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Green bond: per Lagarde sono pochi e “poco verdi”

La numero uno della Bce avverte: “In Europa a un terzo della cifra che servirebbe. E l’etichetta “green” è spesso una foglia di fico”. La Bce accende un faro

Green bond: per Lagarde sono pochi e “poco verdi”

Nell’Unione europea gli investimenti “green” sono insufficienti e il loro livello di certificazione è basso. Significa che la loro effettiva compatibilità ambientale non è accertata: insomma, si tratta di investimenti che di verde hanno ben poco. L’avvertimento arriva dalla numero uno della Bce, Christine Lagarde, intervenuta mercoledì a una videoconferenza sul programma Onu per il finanziamento delle politiche ambientali.

Secondo uno studio la Banca dei regolamenti internazionali – ha argomentato Lagarde – spesso la dicitura “green” associata ad alcuni bond è solo “una foglia di fico”, al punto che “la maggior parte della finanza green non va nella giusta direzione”.

Il problema è anche quantitativo: “In Europa servono 290 miliardi di euro l’anno in investimenti green per un prolungato periodo di tempo se vogliamo centrare gli obiettivi fissati negli accordi di Parigi – ha aggiunto la presidente della Banca centrale – Ma se guardiamo al quadro finanziario, siamo appena a 100 miliardi, quindi mancano ancora due terzi della somma che servirebbe”.

D’altra parte, Lagarde ha ricordato che “molti governi stanno emettendo green bond, un mercato chiaramente emergente nell’Eurozona e che speriamo possa ancora crescere in modo significativo”. Un aiuto importante in questa direzione arriverà dal piano di rilancio post pandemia Next Generation Eu: “Il 30% degli investimenti sarà green, per un totale di 270 miliardi di euro”, ha detto ancora Lagarde.

Rimane comunque da risolvere il caos delle certificazioni. “Qualcuno ha detto che la finanza green è come il selvaggio west: io dico che è la giungla nel selvaggio west – ha continuato l’ex numero uno del Fmi – Ci sono così tanti rating e ranking per determinare se un bond è Esg o meno, che molti investitori si perdono. Chiaramente bisogna fare di più, perché i mercati da soli non stanno prezzando adeguatamente il rischio climatico. In assenza di definizioni comuni condivise e di disclosure delle imprese, ci servono informazioni dettagliate per valutare se le pratiche definite ‘verdi’ siano effettivamente tali”.

Un compito che “non spetta alla Banca centrale, ma ai legislatori e ai regolatori – ha concluso Lagarde – Tuttavia, date le carenze dei mercati, ci siamo chiesti se la neutralità debba essere il parametro dei nostri acquisti in politica monetaria. Non anticipo alcuna conclusione (ce ne occuperemo nella nostra revisione strategica), ma penso che tutte le Banche centrali dovrebbero chiedersi se, non inserendo i rischi ambientali nelle valutazioni sulla politica monetaria, non li stiamo di fatto accentuando”.

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