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ENERGIA – Allarme italiano: “La Croazia ci sta scippando il Tap”

INTERVISTA A GIAMPAOLO RUSSO, country manager per l’Italia del Tap – La Croazia vuole scalzare l’Italia per dare ospitalità al Trans adriatic pipeline, il gasdotto candidato a portare in Europa da 10 a 20 miliardi di gas dal Mar Caspio: “Occorre che il Governo eserciti un vero coordinamento politico nel giro di 2 o 3 mesi: stare fuori dal Tap sarebbe grave”.

ENERGIA – Allarme italiano: “La Croazia ci sta scippando il Tap”
“La Croazia si sta candidando per ospitare il Tap. E rischia di prendere il posto dell’Italia”. Mentre a Roma si riunisce il G7 Energia per parlare di sicurezza degli approvvigionamenti nel bel mezzo della crisi tra Russia e Ucraina, Giampaolo Russo riporta la discussione su una base di concretezza. È il country manager per l’Italia del Trans adriatic pipeline, Tap per l’appunto, il gasdotto candidato a portare in Europa da 10 a 20 miliardi di metri cubi di gas dall’immenso serbatoio del Mar Caspio. Il primo, tra i progetti sotto i riflettori della Ue, a non passare attraverso la Russia e Gazprom.

Cosa sta succedendo, l’attivismo della Croazia rischia di portare ad un cambiamento del percorso del Tap con l’esclusione dell’Italia?

“È da qualche settimana che questa ipotesi circola e non è un’ipotesi di scuola. La Croazia si insinua nelle debolezze mostrate dall’Italia e sta spingendo molto per conquistare un ruolo di hub del gas e diventare il terminale dello Ionian Adriatic Pipeline, una bretella che passando dalla Bosnia Erzegovina e dal Montenegro arriva in Croazia scavalcando l’Italia. Il progetto si snoda su 516 km e ha già ottenuto i primi memorandum of understanding intergovernativi dai Paesi interessati al tracciato”.

La Croazia si muove anche sul fronte degli idrocarburi

“Il governo di Zagabria sta concendendo le prime licenze di esplorazione nell’Adriatico con l’intento di favorire la produzione su giacimenti che confinano con quelli italiani. Hanno dato il via libera alle prime prospezioni nell’area delle isole di Pelagosa, a un passo dalle Tremiti. E puntano alla realizzazione di un rigassificatore”.

Tornando all’Italia, su cosa è arenato il Tap?

“Dal punto di vista formale siamo in attesa della Via nazionale, la valutazione d’impatto ambientale, che ci auguriamo arrivi tra fine giugno e i primi di luglio. Ma non è qui il problema. Il vero scoglio è il ruolo di coordinamento politico dell’iniziativa che abbiamo chiesto al governo in modo di coinvolgere la Regione e gli enti locali”.

Nella zona di San Foca, in Puglia, dove è previsto l’approdo del Tap dopo l’attraversamento di Grecia, Albania e del mare adriatico, il progetto è finito sotto il bersaglio di Comuni e associazioni ambientaliste. Nessun passo avanti?

“Un tracciato di 8 km interamente sotterraneo, in Puglia, su 874 km complessivi non giustifica l’attuale guerra sul Tap. In Italia c’è un silenzio assordante su questo progetto promosso dal produttore Shah Deniz II e coerente con la volontà di arrivare sul mercato con politiche di prezzo aggressive, ancorate prevalentemente al mercato spot e non al petrolio. Siamo anche disposti a modificare il punto di approdo sulla costa purché il governo ci dia garanzie sulla governance del consenso come chiediamo da un anno”.

Quanto tempo rimane? L’Italia rischia in termini di sicurezza degli approvvigionamenti?

“Siamo a due-tre mesi dalla definizione finale del progetto e siamo vicini al punto di non ritorno. L’elastico non è flessibile all’infinito. Qui arriverebbero 8 miliardi di metri cubi di gas ad un prezzo innovativo, il Paese conquisterebbe un ruolo di hub europeo, Snam rafforzerebbe i suoi ricavi sul trasporto. Se l’Italia restasse fuori, sarebbe davvero deplorevole”.

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