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Industria italiana: Intesa e Prometeia riducono stima fatturato a 1,5%. Ma molti settori vedranno crescita

Il settore manifatturiero italiano ha mostrato di reggere meglio di altri paesi la crisi del 2020. Nel 2023-26 l’attesa è di una crescita media del 2,6%

Industria italiana: Intesa e Prometeia riducono stima fatturato a 1,5%. Ma molti settori vedranno crescita

Minore domanda, costi proibitivi e carenza di materiali hanno portato Prometeia e Intesa Sanpaolo a rivedere al ribasso le stime di crescita 2022 dell’industria manifatturiera italiana verso un 1,5% di aumento tendenziale del fatturato deflazionato.

Si tratta comunque di un livello che resta sopra la crescita media che aveva caratterizzato l’economia italiana nei decenni pre-covid, come indicato nel 101mo rapporto analisi settori industriali. Nell’ottobre scorso l’analogo rapporto aveva previsto una crescita del fatturato del 4,9%. Ma gli analisti di Intesa Sanpaolo e Prometeria stimano che nei quattro anni dal 2023 al 2026 la crescita media sarà del 2,6%.

Per il fatturato a prezzi correnti la stima viene rivista al rialzo, verso un tasso di crescita del +17,9% tendenziale, dal +6,9% stimato ad ottobre, come effetto dei forti rincari dei costi di approvvigionamento che, pur affievolendosi gradualmente nel corso dell’anno, resteranno su livelli elevati rispetto alla fase pre-confitto in Ucraina.

Per il 2022 si prevede un calo della marginalità media del manifatturiero, verso un Ebitda margin dell’8,8%, dal 9,1% stimato per il 2021.

Il fatturato manifatturiero ha superato la soglia record di 1.000 miliardi nel 2021

Il conflitto coglie il manifatturiero italiano in un momento positivo e in una fase di intensa ripresa che l’ha portato a superare significativamente i livelli pre-Covid: nel 2021 il fatturato ha registrato una crescita del +5,4% sul 2019 a prezzi costanti e del +11,2% a prezzi correnti, sostenuto dalla spinta inflattiva generata dal primo rally (ante conflitto) delle commodity soprattutto non energetiche e ha superato la soglia record di 1.000 miliardi di euro.

Il mercato interno è stato il principale traino della ripresa, grazie alla spinta decisiva degli investimenti, soprattutto in costruzioni. Meno brillante, ma comunque positiva, l’evoluzione dei consumi, che a fine 2021 scontavano ancora un gap del 7% rispetto al 2019, pur avendo beneficiato di una vivace ripartenza degli acquisti di beni semi-durevoli e di servizi, legata anche al turismo.

Crescita export a doppia cifra

Anche la domanda estera ha influenzato positivamente la performance manifatturiera 2021: la carenza di input intermedi e i colli di bottiglia nella logistica internazionale non hanno impedito all’export italiano di beni manufatti di evidenziare una crescita in doppia cifra (+12,9% tendenziale a prezzi costanti). Oltre la metà di tale risultato si deve al contributo dei vicini mercati europei, ma non sono mancate performance molto positive negli Stati Uniti e in Asia, diffuse dal punto di vista settoriale.

Le esportazioni italiane di manufatti sono attese crescere a un ritmo medio annuo superiore al 3% nel 2023-26 a prezzi costanti, portando il saldo commerciale a sfiorare la soglia dei 120 miliardi di euro.

Buona tenuta dell’Italia nella crisi 2020, meglio dei competitors

L’industria manifatturiera italiana ha mostrato di aver tenuto bene rispetto al 2020 e di essere anche riuscita a contenere -meglio di quanto hanno fatto i competitor europei- il calo dei margini e della redditività (il Roi è sceso al 5,7% nel 2020, dal 7,6% del 2019), grazie anche al sostegno delle misure governative. Nonostante il crollo della rotazione del capitale e il maggior carico dei costi fissi per unità di prodotto inoltre, la struttura patrimoniale si è mantenuta in equilibrio, con un leverage sostanzialmente stabile sullo 0,6 nella media del manifatturiero, riflettendo un processo di rafforzamento della patrimonializzazione in atto già dal 2009.

A differenza di quanto avvenuto in altre fasi di ripiegamento ciclico, caratterizzate da ampi cali di redditività, la quota di aziende con buoni livelli di Roi si è mantenuta elevata durante la fase più acuta della pandemia, evidenziando come il processo di selezione dell’ultimo decennio abbia portato all’emergere di un nucleo forte di imprese, meglio attrezzate per affrontare la volatilità dello scenario economico. La vivace ripresa del 2021 dovrebbe inoltre aver favorito consistenti recuperi di efficienza, permettendo al Roi medio del manifatturiero di ripianare parte delle perdite accusate nell’anno precedente

Produttori di beni durevoli più in difficoltà insieme a Sistema Moda

I settori che più hanno contribuito alla riduzione della stima di crescita di Prometeia-Intesa rispetto al rapporto di ottobre sono stati i produttori di beni durevoli, penalizzati soprattutto dalla domanda (poiché il consumatore, a causa dell’erosione dei redditi, è portato a ridurre gli acquisti), ma anche dalle difficoltà di approvvigionamento di componenti e materiali.

Nelle ultime tre posizioni del ranking 2022 si posizionano, infatti, Mobili (con una stima di fatturato deflazionato stazionario sul 2021, in termini tendenziali), Elettrodomestici (-0,8%) e Autoveicoli e moto (-0,9%). Da segnalare, nel caso di Mobili ed Elettrodomestici, anche la maggiore esposizione al calo delle importazioni della Russia, mercato di sbocco rilevante per alcune categorie di prodotto.

All’erosione del reddito disponibile dei consumatori si deve anche la significativa revisione al ribasso della crescita 2022 per Sistema Moda (+1,7% tendenziale), Largo Consumo (+1,5%) e, in misura minore, Alimentare e bevande (+0,3%), comparti che subiranno gli effetti dei nuovi vincoli di bilancio causati dalle fiammate inflazionistiche, pur in un contesto di miglioramento legato all’evoluzione della pandemia.

In affanno anche i produttori di beni intermedi

Peggiorano, rispetto a fine 2021, anche le prospettive dei produttori di beni intermedi: prodotti in metallo (+1,8%), Metallurgia (+0,9%), Altri Intermedi (+0,7%) e Intermedi chimici (+0,1%). Per gli ultimi due settori, il ciclo di ricostituzione delle scorte delle imprese clienti, importante volano di crescita, difficilmente potrà riproporsi con la medesima intensità osservata nel corso del 2021.

Invece ecco i settori che avranno buone prospettive

Per contro, le prospettive restano positive, sebbene meno brillanti, per i settori che continueranno a ricevere impulsi dal PNRR e dagli investimenti già programmati per la transizione green e digitale: Prodotti e materiali da costruzione (+5% tendenziale il fatturato deflazionato 2022), Meccanica (+3,8%), Elettrotecnica (+3,2%) ed Elettronica (+2,4%).

Sostanzialmente stabile, infine, l’outlook 2022 della Farmaceutica (+1,3%), grazie anche al contributo derivante dalla produzione di cure (come gli anticorpi monoclonali) e dall’infialatura di vaccini anti-Covid, che vede impegnate anche alcune imprese italiane in partnership con i player proprietari del vaccino.

Vista crescita del 2,6% medio nel quadriennio 2023-26

In uno scenario positivo, in cui non prendano il sopravvento un’escalation del conflitto, pressioni inflazionistiche, difficoltà negli approvvigionamenti e incertezza diffusa, il manifatturiero italiano è atteso crescere ad un ritmo attorno al 2,6% medio annuo nel 2023-26, a prezzi costanti. Una performance che segna un deciso cambio di passo rispetto al ventennio pre-Covid.

Sarà cruciale il sostegno del PNRR, sia in termini di risorse dispiegate a supporto della crescita sia di riforme, a cui dovranno affiancarsi significativi piani di investimento da parte delle imprese, per accelerare sul fronte della transizione digitale e ambientale, non più rinviabile.

Con l’accelerazione del ciclo degli investimenti resterà sostenuta nel medio periodo la crescita di Elettrotecnica, Elettronica ed Autoveicoli e moto, con tassi attorno al 4% medio annuo a prezzi costanti nel 2023-26. Più dinamici del manifatturiero anche i settori della filiera metalmeccanica, stimati crescere ad un ritmo di poco inferiore al 3% medio annuo.

Cruciale la diversificazione delle fonti energetiche, verso potenziamento delle rinnovabili

Il conflitto Russia-Ucraina ha posto l’accento sulla necessità di progredire sul fronte di una diversificazione delle forniture di gas e, più in generale, delle fonti energetiche, verso un maggior ricorso alle Fonti di Energia Rinnovabile (FER), che possano ridurre la dipendenza dall’estero per la sussistenza energetica.

Nell’ultimo decennio, l’Italia ha compiuto enormi progressi nell’installazione di impianti FER, in particolare nel fotovoltaico, oggi seconda tecnologia prevalente dopo l’idroelettrico, accumulando 58 gigawatt di capacità che, nel 2020, ha generato il 42,4% della produzione lorda di energia elettrica del nostro paese, coprendo il 38% dei consumi (sopra la media UE).

Italia uno dei paesi più virtuosi in consumi finali lordi

Elevata anche la quota di consumi finali lordi complessivi da rinnovabili (che includono anche i comparti termico e dei trasporti, oltre all’elettrico): il 20,4% del 2020 è un risultato importante, superiore all’obiettivo prefissato del 17%, che ci rende uno dei paesi più virtuosi tra i principali competitor europei, davanti a Germania e Francia.

Ma le sfide restano aperte perché i target green fissati dall’UE al 2030 sono ancora più ambiziosi e coinvolgono in misura crescente l’industria, sia i settori più tradizionali, dove le fonti FER hanno un elevato potenziale nella generazione di calore per i processi produttivi, sia i settori più energivori o hard-to-abate, dove le FER possono giocare un ruolo complementare ad altri vettori energetici come l’idrogeno.

Componentistica Fer italiana leader in Europa e nel mondo

Per raggiungere questi obiettivi, l’Italia può contare sulla presenza di una filiera italiana di componentistica FER già ben posizionata nel contesto europeo e nel commercio mondiale: nel 2020, circa un quarto della produzione europea di moltiplicatori di velocità e oltre il 30% di quella di parti elettriche per macchine (componenti chiave degli impianti per rinnovabili) è stata realizzata nel nostro paese. Il PNRR stanzia inoltre fondi importanti per rafforzarla, oltre che per far nascere una vera e propria filiera dell’idrogeno a supporto della transizione green.

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