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Generali, Caltagirone e Del Vecchio: i giochi che fanno male al Leone

Lo strappo di Francesco Gaetano Caltagirone in vista dell’assemblea Generali indica che i grandi azionisti del Leone sono già in manovra per il rinnovo del Cda dell’anno prossimo. Ecco quali sono gli scenari possibili per la Compagnia, incluso l’eventuale polo con Unicredit e Mediobanca

Generali, Caltagirone e Del Vecchio: i giochi che fanno male al Leone

Il segnale è forte e non equivoco. Anche se meno dell’energico benservito di Leonardo Del Vecchio a Giovanni Perissinotto nel 2012 (“da tempo non è adeguato a gestire le Generali”) malgrado i buoni risultati del Leone, del grande freddo che, nel 2016, ha accompagnato l’uscita da Generali di Mario Greco in contrasto con alcuni soci, Mediobanca in testa. Ma, salvo ripensamenti dell’ultim’ora, la decisione di Francesco Gaetano Caltagirone di non depositare i titoli della compagnia in vista dell’assemblea di giovedì 29 aprile (in videoconferenza) sta a testimoniare la mancanza di fiducia del secondo socio del Leone nell’operato dell’amministratore delegato Philippe Donnet. Quasi una maledizione che segna da tempo i rapporti tra il management delle Generali e i soci principali.

  Ma anche una situazione paradossale: Caltagirone, azionista con una quota superiore al 5%, si accinge a non votare a favore del bilancio 2020 che lui stesso, in quanto consigliere, ha invece approvato in Cda. Un bilancio che, parola del presidente Gabriele Galateri, “dimostra che Generali ha resistito in modo altrettanto importante, se non di più dei concorrenti alla pandemia. Come rilevano un risultato operativo 2020 di 5,2 miliardi ed il solvency ratio al 224%. Numeri che dimostrano la capacità di affrontare i marosi con tranquillità, sicurezza stabilità”.   Salvo, potremmo aggiungere, rischiare il naufragio nelle acque di casa, nonostante alcuni punti di forza sottolineati dallo stesso Galateri, custode indiscusso della trasparenza e della governance: dall’obiettivo di crescita sostenibile supportato da investimenti in innovazione e digitale alla generosa politica di dividendi con uno yield quest’anno del 9% e implicitamente un dividendo per l’anno prossimo superiore a 1 euro per azione. Dal 2017 alla fine di quest’anno, sotto la guida dell’attuale vertice, saranno stati pagati 7 miliardi di cedole; se il piano 2021 verrà rispettato ne arriveranno altri 1,6 miliardi. Anche per questo il titolo +0,21% alle 12 a 16,86 euro si mantiene solido.  

C’è da chiedersi a questo punto cosa possa spingere Caltagirone ad un gesto di (quasi) sfiducia. E, ancor più importante, se l’ingegnere romano si muove da solo o se anticipa solo un analogo sentire di Del Vecchio. E di Mediobanca, l’azionista numero uno al 13%, ormai vicina alla Delfin del patron di Luxottica e partecipata pure dallo stesso Caltagirone. Di sicuro c’è che i grandi soci del Leone già si muovono in vista del rinnovo del consiglio, previsto per l’anno prossimo, secondo il nuovo statuto che prevede che la lista per il cda sia presentata dal consiglio uscente in sintonia con le regole adottate anche da Mediobanca.

In questa cornice il segnale inviato da Caltagirone vale come un primo avvertimento al management, reo di alcune scelte sgradite o comunque non in linea con le ambizioni dei soci. Costretti peraltro ad agire con molta prudenza per evitare l’accusa di concerto che potrebbe far scattare l’obbligo d’Opa. Ma cosa si rimprovera a Donnet? Probabilmente il fallimento della campagna di Polonia o su altri mercati dell’Est, dove la compagnia è stata battuta da Allianz e da Axa, tra l’altro espressione di piazze finanziarie più solide di quella italiana. Ma anche, dicono le malelingue, perché l’amministratore delegato privilegia i soggiorni in Francia rispetto a Milano, come già contestato all’ex ad di Unicredit Jean-Pierre Mustier.  Un parallelo non casuale perché sono in molti a pensare che il vero obiettivo di Del Vecchio (e in subordine di Caltagirone) sia la creazione di un grande polo Generali-Unicredit- Mediobanca cui sta lavorando con pazienza. 

Per ora sono solo supposizioni. Più concreto il dissenso di Caltagirone su alcune operazioni: l’acquisizione del 24.4% di Cattolica, l’offerta in Malesia per cui Caltagirone chiederebbe un ribasso del prezzo offerto e l’uscita dei top manager de Courtois e Ryan che sono andari a ricoprire ruoli primari in concorrenti diretti. Ce n’è abbastanza per lanciare un warning all’amministratore delegato, da sempre il parafulmine dei malumori degli azionisti di Trieste pur premiati da ricche cedole.                                                     

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