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Expo 2030: stravince l’Arabia Saudita, per l’Italia una sconfitta bruciante (solo 17 voti) ma annunciata

I petrodollari e i progetti faraonici messi in campo dall’Arabia Saudita per Expo 2030 hanno, come era prevedibile, avuto la meglio sulla candidatura di Roma che, dopo le Olimpiadi, perde un’altra occasione di rilancio internazionale . Il nostro risultato è impietoso

Expo 2030: stravince l’Arabia Saudita, per l’Italia una sconfitta bruciante (solo 17 voti) ma annunciata

Sarà, come era nelle previsioni della vigilia, l’Arabia Saudita, che ha raccolto ben 119 voti favorevoli, ad organizzare Expo 2030. Per l’Italia è una sconfitta che scotta ma una sconfitta annunciata: però i soli 17 voti raccolti sono una debacle. Ne abbiamo presi meno della Corea del Sud (37 voti). Ricostruiamo tutta la vicenda dalle origini.

Tre anni fa, quando un’intuizione di Unindustria Roma fu colta al volo e valorizzata da un ex diplomatico di grande esperienza divenuto imprenditore come Giuseppe Scognamiglio, il mondo era molto diverso da oggi. Non c’era la guerra a Gaza e anche la crisi Ucraina, che pure si trascinava da tempo, non era ancora esplosa in tutta la sua drammaticità con l’invasione russa tanto che il Governo di Kiev si sentiva a proprio agio nel presentare al Bie di Parigi la candidatura di Odessa come sede per l’Expo internazionale 2030 in competizione con la capitale dell’Arabia saudita Ryad, con la città coreana Busan e con Roma.

Expo 2030 e la storia della candidatura di Roma

In altre parole, tutto sembrava possibile. Quindi anche Roma, città d’arte e di cultura millenaria, custode di valori occidentali e diritti universalmente riconosciuti come patrimonio dell’umanità ma dove i turisti assistono ogni giorno sbigottiti allo smaltimento rifiuti appaltato a cinghiali e gabbiani e il trasporto urbano è una chimera, poteva a buon diritto giocarsi la carta della candidatura di sede per l’Expo 2030. Gli imprenditori romani (dall’edilizia alla tecnologie di difesa e aerospazio nella Tiburtina valley) vedevano in quella scadenza un’occasione d’oro per il rilancio dei loro settori. Conoscevano ben poco delle complesse procedure per l’assegnazione della sede di Expo. La stessa sindaca pentastellata in quel momento alla guida del Campidoglio, Virginia Raggi, che pure aveva fatto naufragare la candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2024 (poi assegnate a Parigi), per l’Expo aveva cambiato idea e si era convinta dei vantaggi per entrare in gara. Poi fu la volta della politica e della diplomazia con tutto ciò che ne consegue. I candidati alla successione della Raggi sottoscrissero un documento in cui si impegnavano a portare comunque avanti la candidatura, se eletti. Il sigillo finale lo mise il premier Mario Draghi con lettera ufficiale al Bie per candidare Roma. 

A quel punto la piccola unità di lavoro messa in piedi da Scognamiglio e Unindustria prese il volo con la presidenza del comitato promotore affidata a un ambasciatore di lungo corso come Giampiero Massolo, già segretario generale della Farnesina, capo dei servizi segreti Dis e poi presidente di Ispi e Fincantieri.  

Si racconta che la “coabitazione forzata” tra Scognamiglio (direttore del comitato) e Massolo (presidente) non sia stata sempre così serena e all’insegna del totale fair play ma di questo gli altri 181 membri del Bie non si saranno neppure accorti. Contava soprattutto il lavoro di una squadra di primo livello composta da diplomatici in servizio (Sem Fabrizi e Fabio Sokolovich) e a riposo (Sebastiano Cardi e Antonio Bernardini) negli uffici di Roma e quelli di Parigi messi a disposizione dalla sindaca Hidalgo al Marais per brifare adeguatamente i rappresentanti degli altri Paesi sui punti di forza della nostra candidatura e stringere alleanze a geometria variabile da mettere in campo a seconda dei mutamenti di fronte. 

Il progetto Expo 2030 di Roma

Colazioni e cene di lavoro si sono succedute a ritmo serrato in tutto il mondo, viaggi natalizi (come quello del sindaco Gualtieri a Cuba) trasformati in vetrina per sostenere la candidatura di Roma. Lo stesso ultimo incontro della premier Meloni alla Casa Bianca con il presidente Joe Biden si è concluso con la richiesta di un endorsement per Roma. 

Tutto era stato fatto in piena regola. La sede per l’Expo individuata in un’area a Sud della capitale vicino all’autostrada del Sole, regno incontrastato della famiglia Casamonica, sede di una grande opera incompiuta per i mondiali di nuoto con lo scheletro della vela di Calatrava. Era come mettere l’accento su un passato da riscrivere, dare forza alla volontà di modernizzazione e rinascita, puntare su quella rigenerazione urbana che è il tema dell’Expò fatta di sostenibilità ambientale e impatto zero. 

Insomma, tutto stava seguendo le regole fin troppo collaudate della migliore tradizione del Sistema Italia quando viene messo alla prova per un appuntamento internazionale di quella portata. Una legge ad hoc aveva finanziato la candidatura. Il circolo degli Esteri (di cui Scognamiglio nel frattempo era diventato presidente) fu trasformato in hub logistico per tutti gli eventi legati alla candidatura (non senza qualche lamentela da parte dei soci impegnati nelle normali attività sportive). Il progetto affidato a un archistar piemontese cresciuto a Mit di Boston e apprezzato in tutto il mondo come Carlo Ratti, corteggiatissimo (senza successo) dagli stessi sauditi. Le condizioni per entrare in gara c’erano quindi tutte

La sfida a tre per Expo 2030

Certo, la situazione era ben differente da quella di Milano del 2015 quando la stessa Letizia Moratti contribuì di tasca propria alle spese per viaggi e azioni di lobby. Ma la sfida era pur sempre alla nostra portata. Poi, la crisi ucraina, l’inevitabile uscita di scena di Odessa nonostante tutti i tentativi di Zelensky di mantenere la candidatura, hanno ristretto i contendenti a tre Ryad, Roma e Busan. Quest’ultima, sia pure forte di oltre 30 voti favorevoli degli asiatici e dotata di un progetto ambizioso presentato in largo anticipo dal Governo della Corea del Sud, sponsorizzato perfino dall’ex segretario delle Nazioni Unite Ban ki Moon, si è dovuta arrendere a una sconfitta inevitabile dovuta al fatto che molto difficilmente il Bie può assegnare due sedi di seguito nello stesso continente dopo che nel 2025 l’Expò si terrà a Osaka in Giappone. 

Expo 2030 a Ryad

Da ottobre la guerra tra Israele e Hamas a Gaza ha rimescolato ulteriormente le carte. Molti hanno creduto di vedere a quel punto scendere le quotazioni di Ryad proprio a causa della nuova instabilità che si stava producendo in tutta la regione. Ma il sostegno alla candidatura di Paesi importanti come la Francia e la sconfinata capacità finanziaria del Paese hanno avuto la meglio.

A poco oggi vale lamentarsi o fare appello (come sostenuto dall’ambasciatore Massolo) a una maggiore consapevolezza della comunità internazionale che sempre di più dovrebbe privilegiare i diritti e i valori sulla forza dei “petrodollari”. Pena ritrovare ogni evento internazionale piantato tra le dune del deserto. Eppure è già così da tempo: negli ultimi anni i Paesi del Golfo Persico tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 hanno visto l’Expò di Dubai del 2020 posticipato di un anno a causa del Covid e a dicembre 2022 sono stati disputati in Qatar i Mondiali di calcio. La Coppa del Mondo del 2034 invece si giochera’ proprio in Arabia Saudita. Insomma, per ora, stanno vincendo i petrodollari.

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