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Gli utili in aumento spingono le Borse, ma nel 2018….

Da “IL ROSSO E IL NERO” di ALESSANDRO FUGNOLI, strategist di Kairos – Per quest’anno l’orizzonte delle Borse è roseo ma, con l’inflazione salariale in aumento e il Qe in decrescita, nel 2018 la musica può cambiare, a meno che non arrivi davvero la riforma fiscale americana

Gli utili in aumento spingono le Borse, ma nel 2018….

Quando i mercati sono difficili e volatili si tende a discutere di più. La discussione induce all’approfondimento e allo studio e tutti siamo mediamente più informati. Quando i mercati sono invece soporiferi e tendenzialmente positivi la discussione collettiva si impoverisce e piano piano si tende tutti quanti a ripetere la narrazione dominante (se lo dicono tutti, sarà vero). Finisce così che si guardano sempre meno i dati reali.

Ora facciamo un gioco. Prendete un foglio di carta bianco e segnate un punto a sinistra a metà del foglio. Facciamo che quel punto rappresenti il livello della crescita dell’eurozona nel 2015. Adesso, a memoria e a naso, segnate un altro punto (più in alto o più in basso o uguale, scegliete voi) che rappresenti la crescita del 2016, poi un altro per il 2017 e infine l’ultimo per il 2018. Non importa la quantità precisa, conta la traiettoria. Adesso fate la stessa cosa con il Pil americano, mettendo una crocetta per ognuno degli anni tra il 2015 e il 2018.

La narrazione dominante (e la traiettoria disegnata da un piccolo campione a cui abbiamo sottoposto il test) è che l’Europa è in accelerazione dal 2014, è oggi in pieno boom e che questo boom, con un Macron in più e una Le Pen in meno, rischia addirittura di portarci su livelli di crescita superiori a quelli dell’America, come abbiamo del resto cominciato a vedere nel primo trimestre di quest’anno.

I numeri però ci dicono che la crescita europea nel 2015 è stata dell’1.9, nel 2016 dell’1.7, quest’anno sarà dell’1.6 e l’anno prossimo dell’1.4 (fonte Goldman Sachs). Crescita rispettabile, per i tempi che corrono, ma in costante decelerazione per effetto dell’affievolirsi della spinta derivante dalla svalutazione dell’euro. La crescita americana, per il Fondo Monetario, è stata dell’1.6 l’anno scorso, sarà del 2.3 quest’anno e del 2.5 nel 2018. La distanza tra Europa e America sembrerebbe allargarsi, non restringersi.

Se la confrontiamo con la realtà la narrazione europea corrente indossa dunque le lenti rosa, quella sull’America le lenti scure, almeno quando si parla di sistema paese. La narrazione sulle borse indossa invece le lenti rosa dappertutto. Intendiamoci, gli utili riportati finali delle società quotate in borsa saranno quest’anno più alti del 24 per cento nell’eurozona (fonte Deutsche Bank) e dell’11 in America (consenso bottom-up). I dati di contabilità nazionale degli Stati Uniti ci dicono però che i profitti societari nel primo trimestre sono stati del 2.5 per cento in meno rispetto a quelli di un anno fa, mentre il cash flow è sceso del 2.3 per cento. Certo, le 500 società che fanno parte dell’indice Standard and Poor’s sono un sottoinsieme dell’universo censito, sono più esposte all’export e fanno ancora molti buy-back, ma è sempre bene avere in mente tutti i dati e non solo quelli che fanno piacere.

Un’altra frase che sentiamo spesso ripetere in questo clima di nuovo bullish per i bond è che l’inflazione salariale non esiste, che la gente è ben contenta di avere un posto di lavoro pur che sia e che l’ultima cosa che passa per la testa è di andare a chiedere un aumento al capo. In America cominciamo però a vedere qualcosa di diverso. Torsten Slok, un economista che raccoglie con pazienza certosina tutte le statistiche sulle retribuzioni e le rielabora in un indice, dice che dopo essere rimasta ferma intorno all’1.5 per cento tra il 2011 e il 2014, l’inflazione salariale ha imboccato la strada del rialzo continuo ed è oggi al 3 per cento, un livello ormai molto vicino alla media storica 1983- 2017. Tutto fa pensare che questo livello verrà raggiunto e superato forse già quest’anno, visti i progressi continui sul fronte dell’occupazione.

Fa poi un certo effetto vedere un numero crescente di paesi avvicinarsi al pieno impiego e sentire ripetere sempre più spesso un altro luogo comune, quello per cui l’intelligenza artificiale e i robot ci stanno mandando tutti a casa. Ci crederemo quando ci verrà presentato il primo autista di pullman sostituito da un software e quando su quel pullman manderemo i nostri figli in gita scolastica. Da dieci anni gli aerei sono perfettamente capaci di decollare, volare e atterrare da soli, ma noi ci saliamo sopra solo se c’è anche il pilota (e il copilota sui voli lunghi) perché non si sa mai. La retorica sull’automazione circolava già negli anni Sessanta (e prima ancora con il fordismo degli anni Dieci del Novecento) e oggi viene alimentata da brillanti imprenditori che ci fanno intravvedere la fantascienza per farci sognare e intanto gonfiare le quotazioni dei loro titoli. Nella realtà tutta questa innovazione non fa salire di un millimetro nemmeno il ritorno sul capitale e la produttività, quanto meno quella misurata in dollari o euro. Se con un robot produco il doppio di pezzi ogni ora ma poi vendo i pezzi a metà prezzo la produttività economica non aumenta.

E infatti in tutto il mondo la produttività economica ristagna tra lo zero e l’uno dal 2010. Senza aumento di produttività l’inflazione salariale al 3 per cento comincia a destare preoccupazione nelle banche centrali e non può non indurle a un atteggiamento di fondo più restrittivo. A questo proposito abbiamo finalmente le cifre del Qe negativo che verrà praticato dalla Fed nei prossimi anni. Si partirà da 12 miliardi al mese e poi si aumenterà a ogni trimestre. Poiché il tapering della Bce prenderà presumibilmente tutto il 2018 e poiché Banca del Giappone e Bank of England continueranno a fare Qe (il Giappone per sempre e la Boe alla bisogna) il Qe globale netto si azzererà a fine 2018 e sarà leggermente negativo dal 2019 in avanti. È impossibile fare calcoli precisi perché il Qe giapponese è diventato variabile, ma la direzione del trend è comunque chiara.

Inflazione salariale in crescita e Qe in decrescita significano venti contrari per l’azionario. Per ora si tratta di venti moderati e nulla fa ancora pensare che un giorno si trasformeranno in uragani. Gli utili in aumento sono per quest’anno un’eccellente spinta per le borse. Già dall’anno prossimo, tuttavia, le condizioni generali cominceranno lentamente a deteriorarsi. A meno che non arrivi in soccorso, all’ultimo minuto prima delle elezioni di novembre 2018, la cavalleria della riforma fiscale americana.

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