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Fondazione Mps, con i nuovi vertici meno politica?

La nuova composizione della Fondazione di Palazzo Sansedoni segna almeno formalmente un momento di discontinuità con il passato, mettendo fine all’era di Gabriello Mancini, il presidente della Fondazione succeduto allo stesso Giuseppe Mussari: l’anima politica delle nomine è scesa per la prima volta alla metà dei componenti dell’organo di indirizzo.

Fondazione Mps, con i nuovi vertici meno politica?

Non risolverà l’annosa questione sul rapporto banche-fondazioni, ma la nuova composizione dell’organo di indirizzo di Palazzo Sansedoni segna almeno formalmente un momento di discontinuità con il passato mettendo fine all’era di Gabriello Mancini, il presidente della Fondazione succeduto allo stesso Giuseppe Mussari quando questi passò alla guida della banca (le cui nomine, ha dichiarato lo stesso Mancini negli interrogatori sullo scandalo Mps, sono passate per la politica locale e nazionale). L’anima politica delle nomine della Fondazione è infatti scesa per la prima volta a metà dei componenti dell’organo di indirizzo, come stabilito dal nuovo statuto rinnovato dopo dieci anni. Prevede infatti su 14 membri (due in meno che in precedenza) che complessivamente sette arrivino da sindaco, Provincia e Regione. Le altre nomine arrivano da  Camera di commercio di Siena, dall’Università Ateneo, dall’Arcidiocesi senese, dall’Università per stranieri, dalla Consulta del volontariato, dal Cnr e dal Consiglio superiore per i beni culturali.

Un riequilibrio di pesi che toglie una spina nel fianco a Siena e che aveva fatto gridare all’illegittimità a Giuseppe Guzzetti, dominus delle Fondazioni ai vertici dell’Acri prodigatosi a difendere la bontà del sistema fondazioni bancarie: “La Fondazione Montepaschi è l’unica che ha uno statuto illegittimo, ha violato la Legge Ciampi”, ossia la regola per cui è necessario perequare il peso tra amministratori locali di matrice politica e società civile.  

L’attacco al sistema delle Fondazioni in quei giorni era arrivato nientemeno che dal Financial Times che dall’estero vedeva lo scandaloso girone infernale di Siena come il sintomo più evidente dei rischi di lasciare i politici nelle banche: “lo scandalo reitera i rischi di lasciare i politici nelle banche”, rilevava il Ft definendo “bizantino” l’ordinamento che riguarda anche altre banche italiane invocando la necessità di spezzare i legami tra manager e politici.

Molto da commentare ci sarebbe sulle bizantine regole per assegnare poltrone ai vertici delle Fondazioni, enti in questo modo sostanzialmente autoreferenziali con in mano un fortissimo potere che pure, va detto, hanno svolto nella crisi il ruolo cruciale di investitori di lungo termine sopperendo alla carenza italiana di  grandi fondi pensione.

Il problema è che a Siena,  la questione era ancora più aggrovigliata e il “sistema” ha alla fine messo in ginocchio la banca. E anche quando il tappo è saltato, con il deflagrare delle indagini sull’acquisizione di Antonveneta e sui derivati Alexandria & co, è stata sempre la Fondazione di emanazione politica a nominare i sei amministratori chiamati a rimettere ordine a Rocca Salimbeni tra cui Alessandro Profumo e Fabrizio Viola.  Il nuovo management ha comunque impresso una rotta di discontinuità varando un piano industriale aggressivo, portando a casa il via libera a un aumento di capitale che ridurrà ancora la fondazione nel capitale di Mps e facendo saltare il tetto al 4% del possesso azionario (caldeggiato anche dal Tesoro).

Oggi, con il nuovo statuto, la nuova deputazione generale scende a 14 membri (due in meno) ed è composta da: Egidio Bianchi, Sergio Betti, Barbara Lazzeroni, Alessandra Navarri (designati dal Comune di Siena); Vincenzo Cesarini, Simonetta Sancasciani (Provincia di Siena); Amedeo Alpi (Regione Toscana); Carlo Guiggiani (Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Siena); Bettina Campedelli (Università degli Studi di Siena); Alessandro Grifoni (Arcidiocesi di Siena – Colle Val d’Elsa – Montalcino); Riccardo Campa (Università per Stranieri di Siena); Vareno Cucini (Consulta Provinciale del Volontariato di Siena); Sergio Daolio (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Cnr); e l’ex ministro dei beni culturali Antonio Paolucci (Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici).

Entro l’inizio della prossima settimana il nuovo organo di governo, che rimarrà in carica fino al 2017,  dovrà riunirsi per nominare i componenti dell’organo ristretto (la deputazione amministratrice, ossia il cda, composta di cinque persone) e  il presidente. In pole c’è Francesco Maria Pizzetti, piemontese, 67 anni, giurista di fama internazionale ma anche in passato consigliere giuridico di Romano Prodi e di Franco Bassanini. Nomi che non sono piaciuti al segretario dell’Unione comunale del Pd Alessandro Mugnaioli. “Abituatevi all’indipendenza”, ha sostanzialmente replicato il nuovo sindaco di Siena, il renziano, Bruno Valentini, bancario Mps in aspettativa (era addetto ai fidi, 37 anni di lavoro nella banca). Proprio Valentini aveva in prima battuta chiesto direttamente all’ex presidente del Cosiglio Romani Prodi di diventare il nuovo presidente.

I nuovi equilibri e i nuovi nomi saranno in grado di ridare credibilità all’ente senese (+2,59% in Borsa intanto)? E soprattutto convinceranno i burocrati di Bruxelles? La lettera inviata al Tesoro a metà luglio dall’Antitrust europeo può essere interpretato come un segnale dell’insofferenza crescente in Europa dei meccanismi politico-partitici del tutto cambia e niente cambia.

Nella missiva l’Antitrust si dice preoccupato per la capacità dell’istituto di essere autosufficiente e si indica la necessità di miglioramenti nel piano presentato dal ticket Profumo-Viola per confermare il via libera ai Monti bond: riduzione dei costi e del rapporto di profittabilità, remunerazione sui titoli di debito subordinati e ibridi, politiche di accantonamento, politiche di remunerazione dei manager,  dimensione delle attività di trading, esposizione e sensitività complessiva sui titoli sovrani.

Il premier Enrico Letta, il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni e il governatore Ignazio Visco hanno fatto quadrato: la bocciatura Ue a giudizio del Governo e di via Nazionale non sarebbe corretta, almeno secondo quanto trapelato da una fonte di Palazzo Chigi, perché i 4 miliardi di Tremonti bond devono essere  considerati come finanziamento oneroso e non aiuti di Stato. Come dire, non è possibile assimilare Mps ad altre operazioni di ristrutturazione avvenute in Europa.

Nella questione è entrato a gamba tesa il Codacons che ha chiesto le dimissioni immediate del ministro dell’Economia Saccomanni. L’associazione ha inviato un esposto alla Procura della Repubblica di Siena contro il Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, “in cui si chiede alla magistratura di accertare l’operato del Ministro in relazione alla vicenda Mps”, che, “nel caso in cui non venga prontamente sanato, rischia di minare la fiducia dei nostri partner europei nei confronti del Paese con danni incalcolabili per le nostre finanze pubbliche”. Alla base dell’esposto e dell’appello “l’operato del ministro relativamente allo scandalo Mps e alle informazioni rese sulla questione all’Unione europea”, in particolare secondo l’associazione “le rappresentazioni non veritiere alla Commissione europea nella procedura di aiuti di Stato di Mps”.

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