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Energie rinnovabili: l’Italia rallenta e la Sicilia sospende le autorizzazioni per il fotovoltaico

L’ultimo Rapporto del World Energy Transitions denuncia i ritardi nei finanziamenti per le fonti rinnovabili. E il Presidente della Regione Sicilia dà l’altolà ai pannelli solari

Energie rinnovabili: l’Italia rallenta e la Sicilia sospende le autorizzazioni per il fotovoltaico

La corsa alle rinnovabili nel mondo non vede l’Italia nelle prime posizioni. Nel 2022, secondo il World energy transitions outlook (Weto) curato da Irena, il Paese si è allontanato dagli obiettivi del 2030. Nel giro dei documenti e think-tank che tengono sotto osservazione la transizione energetica, il Weto è tra i più affidabili. Un punto di vista condiviso con altre Agenzie internazionali, laddove c’è bisogno di un’accelerazione soprattutto nello sblocco delle autorizzazioni per i nuovi impianti. In un anno in Italia la potenza rinnovabile totale messa in esercizio è stata solo di 3 Gigawatt. Bassa. D’altra parte le sorprese non mancano anche in questo 2023. L’ultima arriva dalla Sicilia, dove il Presidente della Regione Renato Schifani ha sospeso le autorizzazioni per il fotovoltaico. Nelle prossime settimane vuole valutare se c’è un utile d’impresa e l’eventuale danno ambientale dall’installazione dei pannelli.

Le rinnovabili non possono segnare il passo: l’Italia tra i Paesi indietro

L’anteprima del Rapporto Irena presentata a Berlino non riguarda soltanto l’Italia, ma il mondo, i Paesi più industrializzati. L’altalena finanziaria mondiale non sta aiutando il processo di contenimento del riscaldamento climatico. Per questo si chiede l’aumento di quattro volte il livello degli investimenti attuali. In caso contrario stare dentro 1,5 C° sarà difficile. Nel 2022 le rinnovabili hanno segnato un + 10% di spesa, un dato che va visto unicamente come segnale per un spinta più vigorosa. I governi lo sanno ma non guadagnano la stima degli analisti del cambio di paradigma economico. Irena sostiene la necessità di installare nuovi impianti per una media di 1.000 Gigawatt l’anno. Con un trend di questo genere si potrà arrivare ai 10 mila Gigawatt nel 2030. In fondo, mancano sette anni ed è il caso di rivedere un po’ l’approccio sistemico alla transizione energetica. Poiché – aggiungiamo – in Europa si stanno aprendo i tavoli introno al PNRR e alle revisione di alcuni obiettivi del Next Generation EU, l’occasione di aggiornare la vision, almeno europea, c’è. D’altra parte nessun Paese del Vecchio Continente può ritenersi fuori da queste esigenze. Un anno di guerra in Ucraina ha obbligato tutti a trovare soluzioni alternative o insistere su quelle in vita, al gas russo. Su questo punto il Weto ha ragione quando precisa che le soluzioni da prendere in breve tempo riguardano la struttura socioeconomica degli Stati. Una visione distorta del nuovo modello di sviluppo non fa altro che generare altre disuguaglianze che hanno il primo riscontro nell’energia e nei sistemi collegati come l’acqua, la salute, i rifiuti.

Tre pilastri per il passaggio ad nuova convivenza

“La posta in gioco non potrebbe essere più alta– ha detto Francesco La Camera, direttore generale di Irena – Una trasformazione profonda del sistema energetico globale deve avvenire in meno di 30 anni, sottolineando la necessità di un nuovo approccio per accelerare la transizione energetica per passare a un sistema energetico adatto al predominio delle rinnovabili”. La strada migliore e rigenerativa per tutti è puntare su tre pilastri: l’infrastruttura fisica, i fattori abilitanti politici e normativi e una forza lavoro ben qualificata. Cose praticabili, sicuramente, ma che “richiedono investimenti significativi e nuovi modi di cooperazione”, aggiunge La Camera.

Una convivenza pacifica e solidale, come si sforzano di fare le COP sul clima delle Nazioni Unite senza, però, riuscire ad incidere sulle politiche dei singoli Paesi. La domanda è: che cosa pesa sul piano strutturale? I finanziamenti alle fonti fossili. È questione sempre dibattuta sia dagli industriali che dagli ambientalisti. Ora forse siamo arrivati davanti a nuove scelte. Ogni decisione di nuovi investimenti nelle rinnovabili deve partire da un pesante 41% di investimenti globali al 2050 a fqvore dei combustibili inquinanti. Soldi, ci dice il Report, già pianificati in 1.000 miliardi di dollari entro il 2030. Sia l’Europa che gli Usa da qualche settimana hanno annunciato megapiani a sostegno dell’industria verde. Non resta che reindirizzare quelle risorse magari aggiungerle ai Piani di Joe Biden e Ursula Von Der Layen. In pratica una destrutturazione della finanza energetica che deve puntare su nuove tecnologie green. Le cifre sono da capogiro. L’1,3 trilioni di dollari del 2022 dovrebbero salire a oltre 5 trilioni per stare dentro il limite di 1,5°C di riscaldamento globale. Le alternative sono davvero poche.

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