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Il bestseller di Edoardo Nesi sulla crisi di Prato vince lo Strega ma cancella le speranze di futuro

Con “Storia della mia gente” Edoardo Nesi vince i premi letterari ma racconta un’Italia troppo smarrita e offre un’interpretazione discutibile e a senso unico della globalizzazione e della crisi industriale – Manca ogni prospettiva di progresso e ogni speranza di futuro che sono sempre state alla base della storia dell’umanità

Il bestseller di Edoardo Nesi sulla crisi di Prato vince lo Strega ma cancella le speranze di futuro

Attraverso sentieri tortuosi e spesso cosparsi di trappole e tranelli i premi letterari segnalano quasi sempre,oltre al valore artistico dell’opera premiata, lo stato d’animo del contesto in cui si vive, le pulsioni più profonde della pubblica opinione, quella cultura diffusa, magari inconsapevole, che spinge le masse a vedere ed interpretare la realtà in un certo modo, senza tenere nel giusto conto la razionalità e la   logica. E’ un’onda sotterranea, eppure poderosa, contro la quale è difficile navigare. Spesso essa nasce da interprertazioni distorte della realtà, da visioni quasi mitologiche di un felice passato ormai perduto, dalla tentazione di rinchiudersi in sè stessi a guardare il proprio ombelico, e soprattutto dalla “paura” del futuro.

Il premio Strega, assegnato quest’anno a Edoardo Nesi per il suo diario sulla catastrofe del tessile a Prato, intitolato “Storia della mia gente” interpreta bene il sentimento profondo dell’Italia di oggi: depressa, smarrita, impaurita. Il valore letterario dell’opera a me sembra modesto, con quelle citazioni un pò scolastiche dei grandi autori americani e di film famosi, mentre rappresenta bene lo stato d’animo degli italiani o forse di quello che i suoi intellettuali credono sia in questo monento storico il sentimento prevalente dei nostri concittadini.

Ci sono tutti i luoghi comuni che hanno occupato i cuori, prima ancora che le teste, di tanta gente e che sono alimentati da tanto cattivo giornalismo televisivo e da tanti intellettuali dal pensiero debole. Sembra certo, infatti, che il “futuro sarà peggiore del presente”, che  siamo entrati in una spirale irreverbile di “crisi, depressione,povertà” e che, infine, tutta la colpa è dei politici che “hanno aperto le frontiere alla globalizzazione” distruggendo così le nostre piccole imprese che sono state le vere artefici del benessere italiano in questo dopoguerra.

Nesi racconta la storia dell’industria tessile di Prato che ha origini antichissime ma che ha avuto uno sviluppo formidabile dagli anni ’50 fino a metà degli anni ’80, quando ha cominciato a farsi sentire la concorrenza cinese contro la quale le stoffe di Prato non potevano competere. L’autore dimentica di ricordare che lo sviluppo di Prato, così come quello di tante piccole imprese italiane, è dipeso anche dalla creazione della Comunità europea con l’eliminazione delle barriere doganali che ha consentito l’accesso a mercati importanti come quello tedesco. La globalizzazione, insomma, sarebbe stata una rovina ed infatti Nesi se la prende con i professori che, a cominciare da Giavazzi, indicavano le grandi opportunità che invece l’apertura dei mercati poteva offrire all’industria italiana, purchè essa fosse stata capace di compiere un salto sia dimensionale che di qualità.

Ma la storia è andata come è andata. Quello che impressiona e che essa ha lasciato nella mente dei nostri intellettuali un senso di frustrazione epocale è che questi passaggi, pur bruschi e che certamente avrebbero potuto essere gestiti meglio, siano sentiti come un allontanamento repentino da un mondo felice, una specie di Eden, che mai più sapremo ritrovare. Eppure lo stesso Nesi è un esempio di come gli individui ed i Paesi possono continuamente reinventarsi per stare al passo con i tempi e per raggiungere sempre nuovi traguardi. Lui ha dovuto vendere l’azienda di famiglia (ma non ci dice se i nuovi proprietari continuano a gestirla con il profitto che lui non aveva più) ma si è riciclato come scrittore e sicuramente di successo, visto che ha vinto il Premio Strega! Non è certo poco. Sicuramente ad altri suoi colleghi non sarà andata così bene. Certo molti operai hanno perso il posto. Ma hanno trovato altri impieghi o sono andati in pensione
ed i loro figli hanno studiato all’Università. Poi, a rendere il quadro più complicato e difficilmente decifrabile, sono arrivati i cinesi che hanno affittato i vecchi capannoni per fare confezioni e dove fanno lavorare i loro conterranei cinesi come schiavi.

Bisogna però chiedersi il perchè certe cose sono accadute. E’ sicuramente colpa dei nostri politici che non hanno avuto la capacità di promuovere per tempo una evoluzione della nostra industria e dei lavoratori verso specializzazioni a più alto valore aggiunto. Ma come lo stesso Nesi ammette in alcuni passaggi del suo libro, le responsabilità sono assai più diffuse.

Nesi sa che l’industria di Prato è riuscita a prosperare anche grazie alla diffusa evasione fiscale, alla distrazione della Pubblica amministrazione su tanti controlli,ad una politica sempre più invitata ad occuparsi delle faccende della propria “casta” senza badare troppo ad indirizzare il paese nel suo insieme. E’ da questo disordine che nasce poi la nostra incapacità a fronteggiare razionalmente l’invasione dei cinesi semi-schiavi,che ci ha fatto trovare impreparati di fronte all’apettura dei mercati, che rende molto difficile intaccare le enormi sacche di inefficienza specie nel settore pubblico,che ci fanno perdere progressivamente competitività non solo nei confronti dei cinesi,ma anche degli altri paesi europei come Francia e Germania.Impressiona che di tutti questi ragionamenti razionali e basati su ricerche scientifiche serie e condotte da studiosi di fama internazionale,siano rimaste pochissime tracce nel libro di Nesi. Certo l’Autore alla fine, parlando con un collega imprenditore, ammette che la crisi “è anche colpa nostra che pensavamo di poter continuare all’infinito a fare il mestiere dei nostri padri come se fosse un diritto acquisito ed intoccabile,che ci illudevamo di poter vendere nel terzo millennio gli stessi tessuti che producevano loro, e venderli ai soliti clienti negli stessi mercati”.

Ma è una  ammissione tardiva e da cui non scaturisce una forte volontà di guardare avanti,di inventare cose nuove per imitare quello che i nonni ed i padri hanno saputo fare sessant’anni fa.Si preferisce abbandorasi allo “smarrimento”,ci si sente come su una barchetta in mezzo ad un mare in tempesta, senza avere  la forza di  combattere contro le onde mettendo a frutto le indubbie capacità di navigare in acque agitate che ormai dovremmo avere acquisito, se non altro seguendo l’esempio delle generazioni che ci hanno preceduto che certamente non hanno dovuto superare difficoltà inferiori a quelle nostre.

E’ chiaro che poi, scendendo sul terreno più concreto della vita di tutti i giorni,dobbiamo ragionare e magari litigare su quale potrebbe essere la strada migliore per uscire dalla tempesta. Possiamo criticare la manovra del governo perchè non taglia le spese e mette troppe nuove tasse. Ma dobbiamo farlo con uno spirito diverso da quello della semplice conservazione di quel poco che abbiamo (e che comunque viene eroso automaticamente dalla crisi). Dobbiamo persare che possiamo riprendere a crescere ; che non necessariamente il futuro sarà peggiore del passato; e che l’economia non indica destini eneluttabili ma che può essere vinta da “un atto dell’immaginazione”. Insomma che la volontà dell’uomo è la vera molla che fa muovere l’ indice dell’economia.

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