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Iginio Massari: “Panettone, ecco come sarà quest’anno”

INTERVISTA a IGINIO MASSARI, il pluridecorato fondatore della Pasticceria Veneto di Brescia, ancora una volta insignito del premio del Gambero Rosso: “Nel confronto Italia-Francia: stravincono ancora i francesi” – “Il dolce al quale sono più affezionato è la millefoglie alla bavarese che faceva mia madre: mai più fatta così buona” – A marzo l’apertura della seconda pasticceria, ancora nella filiale di una banca a Milano: “Esperimento riuscito”.

Iginio Massari: “Panettone, ecco come sarà quest’anno”

Ha 76 anni, è bresciano doc e pochi giorni fa la sua Pasticceria Veneto si è confermata, per l’ennesima volta dal 1971, la migliore d’Italia, secondo la classifica stilata annualmente dal Gambero Rosso. Parliamo di Iginio Massari, il Maestro di tutti i pasticceri d’Italia, anche se lui stesso precisa che il titolo gli viene assegnato per stima, perché “in Italia la maestria non esiste. Esiste da 140 anni in Svizzera, dove per ottenerla bisogna superare un esame di Stato, e da 70 anni in Francia, dove c’è un corso di specializzazione quadriennale molto selettivo. Ci sono delle annate in cui nessuno riesce ad ottenere il riconoscimento”. Massari si definisce invece “un piccolo artigiano, onorato dal fatto che venga riconosciuta la qualità del mio lavoro. Più si va avanti con l’età, più si apprezza questo aspetto che non è mai scontato: la mia professione è basata sulle competenze, che si acquisiscono in un apprendistato continuo. Arrivare in cima è facile, restarci è difficile”.

Massari nasce a Brescia il 29 agosto del 1942 ed entra subito a contatto col mondo della cucina: il padre è direttore di una mensa e la madre è cuoca. “Ricordo ancora con emozione la sua millefoglie alla bavarese: non sono mai riuscito, nella mia lunga carriera, a farne una così buona”. E’ dunque quello il dolce al quale il Maestro resterà sentimentalmente più affezionato, anche se quello al quale è più legato il suo nome è senza dubbio il panettone, grande specialità della Pasticceria Veneto, fondata da lui stesso 47 anni fa nel centro della città lombarda. Per il panettone, ma non solo per quello, Massari è stato dal 1964 vincitore di oltre 300 premi nazionali e internazionali. Nel marzo del 2018 ha aperto la sua seconda pasticceria, a Milano, a pochi metri dal Duomo. Un locale molto particolare, unico in Italia, perché condivide gli spazi (ma ovviamente non gli orari di apertura) con una filiale della banca Intesa Sanpaolo.

“Siamo orgogliosi di aver portato per la prima volta l’alta pasticceria in banca aprendo gli spazi della nostra filiale di piazza Diaz a un partner d’eccezione come Iginio Massari”, spiega a First&Food Mauro Federzoni, direttore regionale Milano e provincia di Intesa Sanpaolo, aggiungendo che questa non è l’unica iniziativa di questo tipo della banca. “La relazione con i clienti per una banca è fondamentale e deve essere sempre arricchita individuando nuove modalità, anche insolite: la pasticceria di Massari è una iniziativa importante sul territorio milanese che segue l’apertura di uno store Puro Gusto all’interno della filiale di corso Vercelli, per estendere la fruibilità degli spazi a tutti secondo la filosofia della condivisione, filo rosso dei progetti culturali e commerciali di Intesa Sanpaolo”.

Maestro Massari, come è cambiata la pasticceria italiana negli ultimi decenni?

“Poco al Sud, che è rimasto legato alla tradizione, di più al Nord, dove ci sono state delle novità. Le due grandi rivoluzioni per la pasticceria sono state l’avvento del frigorifero e i mezzi di comunicazione come la tv e Internet. Il primo frigorifero in Italia è stato venduto nel 1954, ma non era ancora quello che intendiamo oggi per frigorifero: quello di ultima generazione, che usiamo in laboratorio, è solo del 1999. Il fatto di poter tenere gli alimenti al freddo o anche in freezer ha consentito ad esempio di usare meno zuccheri. I mezzi di comunicazione, come televisione e social network, hanno invece permesso scambi più frequenti di opinioni, non solo tra produttore e produttore ma tra nazioni e nazioni, il che ha favorito intrecci e miscugli e dato vita a innovazioni. Tuttavia non sempre positive e non sempre accompagnate da una doverosa sperimentazione, che a mio parere va sempre fatta in laboratorio e non sulla pelle del cliente”.

Lei è più per la tradizione o per l’innovazione?

“Per la tradizione, che però si badi bene include il verbo ‘tradire’. Si tratta dunque di riproporre un prodotto, ma di ‘tradirlo’ in senso buono, nel senso di cambiarlo un po’, nel tempo, per migliorarlo”.

Lei si definisce un artigiano, dunque ha una grande confidenza con la materia prima: come sono cambiate le materie prime in tutti questi anni della sua lunga carriera?

“Cambiano in continuazione. Rispetto a quando ho iniziato, le uova oggi sono molto migliori, hanno proteine più resistenti. Il livello di igiene alimentare è in generale migliorato e gli scambi commerciali tra i Paesi hanno permesso l’arrivo di frutta e verdura diverse, il che ha dato vita a nuovi sapori. Dove è possibile io prediligo le materie prime italiane, perché di solito mi fido della serietà. Ma a volte si hanno brutte sorprese: fino a qualche anno fa ad esempio in Italia si utilizzavano le armelline (semi di albicocca) per aromatizzare i biscotti, poi si è scoperto che possono provocare avvelenamento da cianuro”.

Come è evoluta la pasticceria italiana nella sua storica rivalità con quella francese?

“Sono pasticcerie simili, che utilizzano le stesse materie prime. Ciò che fa la differenza è la maestria, che in Italia non esiste. In Italia a volte confondiamo la qualità con l’eccellenza, ma dire che tutto è eccellenza non va bene. Siamo ancora molto indietro sul mercato internazionale: nei più grandi mercati, quelli di Usa, Giappone, Cina, il 95% della pasticceria venduta è francese e nel restante 5% c’è anche l’Italia ma non solo l’Italia”.

Manca poco al Natale, è tempo di una sua grande specialità: sua Maestà il Panettone.

“Noi produciamo due tipi di panettone: quello tradizionale, che comunque adattiamo ogni anno ai gusti che cambiano, e da qualche anno quello al cioccolato con cubetti di arancia canditi. Ma la stragrande maggioranza dei nostri clienti chiede ancora il panettone tradizionale”.

Cosa intende per ‘adattarlo ai gusti che cambiano’?

“Inserire, a seconda della tendenza che proviamo ad interpretare, più o meno frutta candita, più o meno uvetta, più o meno zucchero, più o meno miele e via dicendo. Per esempio, i tuorli incidono sulla struttura: più tuorlo rende il panettone più morbido ma rallenta la sua fermentazione”.

Come sarà il panettone 2018?

“Ci sarà una forte incidenza della vaniglia, che è in grado di esaltare gli altri aromi presenti. Poi abbiamo inserito un’uvetta molto particolare, che arriva dall’Australia. La nuova cottura renderà più masticabile il panettone all’esterno e molto morbido all’interno”.

A marzo ha aperto la sua seconda pasticceria, nella filiale di Intesa Sanpaolo di piazza Diaz, a Milano, a due passi dal Duomo. Che riscontri avete avuto?

“Milano è Milano, a livello commerciale è imbattibile. I milanesi, ma anche i turisti, hanno risposto benissimo. Ho ricevuto molto affetto, un affetto che giudico sincero. E’ un’iniziativa che mi farebbe piacere sviluppare, ma bisogna pensarci bene perchè voglio mantenere la qualità elevata e per questo servono le maestranze. Non è semplice ma l’idea è quella di ripetere l’esperimento”.

A parte il panettone, quale è il dolce al quale è più affezionato e perché?

“Al panettone sono legato perché mi crea problemi, e i problemi possono creare ansia ma ti danno anche soddisfazione quando riesci a risolverli. A livello affettivo ricordo ancora la millefoglie alla bavarese che faceva mia madre: non sono mai riuscito a farne una così buona”.

E’ vero che lei scrive poesie?

“Sì, anche se non mi definisco un poeta. Prima ne scrivevo una ogni mattina, dedicandola a un episodio, una persona, o anche a un dolce. Adesso ho rallentato e mi fermo a 1-2 a settimana. Ho anche inciso due CD in cui le ho raccolte facendole recitare da un attore professionista”.

Il Food è ormai presentissimo in tv, tra talent show e programmi dedicati. Lei ha partecipato a diversi format, da Masterchef a The Sweetman. Pensa che questa sovraesposizione promuova bene la cucina e la pasticceria?

“Per chi ha cervello, anche i messaggi negativi insegnano qualcosa, tutti i messaggi hanno un valore. Di certo c’è che l’immagine in movimento ha catturato molta più attenzione rispetto a quanto avveniva con la carta stampata, che infatti ha un po’ segnato il passo. Ci sono programmi buoni e meno buoni ma a me la tv ha regalato tante cose, anche inaspettate. Soprattutto l’affetto dei bambini: alcuni di loro si appassionano a tal punto da fare dei biscotti e da mandarmeli per farmeli assaggiare”.

Ultima domanda: ci conferma che i macaron, con buona pace dei francesi, sono italianissimi?

“Certo, lo ammettono anche i francesi stessi. Furono inventati dal cuoco di Caterina de Medici e successivamente rivisitati nei secoli. L’ultima evoluzione è firmata dal mio grande amico Pierre Hermé, e mi fa piacere che sia così perché lui è forse l’unico pasticcere francese con una vera attitudine internazionale, e non ossessionato dalla sua francesità”.

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