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Inter, Mancini ha già portato entusiasmo ma la rosa è quella che è: per il derby serve un miracolo

Il ritorno di Mancini sulla panchina dell’Inter alla vigilia del derby ha già galvanizzato la tifoseria ma nessuno ha la bacchetta magica e per vincere il derby contro un Milan che non sta molto meglio ci vorrebbe comunque un miracolo – Sognare però non costa nulla e aver allontano l’abulia dei tempi di Mazzarri è già un passo avanti – Ecco perché.

Inter, Mancini ha già portato entusiasmo ma la rosa è quella che è: per il derby serve un miracolo

Nella Milano messa sott’acqua dal Seveso e dal Lambro come fosse una palude del Polesine, l’arrivo sulla panchina nerazzurra di Mancini è stata una vampata di ritrovato entusiasmo per noi tifosi interisti. Da troppo tempo eravamo frastornati e annichiliti, fino al disgusto, nell’estenuante attesa del “meglio deve ancora venire” promesso da Mazzarri tanto da farne il titolo di un libro che ora, dopo il siluramento del tecnico di San Vincenzo,  è un vero e proprio ossimoro letterario.  Ecco di nuovo il Mancio, quello che ci ha dato tre scudetti dopo tanti anni di magre e sofferenze, pronto nientemeno che a sfidare nel derby il Milan.

Sognare non costa nulla. Che Obi diventi all’improvviso una sorta di Modric. Che Icardi si trasformi in qualcosa di simile a Cristiano Ronaldo. Che Vidic  torni quello di cinque anni fa. O che nel corso della stagione, Jonathan , oggi in infermeria, si “robbenizzi” diventando davvero  il divino come appare in un’esilarante parodia di Buffa che spopola sul web. Tanti prodigi, all’ombra della Madonnina, solo perché sulla panca di San Siro domenica non ci sarà più WM ma il Mancio, che è più bello, più internazionale, più simpatico di Mazzarri?  Troppo  bello per essere vero. 

Così prima ancora che le acque del Seveso e del Lambro  si ritirassero, l’effetto sorpresa è cominciato a scontrarsi con la realtà di una rosa povera di magia e di talenti. Mancini porta una ventata di fresco, il suo stipendio milionario ci ricorda il Bengodi morattiano di un tempo, ma nemmeno lui ha la bacchetta magica. E’ stato lui stesso a dirlo. Nessun allenatore è vincente se non ha giocatori all’altezza, dai piedi buoni.  La storia del calcio offre rarissime eccezioni, tanto da rendere inspiegabile perché un allenatore debba costare così caro visto che nessun di loro ha mai trasformato un ronzino in un purosangue. Al contrario ricca è la casistica di allenatori che falliscono pur avendo a disposizione fior di campioni. Lippi fece flop con l’Inter che aveva Vieri, Baggio e anche Ronaldo finché non si sfracellò il ginocchio. 

Capello ha inanellato imbarazzanti risultati allenando le nazionali prima di Inghilterra e oggi di Russia. Ranieri ha addirittura portato la Grecia a perdere con la minuscola Faer Oer. Van Gaal  nel ricco e glorioso Manchester United sembra il fratello imbolsito di quello che guidò l’Olanda al Mondiale brasiliano, lo stratega che inventò il portiere ad hoc per la sfida finale dei rigori. Mancio, fresco di un’esperienza in chiaro-scuro al Galatasaray,  ben conosce le insidie della sua professione, lui che dall’Inter fu addirittura cacciato dopo aver vinto il terzo scudetto nell’ultima partita a Parma. 

Incontrando Marco Tronchetti Provera  in quei giorni per un’intervista sugli europei del 2008, il patron di Pirelli, mi disse: “Dispiace, ma era troppo scosso e stressato per poter continuare”. Mancini era diventato in un attimo il passato. Stava per arrivare Mourinho. Si sfiorò anche la bega giudiziaria. Adesso lo stesso Tronchetti saluta il ritorno di Mancini come speranza di “un domani di recupero”. C’è il derby e subito dopo la trasferta a Roma: un esordio da brividi, test che ti possono mandare in paradiso ma anche subito all’inferno. Mancini lo sa come sa, anche se non può dirlo apertamente,  che la rosa dell’Inter di oggi è ben più scarsa di quella che trovò dieci anni. E Thohir dopo aver aperto i cordoni della borsa per lui, trovandosi due allenatori da pagare – 15 milioni all’anno, non una bazzecola! – non pare intenzionato a fare altri sforzi importanti nel mercato di gennaio.  

Esaurita l’onda lunga del triplete e dei suoi eroi, rimpiazzati da sostituti del tutto modesti, la panca nerazzurra dopo Mourinho si è trasformata in un terribile trita-allenatori in cui sono finite anche volpi di lungo corso come Benitez e Mazzarri. E nel campionato italiano non capiterà più un trampolino di lancio come fu Calciopoli per l’Inter che si trovò a vincere prima uno scudetto di cartone, poi un campionato senza Juve finita in serie B e con il Milan penalizzato di otto punti.  Intanto però un piccolo miracolo Mancini l’ha già fatto spazzando via quell’alone di apatia e di rassegnazione  che settimana dopo settimana aveva avvolto il tifo nerazzurro facendo di San Siro, sempre più vuoto un concentrato di fischi.

Così domenica alle 20.45, chi a San Siro, chi davanti alla tv, tutti noi interisti saremo di nuovo con lui, contro i diavoli rossoneri che molto meglio di noi non stanno. Che vinca il migliore o, visti i tempi che corrono, il meno peggio.

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