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Italia chiama Africa: al MAXXI la riconciliazione nell’arte

Italia chiama Africa: al MAXXI la riconciliazione nell’arte

Non c’è tema più centrale di quello dell’immigrazione, delle persone che si incontrano e che cambiano luoghi, spostandosi da un continente all’altro, dell’Africa. Ed è centrale non solo perché ognuno ha un’opinione a riguardo, perché tutti sanno che domenica si riunirà a Bruxelles un vertice informale dei capi di stato e di governo dei paesi interessati dalle tematiche dei flussi e delle richieste d’asilo, ma perché ognuno è coinvolto, a tutti i livelli.

Il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma, comunemente noto come MAXXI, ospita due mostre che presentano la vitalità della scena artistica e culturale africana e che propongono una riflessione sulle contraddizioni, le ferite aperte e le speranza di un continente legato a doppio filo con l’Europa. “In questo momento di chiusura, non solo dei porti, ma generale, noi proviamo a mantenere le porte aperte e trasmettere speranza, resilienza e possibilità di vivere insieme”, ha commentato in conferenza stampa Giovanna Melandri, Presidente della Fondazione MAXXI.

La prima mostra African Metropolis. Una città immaginaria, curata da Simon Njami e co-curata da Elena Motisi, è ospitata dal 22 giugno al 4 novembre 2018. Questo progetto è stato fortemente voluto da Giovanna Melandri, con l’obiettivo di seguire la strada già battuta dal Museo di continuare a vedere l’arte e la cultura come strumenti di dialogo e diplomazia culturale: “è per noi un’occasione di incontro e collaborazione con le comunità africane presenti a Roma e che sono state coinvolte in un’intensa attività di mediazione interculturale, interpretando le opere in mostra secondo le loro personali esperienze”, spiega Melandri. Il progetto di mediazione interculturale Afropolitan si sviluppa in parallelo alla mostra e ha per protagonisti italiani, giovani di seconda generazione e autoctoni che descrivono le opere, restituendo al visitatore il loro punto di vista sulle opere.

I cento lavori di cui si compone questa mostra – fotografie, installazioni, sculture, tessuti e video – sono stati elaborati da 34 artisti e incarnano gli elementi di una città immaginaria, che è la città di nessuno, e in cui ognuno segue il proprio cammino per ritrovarsi. I curatori hanno individuato cinque azioni metropolitane – Vagando, Appartenendo, Riconoscendo, Immaginando e Ricostruendo – che raccontano una città immaginaria che lo spettatore può interpretare sia nella dimensione fisica sia in quella mentale di una comune metropoli contemporanea.

L’esposizione non segue un percorso specifico, una sequenza organica, ma è lo spettatore a muoversi al suo interno quasi con lo stesso spaesamento che vive un uomo quando percorre le strade di una città nuova, dove tutto è ancora una scoperta e nessuna strada sbagliata. Elena Motisi, curatrice della mostra, spiega: “la città può essere approcciata da diversi punti di vista, il filo conduttore che può aiutare il visitatore a orientarsi nella mostra è il senso del vagare, che è una delle azioni metropolitane, seguendo suoni, immagini e colori, tutti riferimenti visivi che appartengono alla città”.

Alcuni tra gli artisti in mostra sono: Youssef Limoud che con la sua opera Labytinth rievoca un edificio collassato su se stesso, Hassan Hajjaj che con un opera esclusiva per il museo Le Salon Bibliothèque riproduce lo spazio di una libreria dall’atmosfera marocchina, Franck Abd-Bakar Fanny che espone la sequenza di fotografie My Nights Are Brither than Your Days, frutto delle sue passeggiate notturne a causa del jet-lag dovuto alle lunghe ore di volo necessarie per condurlo dall’Africa, all’Europa, all’America.

Une delle opere più significative è rappresentata da un audio registrato da un artista francese che all’interno di un solo nastro ha fatto confluire i suoni che solitamente si odono in sottofondo nelle metropoli e provenienti da quattro diverse città africane. È stato semplice pensare a Roma, a Milano, a New York, perché in si ascoltavano le voci, le macchine, le situazioni che tutti vivono nel quotidiano e non importa se si è nati a nord o a sud del mondo, il senso di appartenenza a un luogo, smettere di sentirsi straniero, lo restituiscono le esperienze di vita vissuta.

La seconda mostra si intitola Road to Justice e si concentra sulla storia d’Africa e sui sentimenti, sulla rabbia, sul dolore, sulla violenza di un continente dilaniato dalle guerre e dalla colonizzazione, ma anche sulla speranza, sull’identità e sulla memoria. Questa mostra è curata da Anne Palopoli e rimarrà in allestimento dal 22 giugno al 14 ottobre 2018. In esposizione ci sono 11 lavori di 9 artisti che si declinano in fotografie, video, dipinti e installazioni che percorrono tre diversi stadi temporali: presente, passato e futuro.

“Nessuna singola persona può liberare un paese. Si può liberare solo un paese solo se ti comporti come una collettività”, diceva Nelson Mandela. La città è uno spazio aperto e come tale è destinato alla collaborazione di tutte le genti del mondo.

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