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Il caffè italiano candidato a patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO

Con la formula “Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli” .

Il caffè italiano candidato a patrimonio immateriale dell’umanità UNESCO

Il caffè italiano si candida ad entrare nell’universo del patrimonio immateriale dell’umanità dell’UNESCO.  Con una decisione unanime il ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha oggi ufficializzato la candidatura de “Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli” sostenendo che “In Italia il caffè è molto di più di una semplice bevanda: è un vero e proprio rito, è parte integrante della nostra identità nazionale ed è espressione della nostra socialità che ci contraddistingue nel mondo”.

La candidatura è stata definita ufficialmente dopo un ampio dibattito che si era sviluppato fra nord e sud, oltre un anno fa, attorno alla proposta.

In realtà al ministero delle politiche agricole e forestali nel 2019 era stata presentata una prima candidatura in favore del caffè espresso italiano sostenuta dal Consorzio di Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale di Treviso nato con l’obiettivo di promuovere, valorizzare e tutelare il Caffè Espresso Italiano Tradizionale. L’anno scorso da Napoli era partita invece la richiesta di candidatura per il rito del caffè napoletano.

Il Presidente del Gruppo di lavoro Unesco del Mipaaf, Giuseppe Ambrosio era stato incaricato nel marzo del 2021 dalla Commissione Italiana Unesco di dare corso ad una trattativa tra le due parti per addivenire ad un unico dossier di candidatura del caffè espresso con l’obiettivo di presentare “una candidatura più solida e rappresentativa del panorama culturale italiano, in modo da evidenziarne ulteriormente gli elementi rituali, conviviali e di socialità”.

C’è voluto un anno per mettere d’accordo le parti, di qui la articolata definizione che mette d’accordo in una visione unitaria – e nazionale – Venezia e Napoli, con tutto il loro retroterra culturale.

Nel marzo scorso il professor Pierluigi Petrillo, Unesco chair professor, aveva chiarito: «Soltanto una potrà essere presentata all’Unesco, quella che più delle altre ha le caratteristiche richieste. Saranno analizzati entrambi i dossier ma solo quello che evidenzierà il rito e la convivialità potrà essere preso in considerazione. L’Unesco non tiene conto, infatti, degli aspetti commerciali, imprenditoriali o produttivi ma solo e soltanto dell’aspetto antropologico legato appunto alla tradizione e al “culto”».

Nel dibattito era intervenuto anche il prof. Marino Niola professore di Antropologia all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, schierandosi per il dossier napoletano. «In realtà – aveva affermato – non credo che possano esserci dubbi. Il Rito del caffè espresso napoletano è una pratica culturale e sociale antica– una bevanda sociale antica con la quale si crea socialità e convivialità. Come la Dieta Mediterranea e poi l’Arte del pizzaiolo, così anche il Rito del Caffè espresso napoletano dovrebbe entrare a fra parte del Patrimonio immateriale dell’Unesco. Questa è una verità scientifica ed oggettiva inconfutabile. A tal proposito basti ricordare il caffè sospeso, cioè regalato ad un estraneo, o il caffè di ginocchio, una pratica che si è diffusa tra 800 e 900, quando il barista tostava nuovamente i fondi per poter vendere il caffè ad un prezzo ridotto a chi non poteva permetterselo. O ancora il caffè della consolazione, quando vicini e parenti regalano il caffè per consolare dal dolore di una perdita. A differenza del caffè espresso italiano quello napoletano presenta delle caratteristiche più aderenti a ciò che l’Unesco richiede».

C’è voluto un anno ma alla fine ci si è trovati tutti d’accordo sulla definizione che soddisfa le varie esigenze.

Non è solo un fatto di prestigio storico culturale ma è soprattutto un riconoscimento importante di un settore economico con rilevanti ripercussioni lavorative: in Italia, infatti, ci sono 800 torrefazioni e 7000 addetti e vengono consumate 30 milioni di tazzine al giorno tra bar, ristoranti e locali pubblici.

“Una candidatura in grado di dare forte risalto all’Italia come come polo mondiale in termini di produzione alimentare di qualità e di cultura del cibo: non produciamo caffè eppure siamo riusciti a imporre questa nostra elaborazione della materia prima a tutto il mondo”. E’ quanto dichiara Mauro Agnoletti, professore universitario e coordinatore della candidatura del caffè espresso italiano nel patrimonio UNESCO, all’indomani della presentazione del dossier.

“Dopo più di un anno di riunioni e mediazioni – prosegue Agnoletti – il dossier, che sarà ora presentato alla commissione nazionale UNESCO, rappresenta anche un bell’esempio di ritrovata unità dellle diverse identità del nostro paese intorno un dei tanti elementi  forti della sua culturale  alimentare”.

“ll rito del caffè, con l’insieme dei fattori sociali, storici e culturali che lo caratterizzano – aggiunge il coordinatore della candidatura – riguarda tutta la popolazione italiana. Coinvolge una molteplicità di comunità e realtà locali accomunate dalla condivisione dell’arte della preparazione e delle modalità di consumo di questa bevanda che ha il potere di veicolare valori sociali, identitari ed emozionali che rappresentano il nostro paese nel mondo. La tradizione del caffe unifica città come Venezia dove nasce il Caffè Florian, primo luogo dedicato alla degustazione di questa bevanda, con Napoli, dove il caffè è particolarmente radicato nella tradizione tanto da avere assunto una sua ‘specificità culturale’, ma è presente con declinazioni diverse in tutto il nostro paese”.

“E’ stato un lungo lavoro per cercare di unificare due documenti che rappresentano culture e tradizioni diverse del caffè e  valorizzare in un solo testo l’origine storica del caffè che si colloca nel Nord Est dell’Italia in particolare a Trieste, luogo di arrivo dei primi sacchi di caffè dopo l’assedio di Vienna da parte dei turchi, e Venezia, con Napoli dove esiste forse la più forte comunità emblematica del caffè, che l’ha trasformato in un rito simbolo della cultura popolare campana a cui spesso si associa il caffè al momento di degustare la bevanda anche nel resto d’Italia”.

“Il rito del caffè espresso – conclude Agnoletti – è ormai diffuso in tutti i continenti, rappresentando uno dei  simboli  della cultura italiana”.

Se la candidatura verrà approvata l’Italia aggiungerà un altro importante riconoscimento al suo carniere di Patrimoni Universali. Tra i molti tesori italiani già iscritti ci sono già infatti l’arte italiana della ricerca del tartufo (2021), l’Opera dei pupi (iscritta nel 2008), il Canto a tenore (2008), la Dieta mediterranea (2010), l’Arte del violino a Cremona (2012), le macchine a spalla per la processione (2013), la vite ad alberello di Pantelleria (2014), l’arte della Falconeria (2016), l’arte dei pizzaiuoli napoletani (2017), la Transumanza (2019) fino all’ “Arte dei muretti a secco”.

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