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Idrogeno e investimenti: chi si fa avanti?

L’energia del futuro al centro di valutazioni che rischiano di vanificare l’ottimismo di questi mesi – I conti dell’Energy Transition Council e gli impatti sulle strategie dei Paesi europei, Italia inclusa

Idrogeno e investimenti: chi si fa avanti?

Una cifra colossale. Chi è disposto a investire 15mila miliardi di dollari sull’idrogeno verde si faccia avanti. O almeno se pensa che siano soldi utili a liberare il pianeta dalle fonti fossili. Per uscire dal carbone, l’Energy Transition Council (ETC) – cluster di manager energetici e finanziari di livello internazionale – ha stimato che questa sarebbe la somma necessaria per agganciare gli obiettivi internazionali contro il cambiamento climatico. Forse è anche un invito planetario.

L’idrogeno verde è ritenuta la fonte più pulita da utilizzare in futuro. Ma la notizia impatta sulle strategie green presentate dai Paesi europei nell’ambito del Next Generation Eu. Troppo presto per dire se sarà presa in seria considerazione dai governi, ma tant’è. L’Italia ha proposto obiettivi alti circa l’uso dell’idrogeno, fino a prospettarlo come possibile soluzione per produrre l’acciaio nell’ex Ilva di Taranto.

L’ ascesa di questa fonte nel mercato mondiale di questo secolo non entusiasma tutti. Molti manager si dicono perplessi e non hanno ancora orientato le proprie aziende verso certi obiettivi. Transizione verde vuol dire immaginare oggi tecnologie e sistemi di produzioni che hanno ancora bisogno di essere testati. Se le proiezioni finanziarie sono, quindi, quelle dell’ETC, le buone speranze elargite in convegni e papier si oscurano.

Nei principali think tank, da un lato si percepisce la necessità di saltare il guado delle fossili, dall’altro si ragiona proprio sulle difficoltà tecniche e finanziarie dell’affermazione di una fonte da ricavare da altre fonti in progress di sostenibilità. Entro il 2050 l’idrogeno dovrebbe rappresentare il 20% della domanda globale di energia, coprendo necessità circolari: dalle produzioni ai consumi.

Magari la sua diffusione creerà anche nuovi squilibri globali tra Paesi in grado di concorrere nel post fossili. Per produrre quello verde, però, serviranno 30.000 terawattora di energia da fonti non inquinanti. Bisogna estrarlo dall’acqua con impianti tecnologicamente avanzati che a loro volta hanno bisogno di investimenti. Insomma, costi fissi su cui ancora non c’è chiarezza.

In più, se il consumo mondiale arriverà fino a 800 milioni di tonnellate, allora la stima di 15 mila miliardi di dollari comincia ad avere un senso. Chi finanzia tutto ciò? «Al momento, il consumo mondiale di idrogeno è di 115 milioni di tonnellate all’anno, ma si tratta di idrogeno grigio prodotto dal metano», riferisce l’Ansa citando i manager americani. Spingere sull’elettrolisi dell’acqua vuol dire incentivare o costruire centrali idroelettriche e fotovoltaiche un po’ ovunque.

Tornando all’Italia, le ipotesi fatte dal Ministro Cingolani non vanno accantonate subito, sia chiaro. Conta avere chiaro che è tutta la transizione italiana a dover andare più in profondità per organizzare alla base un percorso lunghissimo. “Non possiamo perdere il treno – ha detto Cingolani – ma oggi non siamo pronti”. Immaginiamo di usare il ricavato verde per i trasporti, il riscaldamento, produzioni manifatturiere e tanto altro. Ma, guarda caso, “la sua convenienza è ancora molto incerta”. Chi lo dice? Sempre l’ETC.

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