell’inflazione in Usa impone alla Fed di dar l’avvio, non si sa con quanto entusiasmo, al tapering che comunque sarà interpretato dai mercati come un freno all’ascesa di Wall Street e una spinta ai rendimenti del debito. Ma in Europa, grazie all’efficacia delle campagne vaccinali, si profila una ripresa guidata dai servizi, sufficiente in parte a compensare le eventuali difficoltà incontrate dall’export (per ora compensate dalla forza del dollaro sull’euro). A far pendere la bilancia verso il segno più sarà la ripresa dei consumi nonché la dinamica degli investimenti fissi. Vale per l’Europa, vale a maggior ragione per l’Italia che potrebbe prender velocità prima di marzo, quando si esauriranno gli acquisti del programma Pepp (ma continueranno quelli nell’ambito del Qe).  

A far prevedere un aumento dei consumi dopo la lunga quaresima è il tesoretto di extra-risparmio accumulati dalle famiglie negli anni della pandemia, un serbatoio che consentirà al Pil di crescere più del potenziale. Oltre naturalmente alla spinta del PNRR che concentrerà i tre quarti della sua potenza di fuoco nel Bel Paese con effetti rilevanti per gli investimenti fissi nel green e nell’economia digitale. 

Andrà così? O l’ottimismo del fattore Draghi che si riflette nell’aumento della fiducia delle famiglie andrà incontro ad una doccia fredda? Buona la prima, ci dice De Felice. Ma con un’avvertenza: il ciclo virtuoso va tutelato e difeso con ogni mezzo. Anche perché, a proposito di ripresa, se non ora quando?  

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