Condividi

Il paradosso delle carte di credito: i tetti alle commissioni rischiano di far salire i prezzi

La decisione della Ue di ridurre i prezzi delle transazioni elettroniche con un tetto alle commissioni rischia paradossalmente dal primo gennaio di indurre gli operatori a recuperare i ricavi in altro modo (dal costo della carta di credito e di debito al canone annuale) con un effetto boomerang per i consumatori

Il paradosso delle carte di credito: i tetti alle commissioni rischiano di far salire i prezzi

Agli albori del capitalismo, il maggiore degli economisti liberali classici, Davide Ricardo, teorizzò che l’alto prezzo dell’oro fosse di ostacolo allo sviluppo dei commerci e al dispiegarsi delle forze della concorrenza, basata sui vantaggi comparati. Negli anni Novanta del secolo scorso due brillanti economisti italiani, Pierluigi Ciocca e Giangiacomo Nardozzi (era il tempo di alti tassi di interesse, del tutto opposto all’attuale) analizzarono in un saggio dal titolo “L’elevato prezzo del denaro” gli effetti negativi di un alto costo reale della moneta sullo sviluppo e sugli investimenti, lavoro che evocava non solo nel titolo il pensiero ricardiano.

Oggi, con la stessa logica, dovremmo, senza essere né supponenti né irriguardosi, compiere una breve riflessione sull’alto prezzo della plastica, come fattore disincentivante della diffusione dei pagamenti elettronici in Italia. Proviamo a spiegarci meglio. A seguito di una decisione assunta nel corso del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea, conclusasi a giugno, verranno abbattute a partire dal 1 gennaio prossimo le cosiddette interchange fee sulle carte di credito e di debito, portandole normativamente e rispettivamente allo 0,3% e allo 0,2% del valore del transatto.

Animati dal sacro furore di ridurre i prezzi delle transazioni elettroniche, al fine di aumentarne la diffusione, l’input partito dalle nostre Autorità e accolto in apposito regolamento europeo è stato forse eccessivo, al punto di rischiare il risultato esattamente opposto a quanto desiderato, vale a dire quello di indurre gli operatori al probabile aumento di prezzo di altre componenti della filiera delle operazioni non in contante, elevandone il costo complessivo.

Gli issuer di carte vedranno ridotti di oltre tre volte il livello attuale dei loro ricavi, con l’innalzamento del punto di pareggio economico della transazione media di molte decine di euro. Quindi nel momento in cui si sta puntando a incentivare la diffusione delle operazioni di importo sempre più ridotto, vera leva per ridurre l’uso del contante tra il pubblico, se ne riduce l’interesse per gli emittenti. O meglio, si creano le condizioni affinché essi ricerchino fattori compensativi della perdita di ricavi strettamente connessi con la remunerazione dei servizi offerti, ricaricando in altro modo i clienti.

Queste modalità potranno essere essenzialmente due: il prezzo fisico della carta, al momento del suo collocamento, e quello del canone richiesto annualmente per mantenere attivo il servizio. Ecco che cosa intendiamo per innalzamento del prezzo della plastica: un peso minore della componente economica delle operazioni a mezzo carta e un probabile peso maggiore del peso economico dello strumento, della carta appunto, cioè della plastica della quale è fatta.

Il cliente pagherà di più l’oggetto fisico, affinché gli issuer rientrino del minor valore ottenuto dalle operazioni di pagamento, con un diminuito interesse anche per la promozione di campagne a sostegno della modernizzazione dei servizi di cui si parla. Non vi sarà neanche la certezza che con le nuove regole vengano proporzionalmente ridotte le commissioni richieste ai merchant dagli acquirer, fattore centrale per l’aumento del numero delle transazioni, dato che non è detto che, anche nella doppia veste di issuer e acquirer, i grandi operatori procedano in questa direzione.

Il processo di fissazione del prezzo complessivo sarà anche inficiato da una maggiore dose di approssimazione, al contrario di quanto consentirebbero calcoli di convenienza industriale applicati al prodotto transazione, piuttosto che al prodotto supporto fisico. Ne potrebbe soffrire la trasparenza delle condizioni praticate alla clientela finale che verrebbe vista dagli issuer come acquirente di carte, invece che dei servizi con esse offerti, considerato che quanto maggiore ne diventasse l’utilizzo tanto minore ne sarebbe il rendimento, se non la perdita economica, per l’emittente medesimo. Un paradosso che potrebbe addirittura invertire il processo faticosamente avviatosi nel nostro Paese per ridurre l’uso del contante, con un distacco che non accenna a colmarsi nei confronti dei nostri più diretti concorrenti.

Dagli ultimi dati BCE (press release del 15 ottobre scorso) risulta infatti che questa posizione di retroguardia riguarda sia quantità che numero di operazioni pro capite, con sorprendente evidenza del ritardo accumulatosi irrimediabilmente non solo rispetto a paesi come la Francia o la Germania, ma anche rispetto alla Spagna. Sempre dalla stessa comunicazione emerge la rilevanza delle carte, così come plasmata nel passaggio alla SEPA: su oltre 100 miliardi di transazioni annue in Europa i bonifici e gli addebiti costituiscono insieme il 47 per cento del totale, mentre da sole le transazioni con carte di pagamento sono ben il 46 per cento.

La strada è tracciata in modo irreversibile: sviluppare i pagamenti non può prescindere dalle carte di debito e di credito e dalla moneta elettronica. Dato che a ogni analisi che si rispetti debbono seguire indicazioni di policy, come si sarebbe dovuto procedere? In parte questa domanda è retorica, dal momento che l’industria dei pagamenti non parte oggi, ma negli anni 50 con un forte impulso proveniente da paesi che hanno poi adottato politiche sempre più efficaci per sviluppare massivamente e in tempi rapidi i pagamenti elettronici.

Nessuno può più inventarsi nulla e un rapido elenco delle cose già fatte in altri paesi, ma non in Italia, suggerisce gli orientamenti passati e futuri del mercato: eliminazione degli Atm dai centri commerciali, limiti ai pagamenti in contante con contestuale tariffazione (spesso applicata in modo surrettizio tanto da richiedere il preventivo assenso dell’antitrust) del contante e degli assegni bancari, incentivi ai pagamenti elettronici e per il futuro incentivi ai pagamenti SEPA, in assoluto i più convenienti per i consumatori, senza indulgere nella protezione di peculiarità nazionali (rav, mav, bollettini postali, riba).

 Un’ultima considerazione riguarda il modus operandi dei prezzi amministrati sulle carte nei paesi europei che sono caratterizzati da quantità variabili delle operazioni con carte di pagamento. Se l’effetto principale di tetti alle commissioni è l’aumento del canone annuo della carta per il suo titolare, si può facilmente prevedere che nei paesi in cui le operazioni pro-capite sono in numero elevato, l’aumento del canone sarà più facilmente diluito, mentre da noi ove le operazioni pro capite con carte di pagamento raggiungono appena 30 unità annue, l’effetto sarà di disincentivare l’acquisto delle carte a monte della filiera dei pagamenti. È come essere presbiti: non abbiamo visto bene quel che accadeva in casa nostra ed abbiamo pensato di portarci in un colpo solo laddove erano gradualmente, ma con determinazione, arrivati gli altri paesi e gli altri operatori, nostri competitors.

In sintesi, la leva diretta sui prezzi, oltre a ricordare prassi dirigistiche, è forse la più difficile da modulare, con il rischio di scambiare l’obiettivo con lo strumento, con indesiderati contraccolpi. Le Autorità dovrebbero invece tenere ben presente che gli stimoli da dare alla nostra industria dei pagamenti, anche grazie all’entrata di nuovi soggetti, quali le piattaforme di commercio elettronico, gli istituti di pagamento e gli imel, debbono consistere in prima istanza nel livellare effettivamente il campo di gioco, disboscandolo dai lacci e lacciuoli, che si rappresentano nelle pressioni della industria bancaria per il mantenimento delle proprie esclusive prerogative. Si pensi soltanto al regolamento delle transazioni o ad altre riserve, ancora presenti nel nostro ordinamento, a favore di banche e poste relativamente ad alcune tipologie di operazioni. Dovrebbero anche essere ben bilanciati i costi della regolamentazione, se si vuole irrobustire l’industria nel suo complesso.

I campi di intervento spettanti a Mef, Banca d’Italia e alle associazioni di categoria che si propongono di rappresentare i nuovi intermediari hanno innumerevoli occasioni di esprimersi lungo questo percorso. Aspettiamo quindi fiduciosi qualche forma di ravvedimento operoso delle policy pubbliche fin qui praticate, in attesa della Seconda Direttiva Europea sui servizi di pagamento.

PS. Come si può facilmente osservare, nessun accenno viene fatto in questa nota alle furiose polemiche scoppiate in questi giorni sull’innalzamento a 3000 euro della soglia delle transazioni in contante, che, rispetto ai ragionamenti sopra esposti, ha probabilmente un peso irrilevante nel ritardare l’uscita del Paese dalle conclamate condizioni di arretratezza di cui si è detto.

Commenta