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Elezioni Francia, chi è veramente Marine Le Pen? L’anticamera della Frexit e una porta aperta a Putin

Se la leader dell’estrema destra francese vincesse il ballottaggio contro Macron, l’Europa subirebbe un colpo mortale (la Frexit) e a festeggiare sarebbe Putin, con cui la dama bionda ha sempre avuto rapporti molto stretti

Elezioni Francia, chi è veramente Marine Le Pen? L’anticamera della Frexit e una porta aperta a Putin

Quanto è forte Marine Le Pen, la leader dell’estrema destra francese che, puntando a strappare a Emmanuel Macron la poltrona di presidente della Repubblica, sta tenendo tutta l’Europa con il fiato sospeso? L’hanno votata più di otto milioni di persone, precisamente 8.133.828, pari al 23,1% dei suffragi totali, contro i 9 milioni (9.783.058) di francesi che hanno scelto Macron. Ma il suo “esercito” fa acqua da tutte le parti.

Marine le Pen, nata Marion Anne Perrine Le Pen, 54 anni il prossimo agosto, due volte sposata, tre figli, avvocata prima di dedicarsi totalmente alla politica, proprio quando la poltrona più ambita e sognata sembra a un passo dall’essere conquistata, deve fare i conti con una enorme mancanza di quadri da utilizzare “dopo” la vittoria.

Partiamo dal suo partito: Ressemblement National non è “una famiglia politica”, ma la proprietà di una “famiglia in politica”, come ha sostenuto Jean-Michel Salvator, editorialista del giornale Le Parisien che ha contato nel clan sette gruppi: il padre (Jean Marie), la figlia candidata (Marine), le figlie militanti (Yann e Marie Caroline), il cognato consigliere (Philippe Olivier), il compagno della nipote (Jordan Bardella), l’ex compagno della candidata (Louis Aliot), la nipote ribelle (Marion Maréchal). Tutti si occupano del partito, tutti vivono del partito.

E anche il suo direttorio nazionale lascia a desiderare: quattordici membri, di cui nessuno con esperienza di governo. Sarebbe singolare, ma non troppo, se fuori dal clan ci fosse un fila di dirigenti e leader pronti a impegnarsi e a governare; invece, almeno sul palcoscenico, si vede solo il deserto. E i tecnici? Dove sono i tecnici che di volta in volta i partiti tirano fuori dal cappello quando è necessario? Buio anche in questo caso.

Gli esperti che assistono Marine Le Pen nella elaborazione dei programmi non solo sono sconosciuti, ma anche anonimi, nascosti dietro il nome di un think tank ,“Horace”, di cui si sa solo che è un gruppo composto da una cinquantina di alti funzionari, dirigenti di imprese e rappresentanti di professioni liberali che lavora per lei dal 2016. Il creatore, André Rougé, oggi deputato europeo del partito, scherza perfino sull’anonimato: “Quando ci incontriamo ci mettiamo il cappuccio”.

Con chi costituirebbe il Governo

Ecco perché la domanda che si fanno gli opinionisti francesi in queste ultime ore non è inutile: con chi costituirebbe il Governo se Marine Le Pen vincesse sul serio le elezioni? La risposta della candidata è stata finora sempre la stessa: “Prima vinco, poi distribuisco i posti”. E un po’ fanfaronando: “Comunque ho nomi per fare tre governi, non uno solo”, come ha sostenuto in una intervista a Le Figaro. Ma nessuno ci crede veramente perché in Francia la composizione del governo del “dopo” è quasi sempre un segreto di Pulcinella. E’ sempre Jaen-Michel Salvator a ricordarlo: nel 1988 Mitterrand fece sapere che voleva Rocard; nel 1995 Chirac scelse Alain Juppé; Sarkozy nel 2007 indicò François Fillon; Hollande nel 2012 puntò su Jean-Marc- Ayrault. E per arrivare a Macron, nel 2017 non si conosceva il nome del premier, ma quello dei suoi principali ministri sì.

Nella sfida di cinque anni fa almeno era circolato il nome di Nicolas Dupont-Aignan, il deputato di “Debout la France”, “Francia in piedi”, un altro movimento di destra e sovranista, che al primo turno di queste elezioni ha preso il 2,1%: sarebbe stato lui il premier di Marine Le Pen se avesse vinto lei le presidenziali. Stavolta l’unica cosa che gli elettori hanno potuto sapere è che il suo primo ministro sarà “un politico che dovrà gestire una squadra che rispetterà la coerenza del progetto”. Veramente troppo poco. Insomma si è più orientati a pensare che attorno a lei ci sia un vuoto professionale e ideale che le impedisce perfino di rivelare gli identikit di chi si assumerebbe il compito di realizzare il suo “avventuroso” programma, come esso è considerato dai principali osservatori.

Il fatto è che il compito non è facile per la “dama bionda”, come la chiamano quei francesi che non vogliono neppure pronunciare il suo nome: molti dei suoi seguaci più preparati hanno lasciato la nave per raggiungere il più estremista Eric Zemmour, il cui progetto politico, sostenuto da Vincent Bolloré, il grande capo di Vivendi, che gli italiani conoscono bene essendo azionista di Tim, ha guadagnato l’8%.
Perché non imbarca lui allora? Perché una cosa sono i voti dell’ex polemista del Figaro, che ovviamente Marine non rifiuta, un’altra è dire ad alta voce che nel suo governo ci sarà anche il razzista, xenofobo, antimusulmano, anti europeo e filo putiniano. Se lo facesse verrebbe giù la sua maschera di “donna di Stato”, come si è presentata stavolta agli elettori, conservatrice quanto si vuole, ma tutto sommato perbene e capace di stare nei salotti buoni della borghesia.

Lo stesso isolamento Marine Le Pen lo vive in Europa. Se diventasse presidente della Repubblica francese con chi realizzerebbe quella parte del programma che disegna un’“alleanza europea di Stati-Nazioni libere e uguali” che dovranno “sostituirsi progressivamente all’Unione Europea”? Alla tavola dei 27 membri della Ue, a eccezione della Polonia e dell’Ungheria, non c’è nessun governo di estrema destra euroscettica. Al PIS polacco e al Fidesz ungherese possono essere aggiunti la Lega in Italia, la FPO in Austria e l’AfD in Germania, ma – fanno notare gli opinionisti – al di là dell’euroscetticismo e della avversione per gli immigrati, tutti questi partiti non hanno in comune una coerenza ideologica come i Verdi o i socialdemocratici. Tanto più che la guerra della Russia all’Ucraina ha mescolato di più le carte, visto che la Polonia è anti Putin senza tentennamenti, mentre il partito di Le Pen con il Cremlino ha rapporti più che stretti, a cominciare dal debito di 9 milioni di euro che il suo partito ha contratto nel 2014 con una Banca russa e che deve ancora restituire.

Tradotto in salsa presidenziale vuol dire che magari la battaglia per la Confederazione di Stati-Nazione potrebbe essere messa da parte, ma se Marine vincesse le elezioni sicuramente procederebbe sulla strada di una Frexit che non “direbbe il suo nome”, come temono gli analisti nazionali. Poiché il suo programma prevede il primato del diritto francese su quello europeo e quindi potrebbe scegliere quello che intende rispettare e quello che preferisce ignorare. Vale a dire: addio alla politica migratoria, addio al diritto di asilo, addio ai trattati di libero scambio e alla libera di circolazione dei beni e delle persone all’interno del mercato unico. E ancora fine della politica comune di Difesa. Perché ovviamente il programma di Marine Le Pen prevede l’uscita dalla Nato e una Francia sistemata in autonomia fra i grandi blocchi; che vuol dire riconoscere solo uno dei due in Europa, la Russia.

Tutto ciò fa paura perché “la signora bionda” a differenza che nel 2017, se è improbabile che vinca, non di meno la sua vittoria non è impossibile. Tutto è nelle mani del vero ago della bilancia di queste elezioni, il radicale di sinistra Jean-Luc Mélenchon. Come saranno divisi i suoi oltre 7 milioni di voti (7.712.520, pari al 22%)? Secondo gli ultimi sondaggi c’ è un terzo di chi lo ha votato che preferirà l’astensione perché “mai” Macron; o perché, secondo gli slogan degli studenti di estrema sinistra che protestano nelle università, “né lui né lei”.

Un altro terzo dei “mélenchonisti” voterà per il presidente uscente seguendo anche le ultime indicazioni di Mélenchon che sta insistendo per chiarire che Le Pen e Macron “non sono equivalenti”. Ma l’ultimo terzo potrebbe addirittura votare per Marine: non solo per una questione di vicinanza di ideali (in politica estera soprattutto), ma perché “tutti tranne Macron”. È accaduto già nella storia. Non sarebbe la prima volta che a sinistra non si distingua il Male “vero”.

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