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I generalissimi: 10 top manager raccontano i loro segreti

Il libro di Paola Pilati “I generalissimi” edito da LUISS racconta dieci casi di successo del Made in Italy attraverso l’azione dei manager che li guidano verso il successo. Da Snam a Brembo, da Chiesi a Sanlorenzo e Calzedonia e altri: pubblichiamo un estratto dedicato a Francesco Starace, Ceo di Enel

Dieci aziende, dieci top manager e le loro storie. Un modo diverso di raccontare i campioni del Made in Italy, imprese di eccellenza in settori industriali molto diversi l’uno dall’altro. E’ l’approccio del nuovo libro di Paola Pilati, giornalista di grande esperienza dopo aver a lungo guidato le pagine dell’Economia del settimanale L’Espresso.

Copertina I generalissimi

“I generalissimi – Strategie e segreti dei top manager italiani”, edizioni LUISS per la collana Bellissima, diretta da Nicoletta Picchio, racconta il Made in Italy attraverso l’esperienza degli uomini e delle donne che hanno la responsabilità di guidare le aziende, compiere le scelte strategiche – stavolta anche visionarie – e al tempo stesso conservarne la storia e l’identità, dimostrando che il capitalismo italiano è ben inserito nella catena del valore. La “carrellata” include Enel ed Eni, ma anche Snam e Fincantieri. Ci sono le imprese familiari della farmaceutica come Chiesi e della chimica Coim passando per la Brembo che rifornisce dei suoi freni l’industria automobilistica di mezzo mondo, senza trascurare Calzedonia e Sanlorenzo. Per gentile concessione dell’editore e dell’autrice, pubblichiamo un breve estratto dal capitolo 9, dedicato al Ceo di Enel Francesco Starace, “Il cavaliere dell’energia verde”.

Enel Green Power diventa la seconda “porta girevole” della sua vita, dopo quella dell’uscita dalla Nira. Le rinnovabili, il solare, l’eolico, il geoter- mico sono allo stato nascente, roba da pionieri. Un fiore all’occhiello per la multiutility pensata da Tatò. Starace è il capo della parte commercia- le nella casa madre Enel: “Ero quello che faceva le bollette per tutti”. Ma da quella postazione ha la possibilità di seguire da vicino il decollo del mercato dell’energia, la Borsa elettrica, la liberalizzazione del mercato retail, tutto un nuovo sistema di regole sotto la vigilanza di un’authority. In- somma è un testimone di prima linea della svolta che introduce la con- correnza nel mondo delle utility europee.

Quando parte il progetto per quotare Enel Green Power è lui in pole position per il posto di amministratore delegato. “Eppure sono stato l’unico che non è andato a chiederlo” ricorda.

Oggi le rinnovabili sono diventate mainstream. Saranno loro a far crescere l’economia nel futuro e su di loro ci si basa per far decollare l’idrogeno verde. Il petrolio, invece, è destinato a pesare sempre di meno e tutti i combustibili fossili sono avviati al tramonto. “Non hanno futuro economico e non solo per la spinta politica e regolatoria degli accordi sul clima per abbattere la CO2, ma perché sono troppo costosi e tutti ormai hanno capito che conviene fare così” spiega l’amministratore delegato. Facile dirlo oggi, ma allora ci credeva davvero? “Siamo stati i primi a teorizzare che le fonti alternative sarebbero diventate più convenienti di quel- le tradizionali. Ma ci prendevano per pazzi.”

Un po’ pazzo si sarà forse sentito lui stesso quando assume l’incarico di amministratore delegato dell’Enel, nel 2014. Il suo predecessore, Fulvio Conti, aveva lanciato il gruppo in una campagna acquisti molto ambiziosa: la conquista dell’Endesa, il gigante spagnolo dell’energia. Questo aveva portato il gruppo italiano a essere contemporaneamente il co- losso dell’energia più redditizio d’Europa, con 80 miliardi di euro di ri- cavi e un margine operativo lordo di 17 miliardi, ma anche il più indebitato. Quel carico di debiti, 40 miliardi, pesava ancora di più per via del fatto che la produzione elettrica si rivelava essere doppia rispetto alle necessità: l’economia italiana non accennava a riprendersi dalla Grande crisi finanziaria, il prezzo per kilowattora puntava verso il basso e i dividendi apparivano in pericolo. E tutti si aspettavano che Starace raddrizzasse in fretta il timone.

Lui lo fa con due mosse decisive. Annuncia la chiusura di ventitré cen- trali termoelettriche, più di un terzo della capacità produttiva in Italia, e riorganizza il gruppo dalle radici. “All’epoca, in Enel c’era un modo di pensare molto complicato. C’era una holding che gestiva l’Italia, mentre Endesa restava un’unità organizzativa a sé stante, per cui Spagna e America Latina marciavano in modo diverso dal nostro. Dopo aver speso quaranta miliardi per comprarla, avevamo poca influenza sull’azienda.” Capitava, per esempio, che un ordine di acquisto di trasfor- matori per Endesa non avesse nessun coordinamento con un ordine dello stesso prodotto da parte di Enel. Risultato: la forza negoziale per ottenere prezzi più convenienti non si dispiegava. La grandeur del progetto di conquista rimaneva al palo.

La riorganizzazione

“Occorreva rilanciare la crescita in modo sano, rimettere in moto gli investimenti. Invece i soldi finivano soprattutto nella manutenzione degli impianti” ricorda Starace. “Se un’impresa ha risorse solo per difendere la linea di galleggiamento e non per investire nel futuro, il suo destino è segnato.”

La ristrutturazione è veloce e profonda, con un piano d’azione basa- to su una visione del business che oggi appare lapalissiana ma allora risultò rivoluzionaria. “La struttura del business dell’Enel è fatta di due uni- versi: quello dei clienti per cui lavoriamo e quello delle macchine che ci consentono di dare ai clienti i servizi. Mentre le macchine ci uniscono, perché le tecnologie di una linea elettrica sono le stesse in tutte le parti del mondo, dall’Europa all’America, i clienti ci dividono. Hanno leggi, monete, lingue diverse.” Dunque che cosa ha fatto? “Decisi di dare al grup- po una struttura che riflettesse questi due mondi. Fare in modo cioè che alcuni di noi si occupassero solo delle macchine, con una organizzazione a livello globale ma per linee tecnologiche: quelle della produzione di energia, che funziona allo stesso modo dappertutto, quelle della rete elettrica e via dicendo. Per gestire i clienti, invece, abbiamo scelto l’organizzazione per aree geografiche. La missione del primo gruppo doveva es- sere investire, quella del secondo occuparsi delle bollette. E siamo ripartiti.”

Gli analisti di Borsa, che fino a quel momento non avevano risparmiato al titolo il consiglio “sell”, considerando Enel l’anatra zoppa tra le utility europee, ben presto si dovettero ricredere. Insieme alla riorga- nizzazione funzionale, che porta dentro il perimetro diretto di Enel le controllate di Endesa in America Latina, parte anche un piano di vendite di asset: vengono cedute sia una quota della stessa Endesa sia la partecipazione detenuta da Enel Produzione nella società slovacca Slovenske Elektrarne. Inoltre si attua un dimagrimento del personale con un piano di pensionamenti anticipati.

Ma il messaggio più chiaro che Starace lancia al mercato è che intende condurre con decisione Enel nel settore delle energie rinnovabili. Enel Green Power, che intanto ha realizzato a passo di carica la sua espansione nelle rinnovabili all’estero, dal Brasile al Guatemala, dalla Spagna agli Usa, dal Sud Africa all’India, viene ritirata dalla Borsa. Risultato, l’energia pulita smette di essere un business stand-alone e diventa il centro delle strategie dell’intero gruppo, la sua bussola per gli anni a venire.

Fonte: “I generalissimi – Strategie e segreti dei top manager italiani” di Paola Pilati

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