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Il lab della musica: dove va lo streaming?

La barriere allo sviluppo del nuovo modello di industria della musica: iTunes ha funzionato egregiamente e anche lo streaming sta iniziando a produrre degli effetti psicologici positivi, seppur ancor bene da interpretare nella loro reale portata.

Il lab della musica: dove va lo streaming?

L’industria della musica è stata devastata da Internet come lo fu Dresda dagli inutili bombardamenti alleati. Come una povera bestiola da laboratorio, il mondo della musica ha subito ogni tipo di esperimento fino a quando ha perduto metà del suo peso tanto da non potere alzarsi più. Il grafico sotto, elaborato da Erik Brynjolfsson del MIT, è a dir poco traumatizzante: dopo il 2000 il consumo di musica è raddoppiato ma i ricavi dell’industria sono dimezzati, un fenomeno che si fa beffa di ogni logica economica conosciuta.

A onor del vero qualche iniziativa ha iniziato a risollevare almeno il morale delle persone che lavorano in questo comparto dei media: iTunes ha funzionato egregiamente e anche lo streaming sta iniziando a produrre degli effetti psicologici positivi, seppur ancor bene da interpretare nella loro reale portata. Nel 2012 per la prima volta l’industria non è arretrata e sembra essersi avviata a un consolidamento.

Non preoccupiamoci troppo

Come fa adesso la musica a crescere per tornare ai livelli del 1998, quando il mercato generava tre volte tanto le risorse di oggi? Un bel dilemma trattato con acume da due studiosi della nuova economia che, proprio osservando il caso della musica, hanno tratto qualche utile insegnamento raccolto in vari studi culminati in un libro importantissimo “The Second Machine Age”. Si tratta di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee del Center for Digital Business del MIT, un osservatorio di prim’ordine, un cui lavoro seminale esiste anche in italiano.

I due studiosi del MIT ci dicono che non dobbiamo preoccuparci troppo: quando una rivoluzione tecnologica, come quella provocata dalle macchine cognitive, impatta un modello economico consolidato lo fa con una certa forza esogena distruttiva che genera un lungo periodo di “torbidi” (che sono una nota fase della storia russa) alla fine del quale viene forgiato un nuovo modello che riporta sviluppo e prosperità. Questo nuovo modello ripristina a un livello superiore i 4 principi buoni del business: produttività, profittabilità, occupazione più qualificata e distribuzione della ricchezza sulla collettività. Non ci resta, allora, che “spray and pray”.

Lo streaming: modello vincente

Per l’industria dei media il modello di uscita dai “torbidi” sarà lo streaming. Nella musica, che innova con largo anticipo, è qualcosa che sta già avvenendo. Bene allora! Non del tutto, perché lo streaming non è ancora economicamente sostenibile. Malgrado i numeri iperbolici che inanellano i fan dello streaming della musica, è ancora esiguo il numero dei consumatori che passano dall’ascolto gratuito all’abbonamento: il 7% per Pandora e il 14% per Spotify. Tutti coloro che volevano acquistare un abbonamento da 10 dollari al mese con Spotify o servizio simile lo hanno probabilmente già fatto, altri lo stanno valutando, ma la grande massa degli utenti del servizio resterà con la formula gratis + pubblicità, il cui gettito neanche copre le il costo pagato per acquistare le royalty. Si opera quindi in perdita. In questo modo lo sviluppo del mercato è bloccato da una serie di barriere che impediscono alla enorme massa di consumatori di cliccare/sfiorare il pulsante “Abbonati”. Lo stesso sta avvenendo con gli ebook, con la televisione a pagamento e via dicendo.

Le barriere al mercato

Eccone una. Si sa che la spesa media in musica è tra i 50 e i 60 dollari l’anno. Bene l’abbonamento a Spotify costa due volte tanto: 120 dollari. Se lo stesso consumatore è anche appassionato di film e serie TV deve altri 120 euro a Netflix per lo streaming e negli Stati Uniti ci sono anche 100 milioni di persone che pagano svariate centinaia di dollari all’anno alla paytv. Poi ci sono i libri, i giornali, i periodici, i videogame, le applicazioni. È chiaro che il modello diciamo “on demand” o “à la carte” è ancora più appetibile per la grande massa dei consumatori, cioè per quelle persone che non sono consumatori forti di un bene o di un servizio specifico.

A questo punto ci sono due strade per lo streaming ma ancora non sappiamo quale prevarrà: o scende il costo dell’abbonamento dei singoli servizi, per esempio a 5 dollari al mese, oppure un pugno di giganteschi operatori globali, come Amazon, Netflix, Apple o Alibaba, proporranno un abbonamento tutto in uno (musica, film, tv, libri ecc.) da 150 dollari/euro l’anno. Il programma Prime di Amazon, per esempio, è un primo embrione di questo progetto.

Entrambe le prospettive sono molto difficili da realizzare perché domandano ai produttori di contenuti (editori, conglomerati media, studios) una rivoluzione copernicana che può impiegare a realizzarsi il tempo di quest’ultima.

Sarà ancora una volta la musica a dircelo come sembra far intendere ottimisticamente un importante articolo del “Financial Times” “Music chiefs put faith in stream power” che ebookextra.it offre al lettore italiano in traduzione e adattamento.

Non perdetevi questa puntata, leggete l’articolo tradotto su ebookextra.

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