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Fabrizio Sepe: cucina romana con esprit de finesse

Il suo ristorante Le Tre Zucche può essere considerato un laboratorio di rivisitazione della tradizione gastronomica romana in chiave moderna. Una vocazione alimentata fin dall’infanzia, ispirata dalla madre che aveva vissuto in Francia

Fabrizio Sepe: cucina romana con esprit de finesse

Nei gruppi di amicizia che si formano in gioventù, c’è sempre l’elemento trainante, quello che ha più facilità di linguaggio, che ha sempre la battuta pronta, che sa aggregare i compagni, che sa infondere allegria al gruppo.  Fabrizio Sepe, trasteverino puro, con un padre che lavorava in una ferramenta di via Cavour e la madre casalinga, come tutti i trasteverini viveva molto la piazza nel suo quartiere, dove si riuniva la sua compagnia. Ma lui, il giovane Fabrizio, oltre ad essere la “punta” del gruppo, aveva un punto in più per attirare tutti gli amici: li prendeva letteralmente per la gola.  E tra una partita al Commodore 64 e una al Subbuteo, nei momenti di riposo organizzava qualche finger food con quello che trovava nel frigo di casa. Altro che spaghettate scotte ajo olio e peperoncino, già propendeva per pranzetti e spuntini con tocco di novità molto apprezzati dagli amici.

Questa sua simpatia innata, quella capacità affabulatoria e coinvolgente con cui aggregava il gruppo di amici da ragazzo, gli sono tornate utili, anni dopo, quando, oramai affermatosi come cuoco, viene chiamato in televisione in programmi di successo. Fabrizio è uno che emana simpatia e, come si dice in gergo, buca il video. Lo troviamo quindi a ‘Sky in tavola’, a Casa Alice, al fianco di Franca Rizzi. , a I fatti vostri e successivamente con la rubrica Né carne né pesce all’interno della trasmissione Dio li fa e poi li accoppia, condotta da Licia Colò su TV 2000. E amcora alla ‘Prova del cuoco’ su Rai1 con Antonella Clerici, al programma di Tv8 di Alessandro Borghese ‘Cuochi d’Italia’, dove si classifica al secondo posto,  alla ‘Prova del cuoco’,  versione Elisa Isoardi.  La sua cucina è una continua esplorazione della tradizione, mai banale. Perché Fabrizio è di quelli che la cucina non l’hanno scoperta per accadimenti esterni, no! Lui la cucina ce l’aveva nel sangue fin da piccolo, come dire, gli veniva spontanea così come gli veniva spontaneo di commentare o criticare i piatti che sua madre preparava per la famiglia. Assaggiava e dava giudizi mentre la madre era ai fornelli, e il più delle volte aveva ragione. Una sorta di enfant prodige. Per questo aveva le idee chiare fin da allora: io da grande farò il cuoco, ripeteva in famiglia.  Ovvero più che il cuoco lo chef di cuisine. E qui va spiegato il perché. Perché, benché italiana, sua madre aveva vissuto a Parigi fin da quando aveva 6 mesi. Così in famiglia si parlava francese e nella cultura francese fare il cuoco, nel Paese che ha insegnato al mondo l’alta gastronomia, è sempre stato un mestiere di tutto rispetto. Non così in Italia almeno a quei tempi, non era ancora esplosa la bolla del food mediatico. Fabrizio, che per la sua passione, comincia a frequentare l’istituto alberghiero si sente in difficoltà con le ragazze che gli chiedono che scuola facesse. “Io rispondevo – ricorda oggi con un sorriso furbetto – che ero un tecnico delle attività alberghiere, non dicevo loro che studiavo per diventare cuoco, perché voleva dire non aver voglia di studiare e ripiegare su un indirizzo più semplice, e questo mi faceva perdere appeal sulle ragazze rispetto ai miei compagni che studiavano per diventare medico, avvocato, ingenere…”.

Ma Fabrizio sapeva bene che quello e solo quello sarebbe stato il suo destino. A dire il vero le esperienze francesi della madre hanno avuto un peso non indifferente nella formazione culturale culinaria del giovane Fabrizio.  Lo ricorda lui stesso “I miei primi passi in cucina sicuramente li ho fatti in famiglia nelle preparazioni di cene per compleanni o feste importanti come il Natale o il capodanno in casa”. La tavola era un rito e il cibo pretendeva rispetto, come diceva sempre sua madre. “A casa non ho mai visto apparecchiare con piatti di plastica i miei ma soprattutto mia madre ci teneva alla mise en place: bicchieri in vetro e posate d’acciaio erano d’obbligo non poteva mancare l’aperitivo abbinato a un Cremant d’ Alsace. Sicuramente è stata lei a farmi appassionare a questo mondo fantastico della ristorazione”.

Diplomatosi all’istituto alberghiero Fabrizio scorribanda per l’Italia e per l’estero seguendo il suo istinto e soprattutto la sua fame di cucina di qualità lo spinge a battere diversi sentieri, il Circolo del Polo, l’esclusivo Circolo degli Scacchi, il Circolo del Tiro a volo e della Caccia- Ma la sua prima vera esperienza, quella che lo forma concretamente, arriva nel 1993 quando viene accettato nelle cucine ristorante Alberto Ciarla un nome a suo tempo altisonante per la ristorazione Romana, conosciuto a livello mondiale (Forbes lo mise tra i 10 ristoranti più cari del mondo e Frommer’s tra i migliori 5). Ma la sua voglia di fare nuove esperienze lo spinge a Zurigo per fare lo chef presso un ristorante italiano, registra anche un piccolo passaggio a Hong Kong, ma non è aria per lui, quindi ritorna in Italia e va a lavorare per due anni al ristorante Il re di Macchia a Montalcino per poi tornare a Roma dove diventa chef del ristorante Al Ponte della ranocchia, di qui passa al ristorante Le Tamerici a Fontana di Trevi e finalmente il 13 gennaio 2006 può coronare il suo sogno assieme a due amici delle scuole medie apre il ristorante Le Tre zucche. Un’esperienza dura all’inizio, gli amici, non reggono all’impegno che è gravoso, e dopo due anni preferiscono prendere strade diverse, e lui resta saldo sul ponte della nave.  “Dopo tanto peregrinare ho realizzato che ero realmente diventato chef quando ho aperto il ristorante, oramai non si poteva tornare indietro. Avevo tutta la responsabilità sulle mie spalle volevo affermarmi come capo cuoco”.  E ci riesce in pieno, il suo Tre Zucche si fa largo fra la ristorazione della capitale e conquista una posizione di tutto rispetto.  “Un punto fermo del quartiere ma, pure, di tutta la Città – lo definisce la Guida del Gambero Rosso – sulla breccia da molti anni il locale di Fabrizio Sepe è un posto che conquista…”. “Un locale che è un esempio da additare- scrive Identità Golose – per una certa ristorazione con ambizioni mediomassime, che è quella su cui soffriamo di più in Italia per la mancanza di misura e per certo consapevole velleitarismo: vorrei ma non voglio. Ed è invece lì che si gioca il campionato più importante, perché alla fine a fare gli artisti son buoni tutti”. E l’autorevole Bibenda sancisce che “Il locale di Fabrizio Sepe ha conquistato la stima e l’affetto di tanti gourmet “.

La sua cucina è un peana alle tradizioni gastronomiche romane e laziali, ai cui prodotti ha dedicato un locale accanto al ristorante: la “bottega”, uno spaccato di territorio che condensa la vecchia osteria, la drogheria e la panetteria. Di qui gli acquisti e una cucina da… bottega appunto, di là, oltre la parte una cucina più raffinata dove dare estro alle sue fantasie e alle sue creazioni rivisitando con “esprit de finesse”, per dirla con la madre, la cucina di tradizione, e dove – la gente non lo sa – gli insegnamenti francesi della madre, sono oltremodo presenti e avvertiti.

“La mia cucina – spiega Fabrizio Sepe – è molto legata alla mia regione, attualmente propongo un menù con una proposta della tradizione, e l’altra una mia interpretazione. Questa virata l’ho fatta a gennaio del 2018, dopo che avevo partecipato ad un programma televisivo di Alessandro Borghese sul canale 8, dove ero il cuoco del Lazio, e dovevo presentare dei piatti meno conosciuti. L’idea della cucina tradizionale regionale romana, legata solo alle frattaglie, pesante e grassa, va rivista. Ci sono tante ricette povere, che fanno parte della nostra storia e della nostra cultura, da scoprire e riproporre che, se aggiornate ad oggi, risultano molto interessanti”. 

E’ il terreno di battaglia – come i lettori di First&Food hanno potuto apprendere, di tanti chef stellati, una battaglia che va alla riscoperta dei profumi e dei sapori dei campi e schiera eserciti agguerriti contro il fronte di tante trattorie romane per turisti, dove la qualità è un punto interrogativo e dove il valore culturale gastronomico del territorio viene costantemente offeso. In questo le Tre Zucche di Fabrizio Sepe svolge da anni un’opera meritoria, un vero e proprio laboratorio di idee e di gusto di prima linea alla ricerca del tempo perduto da proporre con grande eleganza e inventiva.

Insomma Fabrizio Sepe oggi è un arrivato che non tradisce le sue origini e che sa coniugare umiltà e professionalità: ”devo dire che oggi ho realizzato tutto quello che mi ero prefissato, anzi di più, ho una moglie splendida che mi aiuta alla Bottega, e porta avanti l’attività con la mia stessa passione, ho un figlio di 16 anni che sta facendo il terzo anno della scuola alberghiera come cuoco, spero continui per poter portare avanti le Tre Zucche e poi ho mia figlia Sofia che ancora non sa!”.

L’ex ragazzo trasteverino, oggi quasi cinquantenne, è riuscito a portare avanti con successo la sua passione giovanile, una elegante cucina di territorio con esprit de finesse

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