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Elezioni midterm Usa 2022: quando e per cosa si vota? Qual è la posta in gioco? Cosa dicono i sondaggi? La guida

L’8 novembre si terranno le elezioni di midterm per ridisegnare gli equilibri del congresso Usa. In palio tutti i seggi della Camera e un terzo di quelli del Senato. Ecco tutto ciò che c’è da sapere

Elezioni midterm Usa 2022: quando e per cosa si vota? Qual è la posta in gioco? Cosa dicono i sondaggi? La guida

Gli Stati Uniti si trovano di nuovo di fronte un bivio. In base alla strada che i cittadini decideranno di imboccare, secondo il Presidente Joe Biden, si deciderà se “preservare la democrazia o metterla a rischio”. Martedì 8 novembre infatti si terranno le importantissime elezioni di midterm Usa 2022. Si tratta del voto di metà mandato, dal quale scaturirà la nuova maggioranza sia alla Camera che al Senato statunitensi.

Elezioni midterm Usa 2022: quando e per cosa si vota?

Lo dice il nome stesso. Le midterm si tengono a due anni di distanza dalle elezioni presidenziali per rinnovare i rappresentanti che siedono al Congresso. In questo caso, martedì 8 novembre si voterà per eleggere tutti i rappresentati della Camera, che sono 435, e un terzo di quelli del Senato, vale a dire 35 su 100. Non solo: l’8 novembre gli elettori di 39 Stati eleggeranno i propri governatori e verranno rinnovati quasi tutti i parlamenti statali.

Elezioni midterm Usa 2022: qual è la posta in gioco?

Da queste elezioni dipenderanno gli equilibri del Congresso e il conseguente raggio d’azione del Presidente Joe Biden per i prossimi due anni. Se Joe Biden riuscirà ad ottenere la maggioranza sia al Senato che alla Camera potrà continuare ad attuare, quasi indisturbato, le sue promesse elettorali. Se invece perderà uno o tutti e due i rami del Parlamento potrebbe trasformarsi nella cosiddetta “anatra zoppa” e non sarà più in grado di esercitare pienamente i propri poteri.

Non è un caso dunque, che le elezioni di midterm vengano considerate ormai un referendum sull’operato dei vari Presidenti e che, storicamente, non siano favorevoli al partito che detiene il potere. Come spiega l’American President Project dell’Università della California Santa Barbara, nelle 22 elezioni tornate elettorali di metà mandato che si sono tenute tra il 1934 e 2018, il partito del presidente ha perso in media 28 seggi alla Camera e 4 al Senato. Solo in 3 casi è riuscito ad ampliare il numero dei propri rappresentanti alla Camera e solo in sei è riuscito a farlo al Senato. Sono invece solo due le volte in cui ha guadagnato seggi in entrambi i rami del Congresso. 

L’attuale composizione di Camera e Senato

Attualmente i democratici detengono una maggioranza abbastanza ampia alla Camera – 220 seggi contro i 212 dei repubblicani – e una maggioranza risicatissima al Senato. In realtà, nella camera alta, democratici e repubblicani hanno 50 seggi ciascuno, ma dato che la Costituzione Usa prevede che in caso di pareggio voti anche il o la vice-presidente – che dal 2020 è la democratica Kamala Harris – di fatto, sono i democratici ad avere in mano la maggioranza, seppur per un singolo voto. 

I tre fattori che incideranno sul voto di metà mandato 

Sono tre, secondo gli osservatori, i fattori fondamentali che incideranno sul voto dell’8 novembre, di cui solo uno è favorevole ai democratici. Questi ultimi sperano di guadagnare consensi sfruttando l’onda lunga derivante dalla decisione della Corte Suprema Usa (a maggioranza repubblicana) di abolire il diritto federale all’aborto, con una sentenza che ha ribaltato la storica decisione nota come “Roe v. Wade” che dal 1973 garantiva l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza su tutto il territorio nazionale statunitense. Dallo scorso giugno molti Stati governati dai repubblicani hanno fortemente ridimensionato o addirittura abolito il diritto all’aborto, limitando la libertà di scelta delle donne. 

Il secondo fattore è ancorato all’attuale congiuntura politico-economica internazionale. Secondo un sondaggio realizzato ad ottobre, l’andamento dell’economia condizionerà il voto dell’85% degli elettori. Un’indicazione che, se rispettata, favorirà i repubblicani, considerando le difficoltà che tutto il mondo sta affrontando a causa della guerra in Ucraina, della crisi energetica e dell’inflazione. Negli Stati Uniti, in particolare, il costo della vita ha toccato i massimi da 40 anni, spingendo la Federal Reserve, la banca centrale americana, ad alzare ripetutamente (sei volte dall’inizio del 2022, l’ultima mercoledì 2 novembre), i tassi di interesse, portandoli al 3,75-4%, il livello più alto dal 2008. Non solo, il governatore della Fed, Jerome Powell, ha affermato che “nessuno sa se ci sarà una recessione e quanto potrebbe essere profonda”, lasciando presagire ulteriori difficoltà nel prossimo futuro. A parziale consolazione, il mercato del lavoro continua a tenere. Secondo l’ultimo rapporto mensile pubblicato giovedì 4 novembre negli Usa ad ottobre sono stati creati 261mila nuovi posti di lavoro contro stime pari a205mila, mentre a settembre ne sono stati creati 315mila a fronte di una lettura precedente di 263mila. In leggera salita dal 3,5% al 3,7% la disoccupazione.

Il terzo fattore che potrebbe incidere sul voto, invece, è squisitamente tecnico. Di recente, in vari  Stati Usa sono stati ridisegnati i collegi della Camera, cosa che accade a cadenza decennale. I repubblicani ne hanno approfittato per ritagliarli a loro favore, utilizzando il controverso metodo noto come gerrymandering che consente di tracciati appositamente i confini elettorali di un collegio per favorire uno dei partiti in lizza.

Elezioni midterm Usa 2022: cosa dicono i sondaggi? 

Secondo i dati pubblicati da Gallup lo scorso 26 ottobre, attualmente il gradimento di cui gode Biden è abbastanza basso: pari al 40%, in calo rispetto al 44% di agosto, ma sopra il suo minimo del 38% toccato in luglio. Per fare un paragone, dopo due anni alla Casa Bianca, la fiducia in Donald Trump era al 43%, quella in Obama al 45%. 

Per quanto riguarda il Congresso, quasi tutti i sondaggi sostengono che i repubblicani otterranno un’ampia vittoria alla Camera, mentre al Senato sarà una corsa all’ultimo voto che però vede lievemente favorito sempre il Grand Old Party. Facendo un esempio su tutti, secondo l’autorevole sito FiveThirtyEight, ad oggi i repubblicani hanno l’80% delle possibilità di ottenere tra i 215 e i 248 seggi (su 435) alla Camera, mentre al Senato potrebbero averne tra i 48 e i 54 (su 100 totali).

Per sapere cosa accadrà bisognerà però guardare come sempre anche agli Swing State, gli Stati in bilico, dove i due partiti sono sostanzialmente in parità. Quali sono? Wisconsin, Pennsylvania, North Carolina, Arizona e Georgia. Ad oggi i repubblicani controllano i primi tre, i democratici gli altri due.

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