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Il libro di carta ha ucciso Kindle? Ma l’ebook va in crisi se è solo la replica del libro di carta

Il pubblico torna ad affollare le librerie e rilancia il libro tradizionale ma la crisi dell’ebook è in realtà crisi del Kindle e-reader e dell’ebook inteso come semplice spin-off del libro di carta – Così com’è l’ebook compete male con il libro e la questione del prezzo diventa fondamentale – Le responsabilità di governi ed editori, di Amazon e di Apple.

Il libro di carta ha ucciso Kindle? Ma l’ebook va in crisi se è solo la replica del libro di carta

Ritorno dal futuro

Il mondo ha tirato un sospiro di sollievo, in un 2015 iniziato malissimo. Si è appreso che durante la stagione natalizia la gente è tornata ad affollare le librerie come non si vedeva da qualche anno. Foyles, la più grande libreria di Londra – da poco trasferitasi in nuovi e più spaziosi locali –, ha registrato un aumento delle vendite dell’8%. James Daunt, il combattivo direttore della catena di librerie Waterstone, ha lanciato dal “Telegraph” il grido revanchista: “Il libro è tornato, il Kindle è morto. Le vendite dei libri stanno eclissando le loro alternative digitali”. E il giornalista del “Telegraph” lì a confermare: “sì, anche mio figlio ha messo via il Kindle, che adesso chiama ‘quel coso là’”. Waterstone è l’unica grande catena che ha smesso di combattere Amazon decidendo di esporre e vendere i Kindle nei propri spazi; lascia anche scaricare gli ebook attraverso il wi-fi veloce della libreria dopo che il cliente li ha sfogliati prelevandoli dai tavoli del negozio.

Il ritorno della gente in libreria si è verificato anche negli Stati Uniti dove le vendite di libri del quarto trimestre del 2014 hanno segnato un robusto +9%. Il l terzo trimestre era stato un mezzo disastro con l’ennesima deprimente flessione del 3,3%.

Pure in Italia una grande libreria indipendente come la Hoepli – analogamente a Waterstone offre i Kindle nei propri spazi – ha visto moltissima gente intorno ai tavoli e agli scaffali durante il periodo natalizio. Giovanni Hoepli, Presidente di Hoepli spa, se l’è spiegata così “Con le tante librerie che hanno chiuso a Milano, i posti dove andare si sono ridotti di molto”. In effetti, è così: il mercato del libro in Italia ha perso oltre un quarto del proprio valore in 5 anni. Il quarto del valore perso (oltre 300 milioni di euro) non se l’è preso l’ebook (che nel 2014 in Italia vale 60 milioni di euro), ma è andato semplicemente disperso verso attività concorrenti.

Phil Jones in un articolo sul “Guardian”, Long live the ebook – it’s a champion of the printed word, ha buon gioco nel sottolineare che la faccenda è un po’ più complicata di come la racconta Daunt non foss’altro per il fatto che tra il 2010 e il 2013 l’ebook è cresciuto in modo ciclopico, a ritmi forse irripetibili. In Gran Bretagna, per esempio, il mercato degli ebook è salito da nulla nel 2010 a 300 milioni di sterline nel 2013. Ciò è accaduto anche grazie a bestseller unici come le 50 sfumature di grigio e A nudo per te che sembravano fatti apposta per essere distribuiti in ebook. Questa fortunata contingenza non si è ripetuta nel 2014, a secco di bestseller. In realtà, come scrive il giornalista del “Guardian”, la crisi dell’ebook è la crisi del Kindle e-reader e dell’ebook inteso come spin-off del libro. Ed è proprio questo il punto.

 

L’ebook come spin-off

importantissimo nello scenario dei nuovi media.

Russ Grandinetti è secondo il “Guardian” l’uomo più potente dell’industria del libro nella sua posizione di direttore operativo delle attività Kindle di Amazon. Grandinetti sostiene da  tempo che il libro è la tecnologia più resiliente che esista. Anche perché è molto sexy nella sua fisicità che data 5 secoli. Non è una sorpresa neppure per Amazon che il libro resterà a lungo nel patrimonio genetico dei media. Questa consapevolezza è pienamente condivisa dalla stampa e dagli stessi tecnologi.

Un inatteso e superlativo spot per il libro è giunto da Mark Zuckerberg. Zuckerberg, come buon proposito per il 2015, ha lanciato un club di lettura: lui stesso leggerà due libri al mese. In un post l’inventore di Facebook ha parlato dei libri con quello stesso sincero e spontaneo entusiasmo di Larry Page, il suo maggiore concorrente in qualità di co-fondatore di Google. Qualche annetto fa, presentando il progetto Google libri, Page ha espresso al NYTimes la propria meraviglia nell’aver scoperto che nei libri è contenuta più conoscenza di quella reperibile con Google. Dev’essere stata una sorpresa scioccante per Page che ha pure frequentato una scuola montessoriana.

Il 2015 è dunque iniziato bene per il libro che si è rialzato dal tappeto. È iniziato meno bene per il suo giovane spin-off, l’ebook, che adesso rischia, lui, di finire al tappeto proprio per essere rimasto una mera replica del libro assai meno attraente di quest’ultimo, facilmente smarribile e con un valore percepito fortemente inferiore. Verrebbe da chiedersi se si sia veramente verificato il caso in cui una nuova tecnologia è stata arginata e infine soppiantata da quella precedente.

In effetti, le vendite degli ebook come “alternative digitali al libro” – per esprimersi come James Daunt – sono state stagnanti per tutto il 2014. Stando a quello che dice lo stesso Daunt, quelle dei dispositivi di lettura Kindle sono completamente scomparse durante la stagione natalizia (scomparse nei negozi Waterstone). Il nervosismo di Amazon nell’ultimo semestre del 2014 mostra che c’è del fondamento in quello che dice Daunt. La fibrillazione del gigante di Seattle nel 2014 ha raggiunto dei picchi sorprendenti, anche per l’autolesionismo che ha sprigionato, durante la disputa con Hachette e il quasi contemporaneo fallimentare lancio del Fire Phone. A seguito di azioni mal condotte, Amazon sembrava, a un certo punto, il nemico pubblico numero uno della cultura, degli scrittori e dei consumatori stessi.

La realtà è che, a questa fase del suo sviluppo, l’ebook, come puro spin-offcompete male con il libro: propone lo stesso contenuto in una versione “povera”, immateriale; è difficilmente cedibile o condivisibile, un’attività quest’ultima profondamente radicata nelle abitudini del lettori. Adesso anche il vantaggio più rilevante dell’ebook, cioè il differenziale di prezzo con il libro sta scomparendo e spesso si riscontra che la versione ebook di un titolo costa quanto o più del’edizione paperback. Come si è verificata questa perdita di competitività dell’ebook nei confronti del libro e degli altri media? Vi hanno parimenti contribuito i comportamenti tre principali soggetti del mercato: gli editori, le politiche governative e infine le aziende tecnologiche, Amazon ed Apple.

 

Gli editori

Prima di tutto ci sono gli editori che stando mantenendo l’ebook in uno stato di minorità nel tentativo di prolungare l’attuale equilibrio del mercato e del suo indotto basato sulla carta stampata. I grandi editori, dopo aver visto bandito il tanto ricercato modello agenzia dai tribunali e dall’antitrust delle due sponde dell’Atlantico, hanno ingaggiato un duello all’ok Corall con Amazon per mantenere il controllo del prezzo degli ebook che il modello alternativo, praticato da Amazon, gli avrebbe sottratto completamente. Grazie al sostegno dei media e alle tattiche sbagliate di Amazon, alla fine l’hanno spuntata: saranno gli editori a decidere il prezzo di vendita degli ebook anche fuori dal modello agenzia di distribuzione. E il prezzo degli ebook rimarrà al livello che gli editori desiderano fin quando vogliono. Fine delle innovazioni di prezzo e di prodotto.

E così sta succedendo. Stando così i prezzi, se il lettore deve scegliere tra libro ed ebook, compra il libro, anche perché l’ebook non offre niente di più. Infatti esso non riceve alcun investimento supplementare dagli autori, dagli editori. In queste condizioni come dice giustamente Amazon, e come non si stanca di ripetere Jeff Bezos, il prezzo è il bazooka per allargare il mercato anche ai lettori non abituali. Se gli ebook di prima fascia costassero 9,99 dollari il mercato partirebbe come un razzo lanciato nel cielo. E tutta l’industria ne beneficerebbe. Ma occorrerà aspettare ancora parecchio. Tocca agli editori muovere e ci saranno pochissime novità sia nei listini che nei contenuti che nei formati. L’ebook continuerà ancora ad essere un mero spin-off del libro.

 

Le politiche governative

I governi considerano l’industria del libro come una sorta di patrimonio nazionale e tendono a proteggerla come si protegge il Partenone onde evitare che accada come ai marmi con Lord Elgin. Succede specialmente nell’Eurozona dove la crisi di questa industria cumula i suoi effetti con la crisi dei consumi e del lavoro. Succede poi che, in quasi totale assenza di un’industria tecnologica europea nel campo dei media, i governi tendano a contrastare l’invasione del modello culturale e mediatico americano, che non è visto con occhi benigni dal mondo imprenditoriale e dalle organizzazioni dei lavoratori in Europa.

A parte qualche eccezione, come il governo italiano del “tecnologico” primo ministro, ci sono da attendersi pochi aiuti alla diffusione di servizi operati dai gruppi tecnologici d’oltre Atlantico come Amazon o Apple che stanno rivoluzionando l’industria culturale. La parola d’ordine nell’Eurozona è protezionismo e leva fiscale per regolare il mercato. Sono misure gradite ai grandi editori europei che non si sono mai infiammati per l’editoria digitale.

Prendiamo l’ultimo provvedimento europeo sull’IVA nell’e-commerce. Chi ha assorbito l’aumento dell’IVA sugli ebook scaricati da Amazon ed Apple che, operando dal Lussemburgo, applicavano un aliquota del 3%? L’hanno assorbito i consumatori europei, naturalmente. Ad eccezione dell’Italia e della Francia (dove l’IVA sugli ebook è adesso del 4% e del 7%) i prezzi degli ebook sono aumentati sensibilmente ovunque. Non ci sono ancora statistiche disponibili, ma quando usciranno fotograferanno un aumento medio di almeno il 10%. È proprio quello che ci voleva al mercato!

 

I tecnologici

Amazon ed Apple distribuiscono quasi l’80% degli ebook attraverso i loro due negozi che servono oltre un miliardo di clienti (800 milioni iTunes e 280 Amazon). Moltissimo dipende dalle azioni di questi due ciclopici operatori a livello globale che hanno fatto dell’innovazione la loro bandiera. Tutte le innovazioni che hanno interessato il mercato del libro negli ultimi 10 anni, compresi gli ebook, sono venute dai tecnologici e così sarà in futuro; dall’industria costituita verrà pochissimo.

Ci sono però molte ombre nelle azioni di questi innovatori seriali. Si tratta di ombre che rischiano di diventare una zavorra per lo sviluppo di un mercato degli ebook veramente di massa. Iniziamo con Amazon.

 

Amazon

Prima di tutto Amazon deve cambiare la sua politica verso l’ecosistema del publishing. La tattica molto fisica usata finora (palla avanti, tutti all’attacco e azzoppare l’avversario) è, a dir poco, piuttosto primitiva, senza offesa per gli uomini delle caverne. Se è servita ad avviare un processo importante di rinnovamento, oggi mostra la sua fragilità: adesso c’è bisogno di alleanze non di pugni nello stomaco. Per dirla con gli autori di un libro fortunatissimo, Nudge, c’è bisogno di una spinta gentile. Inoltre la lobby degli editori e degli autori non è quella dei produttori di pannolini. Le case editrici sono parte di conglomerati media in grado influenzare la politica di un governo e di una nazione. La vicenda Hachette ha insegnato che questo metodo fisico è dannoso. Speriamo che Amazon l’abbia appresa. È l’ora di togliere gli speroni e indossare i mocassini.

Poi c’è il discorso dei dispositivi e-reader (i Kindle e-reader) su cui atterra quasi metà degli ebook scaricati nel mondo. Ebbene i Kindle e gli altri e-reader ostacolano enormemente la nascita di ebook di nuova generazione, non vanno oltre la mera e pedissequa replica di un libro su uno schermo. È evidente che con l’equazione e-reader=libro la partita si gioca solo sul prezzo del contenuto. Controllato quello, è fatta. Il Kindle è stato concepito come un dispositivo mimetico dell’esperienza di lettura su una pagina stampata. È stato progettato come un dispositivo elettronico esclusivo, più che inclusivo di funzionalità. Collegarsi a Internet è un’esperienza all’Indiana Jones, la posta elettronica manco a parlarne. Perfino audio e video non sono ammessi. Ogni componente visuale è riprodotto in bianco e nero. Il linguaggio per lo sviluppo degli ebook somiglia all’HTML di quando c’era Mosaic per navigare in Internet.

Nel 2007 il Kindle e-reader poteva essere veramente un’idea trasformativa (leggero, semplice da usare, a buon mercato, integrato con il negozio elettronico), oggi è un elemento assolutamente conservativo. Coloro che volevano leggere con un Kindle o un e-reader lo stanno già facendo e molti sono anche stufi di quella modalità di lettura digitale. Non c’è sviluppo con i Kindle e-reader. Esiste ancora una persona che non senta l’esigenza di alzare gli occhi dalla pagina per vedere le ultime notizie, o controllare la posta o rispondere a una notifica, oppure andare su Internet a verificare un’informazione o un stimolo che ha ricevuto leggendo? Credo che non esista più.

Con i Kindle non si conquistano nuovi lettori. È con gli smartphone di grande formato e con i tablet che si possono conquistare nuove aree di mercato per l’ebook. Il Kindle Fire è un ottimo tablet, ma è ancora concepito come un hortus conclusus. Bisognerebbe buttar giù la cerchia muraria e aprirsi pienamente al mondo Android. Ma questo passo non ci sarà.

Poi c’è il problema del “mobi”, il formato di ebook proprietario dei dispositivi Kindle e delle relative app. Il primo passo che deve fare Amazon è abbandonare il “mobi” e adottare l’ePub3, non solo perché è lo standard seguito dal resto del mondo, ma perché l’ePub3 è il linguaggio che permetterà agli eBook di sviluppare un proprio canone, un qualcosa che non sia più la mera replica del libro fisico. Il “mobi” ha fatto il suo tempo, è arrivato il momento di pensionarlo.

 

Apple

Apple ha veramente tutto affinché il mercato degli ebook si dispieghi pienamente. Ha il prestigio, ha i dispositivi giusti, ha il software più evoluto per leggere gli ebook di nuova generazione, ha 800 milioni di clienti abituati ad acquistare e spendere in contenuti. Sarebbe un ambiente ideale.

Eppure, fino a qualche mese fa veniva da chiedersi a che pro la Apple era entrata nel mercato degli ebook. Più che un’azione di business, sembrava un atto di pura presenza che è costato un prezzo alto all’azienda di Cupertino in soldi e in immagine. La sconfitta pesante in tribunale ad opera del Dipartimento di Giustizia, che ha dimostrato che la Apple ha costituito un cartello con i cinque maggiori editori per alzare il prezzo degli ebook, è stata una pubblicità pessima e imbarazzante rimbalzata di blog in blog, di giornale in giornale in tutto il mondo. Tutta l’azienda ne è uscita malissimo, compreso il suo leggendario capo, Steve Jobs. Al processo e alla condanna è seguito l’esborso di 450 milioni di dollari per mettere in mora la class action delle associazioni dei consumatori. Un disastro! La faccenda era partita già male. Eddy Cue – la racconta su un  numero recente di “Fortune” – aveva faticato non poco per convincere Steve Jobs a mettersi nel business dei libri digitali. A Jobs i libri importavano poco e così il business degli ebook non è mai partito in casa Apple la cui quota di mercato non è mai stata all’altezza delle potenzialità.

Finché non è successo una cosa che doveva succedere subito. L’applicazione iBooks è stata preinstallata su iOS 8 e oggi arriva a bordo di ogni iPhone e iPad al momento dell’accensione del dispositivo. Ecco che si apprende che iBookstore (il negozio di ebook di Apple) sta crescendo al ritmo di un milione di nuovi clienti al mese. Ci sono voluti quattro anni per riconoscere un truismo: che l’app iBooks deve risiedere di default su tutti i dispositivi Apple, compreso il Mac.

Poi c’è il negozio di ebook di Apple che ha bisogno di una bella messa a punto. iBookstore è stato finora, per scelta di Apple, la vetrina dei bestseller e dei titoli dei grandi editori che occupano quasi interamente gli slot più visibili dello store. Nello store attuale c’è ben poco spazio per gli editori indipendenti e gli autopubblicati che sono le realtà più interessanti e innovative della nuova editoria. Finora Apple ha “regalato” queste promettenti e interessantissime realtà ad Amazon. Sembra adesso esserci un ripensamento importante. A Gennaio 2015 a New York, durante il Digital Book World , Keith Moerer, direttore dell’iBookstore, ha dichiarato che Apple aprirà agli editori indipendenti e si impegnerà a trovargli una congrua visibilità. Dichiarazione da segnare.

L’app iBooks supporta pienamente il formato avanzato ePub3 ed è prontissima ad accogliere ebook di nuova generazione, più multimediali, più interattivi, più visuali i quali possono incontrare i gusti dei potenziali lettori assuefatti ai nuovi media.

C’è infine un fenomeno di grandissimo rilievo: il numero degli ebook scaricati dagli iPhone supera quello degli iPad. Gli smartphone di grande formato stanno diventando i dispositivi di lettura preferiti e prenderanno il posto degli e-reader e dei tablet (calati del 12% nel 2014) per leggere testi, giornali, riviste e libri. Chi meglio di Apple potrebbe avvantaggiarsi di questa tendenza? Nessuno.

 

Il lettore ibrido

Libro contro ebook è un tema posto male. È una semplificazione mentale. Bisogna esaminare la questione dal punto di vista del consumatore. In realtà, il consumatore di contenuti li fruisce dappertutto e scambia i supporti di lettura a seconda delle situazioni e delle circostanze. Non è che il possesso di un e-reader o di un tablet esclusa a priori la lettura di un libro, o che il lettore del libro mantenga a distanza un ebook se ha in casa un qualsiasi dispositivo sul quale leggerlo. Il comportamento è, diciamo, utilitaristico. In spiaggia si legge un libro, in treno un ebook e quando si cammina si può ascoltare un audiolibro. In ufficio si può riprendere l’ebook per finire il capitolo sul computer sottraendo tempo al lavoro. Spesso si tratta dello stesso identico contenuto la cui lettura si sviluppa a staffetta in rapporto al contesto fisico in cui avviene l’azione di leggere. Stiamo assistendo alla nascita di quello che potremmo chiamare il lettore ibrido. Questa è un’evoluzione importante e positiva.

Si può calcolare che in questo momento almeno 2 miliardi di persone hanno a portata di mano un dispositivo per leggere un ebook. La quasi totalità delle persone che legge libri oggi ha anche un tablet, un e-reader o uno smartphone o tutti quanti. Questo enorme pubblico è attivabile con un’offerta corretta. Ecco il punto, l’offerta. C’è bisogno che questa si evolva sul piano dei contenuti e sul piano commerciale. Del primo abbiamo già parlato: occorre mettere nelle condizioni più idonee il mercato perché i creativi, i narratori di storie, gli autori, i saggisti possano pensare, progettare e costruire contenuti per la lettura su un video connesso, senza che questa scelta divenga un atto di testimonianza o un’esplorazione priva di effetti economici. Se questi contenuti di nuovo tipo possono essere visualizzati solo sull’iPad, che è il 14% del mercato, gli autori non hanno il necessario stimolo né intellettuale né economico a tentare nuove strade. Restano solo quelle conosciute: scrivere un libro tradizionale. Qui ci vuole l’ePub3 universalmente supportato.

Sul piano commerciale gli editori e i distributori devono trovare delle formule tutto compreso che, con una piccola maggiorazione di prezzo sul costo del libro, permetta al consumatore di prendere tutte le versioni del contenuto, il libro, l’ebook e l’audiolibro, in un’unica transazione. Quante volte vogliamo che il consumatore paghi per lo stesso contenuto? Un’offerta “bundle” a un costo ragionevole attiverebbe molti clienti e permetterebbe di superare l’“opzione libro/ebook?” dei clienti abituali, sciogliendola in una scelta win-win “libro più ebook”.

Amazon ha già un programma apposito dal nome Kindle MatchBook che fa scaricare l’ebook gratuitamente – o con un piccolo supplemento – all’acquirente di un libro di un editore che aderisce al programma. Esiste un programma analogo di Amazon, MatchMaker, pensato insieme ad Audible, per ebook + audiobook. Si tratta di programmi molto validi che hanno bisogno di raccogliere il consenso di editori e autori. L’editoria maggiore non aderirà a questi programmi e neppure ne varerà di nuovi o di concorrenti. Difficilmente succederà. Saranno ancora gli editori indipendenti e gli autopubblicati a smuovere le acque e intraprendere iniziative di innovazione.

 

Libro ed ebook contro tutti

Chi lavora nell’industria del libro ha ancora la fortuna di leggere che il tempo delle persone dedicato alla lettura di letteratura e saggistica long form non è diminuito con l’avvento dei media digitali. La forma libro difende bene le sue posizioni. Ma le attività che contendono al libro il tempo e l’attenzione dei consumatori sono cresciute a dismisura e l’offerta di divertimento e di accesso alla conoscenza e all’informazione è veramente sterminata.

È soprattutto la distribuzione del tempo fuori dal lavoro la questione centrale nel nuovo scenario digitale. Un recente studio, Pressed for Time. The Acceleration of Life in Digital Capitalism di Judy Wajcman, professoressa di sociologia alla London School of Economics, affronta questo tema e pone molti spunti di riflessione per chi ricerca tempo e attenzione per sviluppare il proprio business in un ambiente ipercompetitivo. La lettura di un libro è un’attività che consuma molto tempo, alle volte oltre le 10 ore.

È difficile non dare ragione a Jeff Bezos quando dichiara che in questo scenario un libro da 30 dollari non compete solo con un altro libro da 30 dollari, ma compete anche con i servizi di streaming, con i videogiochi, le applicazioni, i video di YouTube e Vine, con i blog, con i social media e i servizi di instant message e chi sa con quant’altre proposte di lettura, di visione e di ascolto. Con 30 dollari si acquistano 3 mesi di abbonamento a Spotify (accesso senza limiti a 30milioni di canzoni) o a Netflix (accesso senza limiti a una libreria di 100mila film e programmi TV). Nel 2014 gli abbonati hanno trascorso un miliardo di ore al mese sui contenuti di Netflix, passando sul servizio una media di 93 minuti al giorno. Tutte queste proposte di svago e d’informazione e di conoscenza condividono lo stesso spazio di visione e di lettura, uno schermo, e sono collocate nello stesso ambito visivo del libro. Il consumatore non deve far altro che toccare un’icona per passare da un’attività all’altra; dalla lettura, alla visione, all’ascolto, alla scrittura.

L’argomento che il libro e l’ebook subiscono la concorrenza brutale degli altri media e che quindi il prezzo deve essere calcolato tenendo conto di questo stato di cose, è stato uno degli argomenti più pompati da Amazon durante la disputa con Hachette. Si tratta di un argomento fondatissimo e, per chi pensasse che il gigante di Seattle lo usa strumentalmente pro domo sua, può ascoltare il parere di uno dei più autorevoli osservatori del mondo dei media e anche uno dei più distaccati e obiettivi. David Carr, il media columnist del NYTimes, ha scritto che i media tradizionali non solo subiscono la concorrenza dei nuovi media ma devono fronteggiare anche la sfida dei media per i quali non c’è ancora una definizione come i selfie scattati con i bastoni allungabili e postati su Instagram e Snapchat a dare forma a un nuovo genere per il quale forse c’è già un nome, “Narcissistick”. Ecco che cosa scrive Carr nel suo articolo Selfie on a Stick, and Social-Content Challenge fo the Media:

Non c’è bisogno di un editore tradizionale per creare un’esperienza condivisa. Molti giovani consumatori sono divenuti essi stessi dei mini editori che pubblicano su Vine, Instagram, YouTube e Snapchat. È difficile attrarre la loro attenzione con contenuti media creati per la massa quando sono impegnati a creare e condividere i propri.

La pratica dei selfie è diventata così diffusa che lo Stato di New York ha approvato una legge che vieta di scattarli insieme a tigri e leoni.

Ecco perché non è libro contro ebook, ma libro ed ebook contro tutti, selfie soprattutto. 

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