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Guerra e inflazione: Bce non basta, “chiudere i rubinetti alla Russia” sostiene Lucrezia Reichlin

INTERVISTA A LUCREZIA REICHLIN, economista alla London Business School – Gli equilibri finanziari globali stanno cambiando e “l’Europa dovrà decidere cosa fare da grande” – Da sola la Bce non basta, sanzioni più dure contro Putin e sostegni alla transizione energetica

Guerra e inflazione: Bce non basta, “chiudere i rubinetti alla Russia” sostiene Lucrezia Reichlin

Gli equilibri finanziari globali del dopo Bretton Woods, basati sulla centralità del dollaro, stanno cambiando con una velocità impensabile solo fino a pochi mesi fa. L’Europa, stretta tra due superpotenze in pieno conflitto, sta tentando di ridisegnare il proprio futuro nel mondo con una guerra alle porte di casa e una spinta inflazionistica in grado di portare l’economia continentale in una pericolosa spirale di stagflazione. Anche per questo la politica monetaria europea sarà il barometro a cui volgere l’attenzione per capire quanto debole o quanto forte sarà in grado di essere l’Unione in un mondo in cui anche le valute segneranno le nuove ambizioni di potenza globale.

Lucrezia Reichlin è una delle economiste più influenti a livello internazionale, insegna alla London Business School, è trustee della Fondazione dell’International Financial Reporting Standards e del Center for European Policy Research. Dal 2005 al 2008 è stata direttore generale della ricerca alla Banca Centrale Europea. Le sue ricerche sui metodi previsivi e sul ciclo economico sono utilizzate dalle banche centrali di mezzo mondo e i suoi contributi sul futuro della politica monetaria sono tra i più ascoltati a Francoforte e Bruxelles.

La Fed ha alzato i tassi di interesse, così come la Banca d’Inghilterra. La Bce ha invece un’altra visione delle cose, come afferma Christine Lagarde: “La guerra porta l’economia europea in un territorio sconosciuto”. Perché la guerra è destinata a scompaginare i piani della politica monetaria europea?

«Perché all’orizzonte non si può escludere uno scenario di stagflazione. L’inflazione attuale, causata da uno shock dal lato offerta, è difficilmente attaccabile dalla politica monetaria. Si tratta infatti di un’inflazione causata in larga parte da energia e materie prime. Una politica monetaria eccessivamente restrittiva avrebbe effetti negativi anche sulla produzione e sul ciclo economico. L’equilibrio per mantenere crescita e stabilità dei prezzi è delicato, servirà un’ulteriore fase di coordinamento tra politica monetaria e politica fiscale».

Un equilibrio che rende la lotta all’inflazione ancora più complicata rispetto alle politiche di Federal Reserve e Bank of England.

«Quando si verificano scenari di stress economico, l’Unione deve contenere anche il pericolo di un allargamento degli spread sui tassi dei diversi debiti sovrani. Il fenomeno del “flight-to-quality”, la fuga dal debito italiano e spagnolo verso Germania e Paesi del Nord, aumenta le variabili che deve affrontare la Bce rispetto alle altre banche centrali».

Oltre alla politica monetaria, quale sarà l’effetto più evidente della guerra nell’economia europea nel breve-medio periodo?

«Il breve lo stiamo già vivendo. Aumentano i costi delle materie prime e dell’energia. I due Paesi più dipendenti dalla Russia per il gas sono Germania e Italia, due economie molto collegate che subiranno un forte rallentamento del ciclo economico. Questo si propagherà anche nel resto dell’eurozona. Prima avevamo robusta ripresa e un’inflazione, che se pur robusta, veniva considerata temporanea, nel prossimo futuro avremo sia un rallentamento della crescita che alta inflazione. Nel medio termine, per capire l’evoluzione dell’inflazione bisognerà guardare alla durata della guerra e alle scelte dell’Europa rispetto all’inasprimento delle sanzioni verso la Russia. Si arriverà all’interruzione dell’acquisto di gas? L’effetto in Germania si stima in una diminuzione della crescita tra l’1 e il 2%, ma c’è chi pensa si potrebbe arrivare anche fino al 3%».

Lei è favorevole ad una politica delle sanzioni ancora più severa?

«Sì, per me sarebbe una cosa ovvia da fare. Bisogna chiudere i rubinetti alla Russia».

La guerra energetica avrà dunque effetti poderosi sull’inflazione per lungo tempo. Con quali numeri sarà comunque una via quasi obbligata far scattare anche in Europa l’aumento dei tassi di interesse?

«L’utilizzo delle leve della politica monetaria sono già state preventivate. La BCE ha già in calendario l’interruzione dei piani del quantitative easing. Prima si avrà l’alleggerimento degli acquisti dei titoli pubblici e poi nel tempo ci sarà un aumento dei tassi. Tuttavia, se l’Europa dovesse entrare in recessione la BCE potrebbe considerare una politica più prudente. E in ogni caso rimanere pronta con strumenti ad hoc per evitare una frammentazione finanziaria dovuta a un aumento del divario tra i tassi sovrani dei diversi Paesi dell’eurozona. Questo significa ipotizzare un piano di acquisto di titoli pubblici mirato, come avvenuto per la pandemia».

Atteso che la politica monetaria non è in grado di arginare un’inflazione derivante in larga parte da uno shock energetico, a maggior ragione in un contesto di tassi di interesse ancora bassi. Quali altri strumenti si proverà a mettere in campo?

«In questo caso la politica monetaria non può fare da sola, non ha armi per colpire prezzi specifici. O meglio, lo può fare solo al costo di generare una dolorosa e prolungata recessione che abbassa il livello medio dei prezzi. Per esempio, nel 2011 con una inflazione più bassa di quella attuale, circa al 4%, la BCE decise un aumento dei tassi che in piena crisi dei debiti sovrani causò una seconda recessione. Oggi, la politica monetaria deve rimanere ferma sull’obiettivo del 2% nel medio periodo ma rimanere flessibile. I governi poi devono fare la loro parte».

L’arma finale è di ordine fiscale.

«Abbiamo già visto misure fiscali volte a calmierare i prezzi energetici in Italia. Altrove si discute di controllo dei prezzi. A mio avviso, bisognerebbe invece dare forti incentivi alla transizione energetica e usare il bilancio statale per compensare chi nella transizione è penalizzato. Naturalmente questo avrebbe un costo per le casse dello stato. Ma sarebbe un errore rinunciare agli obiettivi sulla riduzione delle emissioni di Co2 per combattere l’inflazione e rinunciare così a un obiettivo strategico dell’Europa».

La guerra in Ucraina è in grado di portare la stagflazione come scenario principale nella politica europea?

«Non siamo ancora in recessione, ma i numeri sulla crescita più recenti sono preoccupanti. La stagflazione è più che un’ipotesi».

In un quadro di politica monetaria comunque accomodante, l’inflazione che effetti potrà avere sul debito pubblico italiano?

«Un’inflazione moderatamente alta ma stabile può avere effetti positivi sul debito. I mercati finanziari però devono continuare a credere che la BCE sia in grado di governarla. Tuttavia c’è il rischio che un’inflazione fuori controllo abbia effetti così negativi sulla crescita e sul Pil da minare tutti i parametri di controllo della sostenibilità del debito e del deficit. Tutto è connesso, la chiave del successo è generare un misto di crescita, inflazione e tassi che garantiscano la sostenibilità del debito. La storia insegna che le soluzioni estreme sono pericolose».

Quindi le speranze di un effetto positivo dell’inflazione almeno sul versante del debito pubblico sono molto aleatorie.

«Un po’ di inflazione non è da demonizzare. Inoltre, di fronte ad un nuovo sforzo di spesa pubblica finanziato a debito non si deve escludere una monetizzazione almeno parziale, cioè una situazione in cui la Banca centrale acquisisce una parte del nuovo debito emesso. Ai tempi del Covid, la BCE è arrivata a comprare il 70% delle nostre emissioni, quindi c’è già stata una parziale monetizzazione. Oggi ci avviamo ad una stagione in cui la politica fiscale continuerà ad essere espansiva: per l’aumento delle spese militari, sociali e di supporto alla crisi energetica. In questa situazione, la monetizzazione fa sì che il rischio di credito venga assorbito dalla banca centrale. In cambio però aumenta il rischio di inflazione. Non necessariamente si ha inflazione, ma si aumenta il rischio che possa aumentare. Tra nuovi programmi di acquisto dei titoli e politiche monetarie accomodanti, la BCE è destinata a muoversi in un quadro davvero complesso e delicato».

In una prospettiva in cui i conflitti potranno giocarsi “dentro” e “tra” sistemi finanziari (Occidente contro Oriente), l’Unione Europea, ad oggi sostanzialmente ancora solo una istituzione economica, potrà assumere maggior peso a livello globale?

«Questo è la vera domanda. Siamo destinati a vedere un nuovo riposizionamento dell’ordine globale finanziario. Abbiamo visto che i Paesi emergenti non sono tutti schierati contro la Russia. Ci sarà una corsa alla diversificazione delle monete utilizzate come riserva, il sistema post Bretton Woods è in piena crisi. Il dollaro è per gli Stati Uniti una straordinaria leva del potere economico e geopolitico. Per questo l’Europa dovrà decidere cosa farà da grande».

Il comprimario degli Usa o avrà un ruolo da grande baricentro dell’economia occidentale?

«Se non svilupperà un mercato del debito in euro, di dimensioni e profondità sufficienti, equivalente a quello del dollaro, non potrà affiancarsi in prima fila agli Stati Uniti. L’Unione Europa è ancora una zona economica troppo frammentata per competere come una superpotenza. Non scordiamoci che la guerra che oggi si combatte sulla pelle degli ucraini, è una guerra che ha come fine lo spostamento dei futuri equilibri geopolitici».

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