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Elezioni Spagna: tutto ciò che c’è da sapere in 6 punti

La Spagna torna alle urne per la terza volta in 4 anni – Psoe favorito, ma la maggioranza è un’utopia – Catalogna al centro della Campagna elettorale – Ecco novità e previsioni

Elezioni Spagna: tutto ciò che c’è da sapere in 6 punti

20 dicembre 2015, 26 giugno 2016, 28 aprile 2019. La Spagna torna alle urne per la terza volta in meno di quattro anni. Saranno elezioni generali necessarie per rinnovare le Cortes, vale a dire il Parlamento spagnolo. A poco più di un mese dalle elezioni europee, il voto iberico viene considerato un indicatore fondamentale per comprendere come si sta orientando il voto dei cittadini in vista dell’appuntamento elettorale comunitario che potrebbe cambiare radicalmente il volto dell’Europa.

Sono poche le certezze della vigilia. Tra esse ce n’è però una che non viene messa in discussione da nessuno: la realtà politica spagnola appare ancora più frammentata di quella italiana e dunque non ci sarà una maggioranza netta. In vantaggio c’è il Psoe di Pedro Sánchez, ma per governare i socialisti dovranno ricorrere ad alleanze che potrebbero comprendere anche i partiti indipendentisti catalani. La matematica gioca un ruolo da protagonista. In ballo ci sono 350 seggi, con la maggioranza fissata a 176.

Ricordiamo che sarà il Congresso dei deputati (la Camera bassa, che insieme al Senato forma le Cortes), una volta eletto, a dover votare la fiducia al nuovo governo. Spetterà invece a re Felipe proporre il nome del Primo Ministro sulla base del risultato elettorale.

ELEZIONI SPAGNA: RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTI

Le elezioni sono state indette dal primo ministro uscente, Pedro Sánchez, lo scorso 13 febbraio. Il leader del Psoe (centrosinistra) è diventato Primo Ministro a giugno del 2018, dopo che il Parlamento spagnolo ha sfiduciato Mariano Rajoy, ex numero uno del partito Popolare (centrodestra) e vincitore delle elezioni del 2016, in seguito alla sentenza relativa al caso Gurtel, uno dei maggiori scandali politici della storia spagnola. Nel maggio del 2018, i giudici della Audiencia Nacional hanno inferto complessivamente 351 anni di carcere a 29 dei 37 imputati, tra cui molti ex rappresentanti del PP, per avere preso parte a una “efficace struttura di corruzione istituzionale”.

Sánchez, diventato Primo Ministro dopo la sfiducia, è riuscito a restare in carica solo sette mesi. A febbraio, la maggioranza composta da Psoe, Podemos e da piccoli partiti indipendentisti e nazionalisti, è caduta sul voto necessario per far approvare la legge di Bilancio. Poche settimane prima infatti i partiti separatisti avevano posto il Psoe di fronte a un aut-aut: l’ok alla Finanziaria in cambio del Sì a un nuovo referendum sull’indipendenza della Catalogna. Una proposta inaccettabile per Sánchez che ha deciso di tornare alle urne per cercare di ottenere una maggioranza più solida e, soprattutto, di non dover più subire le pressioni dei separatisti catalani. Purtroppo per lui potrebbe non essere così semplice, ma su questo torneremo a breve.

COME STA LA SPAGNA?

Grandi luci, ma anche enormi ombre. Potrebbe essere riassunta così l’attuale realtà economica della Spagna in vista delle elezioni generali del 28 aprile. Dopo la grande crisi, sconfitta a caro prezzo con anni di austerità, i conti sono tornati in ordine e il Paese ha ricominciato a crescere.

Nel 2018, il PIL spagnolo è aumentato del 2,6%, tre volte di più di quello italiano. Per il 2019 si prevede una crescita del 2,2%, mentre per il 2021 si scende a +1,9%. Parallelamente, nello stesso anno, il debito pubblico si è ridotto dal 98,1% al 97,1%, mentre il deficit è calato dal 3,1% al 2,5% (dati Eurostat).

Tutto bene dunque? No. Perché nonostante gli enormi passi avanti fatti, la Spagna rimane uno dei Paesi Ue con il maggior numero di disoccupati, pari in termini assoluti a 3,3 milioni di individui. A febbraio il tasso di disoccupazione era pari al 13,9% (inferiore solo alla Grecia, 10,7% l’Italia), mentre quello giovanile era al 32,4% (32,8 l’Italia). Tanto è stato fatto, ma tantissimo c’è ancora da fare.

ELEZIONI SPAGNA: I PRINCIPALI PARTITI

Da anni la Spagna, come l’Italia, si è messa alle spalle il bipartitismo che ha contraddistinto la sua storia democratica. Il tradizionale dualismo post franchista tra PSOE e PP si disintegrato sotto i colpi della crisi e dell’austerità. Secondo El Pais, uno dei principali quotidiani iberici, a Madrid si è formato quello che viene definito come un “pentapartitismo imperfetto”. Sono infatti cinque i partiti che si giocano il tutto per tutto in vista delle elezioni di domenica. Al Partito Socialista di Pedro Sánchez e al Partito Popolare, ora guidato dal 37enne Pablo Casado, si aggiungono altre tre importanti realtà:

  • Unidos Podemos o Unidas Podemos coalizione di sinistra formata da Podemos di Pablo Iglesias e Izquierda Unida di Alberto Garzón;
  • Ciudadanos, partito centristra (ma spostato a destra), guidato da Albert Rivera,
  • Vox, vera novità di queste elezioni. Partito di estrema destra filofranchista, nazionalista, anti-immigrazione e anti-femminista, guidato dal basco Santiago Abascal. Vox è stato fondato il 17 dicembre 2013 da alcuni membri dissidenti del Partito Popolare e nel dicembre del 2018 è riuscito per la prima volta ad entrare in un Parlamento locale, quello andaluso. Negli ultimi mesi, il partito ha guadagnato sempre più consensi e secondo i sondaggi, dopo le elezioni, potrebbe addirittura conquistare 30 seggi in Parlamento. Vox è considerato anche la principale novità e il principale “pericolo” di queste elezioni. Con questo partito anche la Spagna, fino a pochi mesi fa considerata un’eccezione in Europa, ha visto rapidamente espandersi il populismo di destra.

ELEZIONI SPAGNA: LA CATALOGNA AL CENTRO DI TUTTO

La campagna elettorale dei principali partiti è stata per forza di cose dominata dalla questione catalana. Dopo la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del 2017, i disordini vissuti nel corso dell’ultimo anno e il processo in corso contro i principali leader separatisti, le velleità secessioniste di Barcellona possono dirsi tutt’altro che sopite e il prossimo Governo sarà costretto a fare i conti con quella che viene considerata come la più grande crisi politica che la Spagna abbia vissuto negli ultimi 40 anni. Non a caso, anche il dibattito tv tra i quattro principali leader (mancava Abescal di Vox a causa del veto della giunta elettorale) svoltosi lunedì 22 aprile, si è concentrato ancora una volta sulla Catalogna, i cui partiti potrebbero essere nuovamente decisivi per trovare una maggioranza dopo le elezioni del 28 aprile.

Rivera e Casado hanno duramente accusato Sánchez che si è difeso confermando la linea del suo partito: “No al Referendum e no all’indipendenza”. Il Psoe, insieme a Unidos (Unidas) Podemos, una volta messe da parte le volontà separatiste sembra essere però il più propenso alla via del dialogo, allo scopo di trovare un compromesso (probabilmente in materia di tassazione) che riesca in parte a sopire i malumori catalani.

ELEZIONI SPAGNA: COSA DICONO I SONDAGGI

Secondo le rilevazioni effettuate da El Pais che ipotizzano il numero di scranni per ciascun partito e le possibili maggioranze post elezioni sulla base di 15mila simulazioni, il Psoe potrebbe essere il primo partito con circa 129 deputati. Al secondo posto, il Partito Popolare con 78 seggi. Se questo numero fosse confermato, per i popolari sarebbe il peggior risultato degli ultimi 30 anni. Seguono Ciudadanos con 46 seggi, Unidos (o Unidas) Podemos con 35 seggi e Vox con 30.

Importante dare un’occhiata anche a ciò che potrebbe succedere in Catalogna. I sondaggi del Centre d’Estudis d’Opinió vedono Esquerra Repubblicana (ERC), partito di centrosinistra e indipendentista – ma considerato il più “ragionevole” della frangia – davanti a Junt per Catalunya (JxCat, coalizione di centrodestra guidata dall’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont). In numeri, ERC potrebbe ottenere 14-15 seggi, i socialisti catalani – contrari all’indipendenza – viaggerebbero intorno agli 11-16 seggi, En Comú Podem, coalizione di sinistra che comprende Podemos, sarebbe tra i 7 e i 9 seggi, Junt per Cataluya tra i 5 e i 7.

ELEZIONI SPAGNA: LE POSSIBILI ALLEANZE

Come è facile vedere, nessun partito si avvicina neanche lontanamente alla maggioranza necessaria per governare, pari a 176 seggi. Nel caso in cui vincesse il  Psoe, al partito di Pedro Sánchez serviranno tra i 45 e i 50 seggi in più per arrivare a una maggioranza. Secondo El Pais dunque, l’ipotesi più probabile (data all’85%) è che si formi una maggioranza di centrosinistra guidata dai socialisti con l’appoggio di Unidas Podemos e di altri piccoli partiti locali: Compromís (coalizione valenciana di sinistra), Pnv (partito nazioanlista basco) CC (partito nazionalista liberale delle isole Canarie) En Marea (partito di sinistra galiziano), Erc e JxCat. Possibile, ma meno probabile (45%) che si riesca ad escludere i partiti catalani dalla maggioranza (Sánchez ha escluso nel recente passato un’alleanza con loro perché considerati “poco affidabili”).

Al 65%, secondo il giornale spagnolo, nella maggioranza potrebbe entrare Ciudadanos in coalizione con Psoe, CC e Pnv. Difficilissimo che i tre partiti di destra – PP, Ciudadanos e Vox – insieme riescano ad arrivare a una maggioranza che permetta loro di governare.  

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