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Friuli, ecco come ha vinto Debora Serracchiani (Pd)

Dopo una prima parte della campagna elettorale in punta di fioretto, condotta con garbo e rispetto (“Torniamo ad essere speciali”, il suo slogan), Serracchiani ha affilato le armi – Ha chiamato Matteo Renzi a sostenerla (“Dopo le elezioni di febbraio, da Roma non ho avuto nessun aiuto”) e ha risfoderato la vis polemica.

Friuli, ecco come ha vinto Debora Serracchiani (Pd)

Un testa a testa che ha tenuto col fiato sospeso fino alle ultime sezioni. Poi, per una manciata di voti (meno di duemila), e grazie alla legge Illy che prevede il premio di maggioranza senza ballottaggio, la nuova governatrice del Friuli Venezia Giulia è Debora Serracchiani, europarlamentare del Pd. Ha battuto Renzo Tondo, presidente uscente della  coalizione di centrodestra, che pure si era smarcato in qualche modo dal Pdl presentandosi con una sua lista autonoma e da sempre rappresentante di una linea conservatrice eppure laica (sua la netta presa di posizione a favore di Beppino Englaro durante la vicenda di Eluana). 

Non è bastato a convincere gli elettori, che al Pdl hanno assegnato un meno 13% rispetto alle precedenti elezioni del 2008, dal 33 al 20, mentre il Pd, primo partito della regione, scende assai meno, di un 3,1%, dal 29,9 al  26,8. A penalizzare Tondo, anche l’ex assessore triestino del Pdl Franco Bandelli, presentatosi con una lista autonoma “Un’altra regione”, che ha sfilato alla coalizione di centro destra il 2,4% dei consensi. Tiene la Lega, all’8,25%. 

Il distacco dalla politica e l’astensionismo restano però, oltre alla vittoria della Serracchiani, l’altro dato significativo di queste elezioni: alle urne sono andati 554.936 elettori su 1.099.334, solo il 50,5% rispetto al 72,3 delle politiche di febbraio in una regione da sempre ligia agli obblighi elettorali. E probabilmente traumatizzata dai recenti scandali giudiziari sui rimborsi elettorali che hanno coinvolto un terzo dei consiglieri uscenti. A farne le spese è stato anche il M5S, il cui candidato Saverio Galluccio, sostenuto da Grillo con comizi in piazza e suggestivi sbarchi dal mare, non va oltre il 19,2%, mentre i Cinque Stelle non superano un risicato 13,8% dei voti, vero e proprio dimezzamento rispetto all’exploit delle politiche.

La Serracchiani, 42 anni, avvocato del lavoro, romana di origine ma residente a Udine da molti anni, diventa così il simbolo di un Partito democratico che ce la fa nonostante la plumbea crisi in cui sono immersi i suoi vertici e le contestazioni della base alle ultime mosse  romane. Ed è lei stessa a rivendicarlo: “Abbiamo vinto – esulta al termine di una giornata al cardiopalma – e se non ci fosse stata Roma sarebbe stata un’autostrada”. Secondo il Pd la vittoria della portacolori del centrosinistra, sostenuta da Sel, Idv ed alcune liste civiche, “è la dimostrazione che il Partito democratico e i suoi esponenti hanno la forza, la credibilità e la capacità di vincere e saper intercettare il consenso con la forza degli argomenti e delle idee” anche “in questo delicato momento”. 

In realtà la strategia della neo governatrice, a cui Bersani e D’Alema si affrettano a fare i complimenti, è stata assai abile nella spinta a intercettare quel nuovo che i vertici del Pd non hanno dimostrato o voluto saper cogliere. Dopo una prima parte della campagna elettorale in punta di fioretto, condotta vicendevolmente con garbo e rispetto (“Torniamo ad essere speciali”, il suo slogan), ha affilato le armi. Ha chiamato Matteo Renzi a sostenerla (“Dopo le elezioni di febbraio, da Roma non ho avuto nessun aiuto”, dice), ha risfoderato la vis polemica di quando, nel 2009, il suo discorso in nome del rinnovamento all’assemblea dei circoli del Pd le valse notorietà sul web e la candidatura al parlamento europeo. Una corsa nella quale prese più voti di Silvio Berlusconi. 

Tra i primi si è prodotta in dichiarazioni infuocate contro la candidatura alla Presidenza della Repubblica di Marini, ha stigmatizzato i franchi tiratori interni che hanno impedito l’elezione di Prodi, ha rivendicato più rispetto per chi opera sul territorio e ha veri contatti con la base. Un territorio “lasciato solo all’indomani delle politiche. E che pretendiamo vada rispettato di più. Non accettavo di essere seppellita sotto le macerie di Roma – ha commentato –. In questi quattro giorni ho temuto il peggio, che lo schiaffo arrivasse fino a qui. La nostra gente che non voleva andare a votare era tantissima. L’abbiamo bombardata di sms e telefonate per convincerla che il Friuli Venezia Giulia è un’altra cosa”. Un approccio diretto che si è rivelato vincente.      

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