“Il più grande rischio era quello di non prenderne”. Così il premier francese François Bayrou ha aperto il suo intervento in Parlamento, poche ore prima del voto di fiducia in cui ha inevitabilmente avuto la meglio il “No” al suo governo. Il destino dell’esecutivo era infatti appeso ad un filo, dopo che la settimana scorsa Bayrou, premier centrista scelto da Emmanuel Macron per tenere insieme una maggioranza fragile, aveva lanciato un pesante allarme sul debito transalpino, chiamando i parlamentari ad assumersi la responsabilità attraverso un voto che decidesse se andare avanti con l’austerità proposta da questo esecutivo o se cambiare. Il premier uscente aveva infatti proposto una manovra durissima, con proposte che hanno fatto molto discutere come l’abolizione di due giorni festivi e il raddoppio del ticket sanitario, ma anche tanto altro per rimettere rapidamente in piedi i conti pubblici e rientrare nei parametri sul deficit.
La Francia infatti ha un debito altissimo (“Il debito è la partita della vita”, è arrivato a dire Bayrou), che ha superato i 3.400 miliardi di euro, ma soprattutto preoccupa il dato in relazione al Pil, che ha raggiunto la percentuale record del 114%, e lo stesso rapporto deficit/Pil, quest’anno previsto al 5,4% e che Bayrou vorrebbe riportare al 4,6%. Il dato è persino peggiore di quello italiano, storicamente più alto ma che nel 2024 è riuscito a scendere al 3,4%. E infatti i mercati se ne sono accorti e da qualche tempo è Parigi l’osservato speciale in Europa: oggi le Borse non si sono scomposte perché avevano già metabolizzato la crisi, ma nelle ultime settimane il rendimento degli OAT decennali è salito, avvicinandosi a quello del nostro Btp, e alla fine della settimana è in arrivo un probabilissimo taglio del rating da parte delle agenzie internazionali. La Francia gode ancora del punteggio A, migliore di quello italiano che invece è sul gradino più basso dell’investment grade, ma questa differenza non ha oggettivamente più motivo di esistere.
Le parole di Bayrou all’Assemblée Nationale e il verdetto dell’Aula
Bayrou ha dunque incassato una prevedibile sconfitta in Parlamento, che però ha più il sapore della presa d’atto di una situazione da lui stesso definita insostenibile, e che pertanto aveva pochissime chance di evitare la sfiducia. In quella che Le Monde ha definito una “partita di poker” giocata da Bayrou, nel tentativo di smascherare i bluff di maggioranza e opposizioni, hanno votato contro il governo 194 deputati su 364. Prima del voto di fiducia, avvenuto a fine pomeriggio, Bayrou aveva ribadito la gravità della situazione e l’urgenza degli interventi nel discorso all’Assemblée Nationale: “Ormai il Paese è ‘addicted’ al debito – ha detto -. Le spese ordinarie della Francia, le spese per la nostra vita quotidiana, per i servizi pubblici, per le pensioni, per il rimborso dei nostri moduli di previdenza sociale, ci siamo abituati a finanziarle a credito”.
Il premier ha usato la metafora della barca che affonda: “Per portarla in salvo e salvare noi e i nostri figli, dobbiamo agire senza perdere altro tempo”. Il Primo Ministro ha poi difeso il suo “piano per procedere verso la riduzione del debito, affinché la Francia possa sfuggire all’inesorabile ondata di debiti che la sommergerà entro quattro anni”. “Il patto generazionale è già stato rotto – ha ancora detto Bayrou in Aula -. I giovani dovranno sostenere, per venti o trent’anni o anche di più, il peso delle migliaia di miliardi di debiti che i loro predecessori hanno contratto e non per attrezzare il Paese al futuro come sarebbe stato necessario, ma solo per coprire le spese correnti della vita quotidiana che in un Paese normale ogni generazione dovrebbe sostenere per conto proprio”, ha detto Bayrou con parole dure ma di grande responsabilità politica.
La palla ora passa a Macron ma nel Paese sale la tensione: i sindacati promettono barricate per mercoledì
Parole che però non tengono conto di un Paese alle corde: la terapia d’urto proposta dal premier è da un lato assolutamente ragionevole e anzi doverosa, ma la Francia è già da alcuni anni una polveriera sociale, con il consenso per il presidente Macron sceso a livelli impensabili (il 77% dei francesi lo boccia), e la tensione è pronta ad esplodere da un momento all’altro, soprattutto in una fase in cui si chiedono apertamente sacrifici alla popolazione. Ne è la prova l’iniziativa di alcune sigle sindacali di bloccare il Paese nella giornata di mercoledì 10 settembre, per dare un segnale chiaro alla classe politica: si prevedono forti disagi e anche la possibilità che la Francia venga messa a ferro e fuoco dai contestatori, come avvenuto nel recente passato con i gilet gialli nel 2018 e con gli scioperi selvaggi nel 2022.
Cavalcando questo malcontento la France Insoumise di Jean Luc Melenchon, vincitrice delle legislative dell’anno scorso e inizialmente alleato di Macron, salvo poi diventarne il più feroce oppositore, ha annunciato una mozione di destituzione del presidente della Repubblica per il prossimo 23 settembre. In effetti l’ordinamento francese prevede che Macron – considerato dalle opposizione il grande colpevole di questa situazione, che Bayrou ha soltanto fatto esplodere – possa essere destituito, anche se prevederebbe comunque un iter lungo e tortuoso. L’attualità chiama invece il presidente della Repubblica ad assumere, nel pieno delle sue funzioni, una scelta di grande responsabilità: dopo aver incassato la sfiducia, Bayrou ha infatti detto che rimetterà la decisione finale sul suo mandato nelle mani proprio di Macron, che domani – martedì 9 settembre – dovrà decidere il da farsi.