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Guerra dei dazi alle battute finali, cosa rischia l’Italia

Da martedì primo maggio scattano anche in Europa le nuove tariffe commerciali su alluminio e acciaio, già applicate alla Cina – Il Paese più esposto è la Germania, ma l’Italia (che non produce alluminio e non è tra i primissimi esportatori di acciaio) rischia conseguenze indirette anche gravi

Guerra dei dazi alle battute finali, cosa rischia l’Italia

Dazi, via al primo round. Domani, martedì 1 maggio, con la fine della sospensiva accordata all’Europa, scattano con ogni probabilità anche nel Vecchio Continente le nuove tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio (25% e 10%) volute dal presidente Donald Trump e già imposte alla Cina: un ultimo tentativo di mediazione da parte di Bruxelles, dopo l’ultimatum lanciato a Washington da Angela Merkel, Emmanuel Macron e Theresa May tramite un comunicato congiunto, ci sarà ma non dovrebbe produrre effetti. Il presidente Usa sembra infatti intenzionato a tirare dritto: il disavanzo commerciale del Paese, uno dei temi più sensibili per l’attuale amministrazione, non è mai stato così pesante come negli ultimi mesi, con la Cina che – proprio in vista dei dazi – ha esportato nel primo trimestre prodotti verso gli States come non lo aveva mai fatto.

Cosa rischiano i Paesi europei da questa nuova tariffa commerciale? L’Italia non produce alluminio (in attesa del rilancio in Sardegna della fabbrica ex Alcoa), mentre per quanto riguarda l’acciaio non figura tra i primissimi esportatori europei verso gli Usa (è solo il quinto): a rischiare più di tutti in questo senso è la Germania, che dirotta oltre oceano quasi un milione di tonnellate di prodotti finiti in acciaio, con l’Olanda al secondo posto con 632mila tonnellate. L’Italia esporta comunque di più di un Paese come la Francia, e in ogni caso un altro pericolo sono i rischi indiretti: ovvero che le aziende dei Paesi maggiormente colpiti dai dazi sposteranno l’export verso le destinazioni rimaste accessibili, facendo così in qualche modo concorrenza anche alle aziende italiane.

Altra conseguenza indiretta, non meno preoccupante: le aziende siderurgiche europee, che per forza di cose esporteranno meno negli Usa e quindi forse meno in assoluto, taglieranno i beni intermedi che spesso e volentieri acquistano dai fornitori italiani. E il caso vuole che sia proprio la siderurgia tedesca, la più esposta verso il mercato nordamericano, la prima ad acquistare beni intermedi made in Italy. Da non escludere nemmeno il rischio di ulteriori dazi, in una ipotetica spirale di ritorsioni e contro ritorsioni: il made in Italy esporta in tutto negli States, secondo i dati Unimpresa, beni per 37 miliardi di euro, con in testa i macchinari per l’industria ma anche le auto (forse prossimo bersaglio protezionistico di Trump), il settore navi-treni-aerei e l’agroalimentare.

Forse è prematuro agitare lo spauracchio di una nuova possibile recessione, ma di certo in un Paese, come l’Italia, con una ripresa economica piuttosto debole (e sicuramente tra le più deboli dell’area euro) e per di più in un clima politico ancora alquanto incerto, l’eventuale escalation della guerra commerciale innescata da Trump con questa prima tranche di dazi, potrebbe destare in futuro più di una preoccupazione. Non a caso il Def da poco approvato dal governo Gentiloni prevede una perdita di Pil, rispetto allo scenario di base, dello 0,3% nel 2018 e dello 0,7% nel 2019 proprio in caso di approvazione dei nuovi dazi Usa- Europa.

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