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Elezioni, Italia nella trappola di Lega e M5S? No, grazie

Il voto del 4 marzo arriva dopo una legislatura che ha indiscutibilmente migliorato l’economia e realizzato tante riforme come mai si erano viste, ma gli apprendisti stregoni alla Salvini e alla Di Maio pescano nel disfattismo nazionale e propongono ricette che porterebbero l’Italia fuori o ai margini dell’Europa e sulla via di pericolose avventure che le nuove generazioni pagherebbero a caro prezzo

Elezioni, Italia nella trappola di Lega e M5S? No, grazie

Può anche darsi che la campagna elettorale che si è chiusa venerdì, ma che era in realtà cominciata con il rovinoso referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre del 2016, non sia, come ricordano gli elettori più anziani, la peggiore in assoluto della storia della Repubblica, ma dire che è stata pessima è certamente dire poco. 

Nessuna cognizione del reale stato dell’economia italiana, nessun serio bilancio di quanto è stato fatto nella legislatura che finisce, nessuna consapevolezza e nessuna discussione dei problemi che riguardano il presente e il futuro dell’Italia e nessuna vera valutazione dei programmi, talvolta grotteschi, avanzati dalle diverse forze politiche. In compenso, molto conformismo e tanto semplicismo.

Hanno ragione gli economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi a lamentarsi, sul Corriere della Sera, del fatto che delle quattro priorità fondamentali del Paese – e cioè l’invecchiamento degli italiani, il debito pubblico, la crescita economica e  i rapporti con l’Europa – nessuna ha avuto nell’agenda elettorale lo spazio che meritava. E non ha meno ragione chi ricorda che tutti gli indicatori economici e finanziari – dal Pil all’occupazione, dallo spread all’export – sono, per quanto ancora insufficienti, indiscutibilmente migliorati rispetto all’inizio di una legislatura che non ha mai conosciuto tante riforme come questa.  

La narrazione dominante che accompagna da tempo l’Italia è talmente apocalittica e lunare che sorge il dubbio che il Jobs Act  che, piaccia o no, ha contribuito a creare un milione vero di nuovi posti di lavoro (anche se in parte precari) o che le riforme bancarie – che hanno portato alla luce gli scandali della banche venete – o il piano Industria 4.0, per non dire della legge sulle unioni civili, siano piovuti dal cielo o siano il frutto di un’allucinazione collettiva. 

Partendo dalla rimozione della realtà, è del tutto naturale che anche la maggior parte delle proposte delle forze politiche non stia né in cielo né in terra e sia solo una galleria degli orrori e un cocktail velenoso di illusorie promesse dispensate a un popolo che si presume incapace di intendere e di volere. Gli esempi si sprecano, ma forse il più sfacciato è quello dei Cinque Stelle, che arrivano a promettere un miracolistico taglio di 40 punti (!) del debito sul Pil in 10 anni accompagnandolo con la proposta di ridurre le tasse e di accrescere costose elargizioni come il reddito di cittadinanza. Ma anche l’accoppiata tra la flat tax e l’abolizione della Legge Fornero sulla pensioni, invocata a pieni polmoni dalla Lega di Salvini e avallata da Silvio Berlusconi e da Forza Italia, non è da meno ed è una mina nei conti pubblici che dovrebbe spaventare chiunque non sia un allocco. 

E’ vero, come ha osservato un intellettuale finissimo come Michele Salvati, che i partiti non sono tutti uguali e che nel valutarli bisogna tener conto, prima ancora dei programmi, dei fatti e delle prove di governabilità e del corretto atteggiamento verso l’Europa che alcuni hanno dato e altri no. Ma il sentiment prevalente della mediocre campagna elettorale appena finita, è di rabbia e di rancore verso chi ha governato a cui si imputa di non aver risolto problemi epocali (la globalizzazione, l’immigrazione) che non potranno mai essere risolti in un solo Paese. L’insufficienza della crescita economica, dell’occupazione stabile e dei salari  e la paura del futuro spiegano l’indignazione o la sfiducia delle nuove generazioni che, senza averne colpa, sanno di avere di fronte una realtà peggiore di quella vissuta dai loro padri, ma la rabbia, anche se fondata, resta sterile se non ha uno sbocco politico e se non sostiene cambiamenti che non siano né velleitari né effimeri. Verrebbe da dire che proprio l’ingannevole semplicismo, che è una delle cifre distintive del populismo, è il virus contagioso degli apprendisti stregoni che circolano sulla scena politica.

Ecco perché sarebbe uno spaventoso passo indietro se dalle urne uscisse vincente non chi ragiona di più ma chi urla di più e si affermasse uno scenario politico, questo sì allucinante, basato sulle convergenze parallele dei due populismi in voga, quello della Lega di Salvini e quello dei Cinque Stelle di Di Maio, più simili e più vicini – sull’economia, sull’Europa e sulla gestione dell’immigrazione – di quanto non vogliano far apparire.  

Occhio, dunque, alle trappole del 4 marzo. Si fa presto a scassare tutto con un voto irrazionale. E a dir poco  folle sarebbe rinunciare – come ci promettono due azzeccagarbugli come Matteo Salvini e Luigi Di Maio – al vantaggio di stare in un’Europa che ci ha regalato 60 anni di pace e in un’Italia e che è finalmente uscita dalla recessione e che ha bisogno come il pane di modernizzarsi per crescere di più  e per cancellare ingiustizie vecchie e nuove, sociali e generazionali. Ma un futuro migliore è fatto di riforme e non di controriforme,  di progresso nella stabilità e non di pericolose avventure.

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