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Elezioni Argentina, “la dollarizzazione di Milei sarebbe un disastro: ecco perché”

Intervista allo scrittore argentino Nicolas Goszi, già ghostwriter della campagna peronista nel 2015: “Il Paese non può permettersi le ricette proposte da Milei, che infatti non ha la fiducia nemmeno della comunità finanziaria”. “Rinunciare al peso e privatizzare tutto aiuterebbe solo i ricchissimi”

Elezioni Argentina, “la dollarizzazione di Milei sarebbe un disastro: ecco perché”

“Se vince Milei e fa ciò che ha promesso in campagna elettorale, non rischiamo una crisi come quella del corralito nel 2001, ma ci sarà una escalation di tensioni e violenza nel Paese”. Con queste parole, lo scrittore e ghostwriter di politica argentino, Nicolas Goszi, commenta con FIRSTonline le elezioni presidenziali argentine di domenica 22 ottobre, che vedono favorito l’outsider di estrema destra Javier Milei, candidato anti-establishment che ha ribaltato i pronostici alle primarie di agosto, davanti al ministro dell’Economia uscente Sergio Massa, candidato del centrosinistra peronista e “beniamino” delle elite internazionali, a cominciare Fondo Monetario Internazionale che è creditore con Buenos Aires per oltre 50 miliardi di dollari. “La dollarizzazione totale dell’economia proposta da Milei – spiega Goszi, che alle presidenziali del 2015 aveva lavorato alla campagna di Daniel Scioli, poi sconfitto dal liberale Mauricio Macri – non può funzionare in Argentina: converrebbe solo ai ricchissimi, nemmeno alla classe media”.

Dottor Goszi, Milei può dunque vincere già al primo turno?

“La sensazione nel Paese è che tutto possa accadere, ma non credo. Nei sondaggi è dato al 35%, per vincere al primo turno dovrebbe raggiungere il 40% e staccare gli avversari di almeno 10 punti. Però potrebbe vincere al ballottaggio, questo sì”.

E sarebbe davvero un problema per l’Argentina?

“Sì, perché mentre nel Paese c’è forte bisogno di politiche sociali, con la povertà al 40%, le sue ricette sono tutte a favore dei grandi capitali”.

È dunque il candidato dell’establishment?

“In realtà no, perché il suo programma è talmente confuso e ultra-capitalista che paradossalmente non piace alle elite, né nazionali né straniere. Milei si definisce anarco-capitalista, e infatti non è visto con fiducia nemmeno a Wall Street. E’ troppo indisciplinato, fa proposte assurde come la vendita di tutte le riserve di oro per risolvere la crisi, e poi gli viene imputato di non garantire governabilità. Milei non ha alle spalle un partito strutturato, è una scheggia impazzita, mentre persino leader simili a lui come Donald Trump e Jair Bolsonaro avevano il sostegno di almeno una parte dell’establishment”.

Milei le ricorda più Trump o Bolsonaro? E reggerebbe il confronto con qualche leader europeo, del presente o del passato?

“Milei è un po’ Trump un po’ Bolsonaro, anche se con delle differenze. In economia ad esempio è simile a Bolsonaro, anche se l’ex presidente brasiliano è ancora più conservatore sui temi etici. Con Trump pure ci sono punti di contatto, ma il tycoon aveva la fiducia di parte del mondo finanziario per lo meno. In Europa non saprei, lì ci sono in alcuni movimenti delle tendenze neofasciste che sinceramente non riscontro in Milei. Lui è più un turbo-liberale, i leader europei sono più nazionalisti”.

Eppure, come Trump, Bolsonaro e altri leader sovranisti, Milei piace al popolo.

“Sì, perché gli argentini sono delusi e arrabbiati, e hanno ragione. In realtà molti di loro non seguono abbastanza la politica per capire fino in fondo la sua proposta, ma andranno a votare lo stesso, perché in Argentina è obbligatorio, facendosi prendere dalla rabbia e credendo a Milei quando dice che la situazione sta peggiorando da otto anni e che lui può cambiare le cose. Ma lui vuole privatizzare tutto, vuole licenziare molti lavoratori statali per lasciare campo libero alla liberalizzazione selvaggia e alla dollarizzazione totale dell’economia. E vuole anche rinforzare le forze di polizia per reprimere le probabili tensioni dovute alla sua azione. Questo è preoccupante, non dico che si rischi la guerra civile ma si andrebbe incontro a una spirale di violenza”.

Che cosa significa dollarizzare l’economia? 

“Significa dire addio al peso, alla Banca centrale e fare come hanno finora fatto solo 2-3 Paesi nel mondo, perché appunto è una formula che difficilmente funziona. In America Latina la vediamo già in Ecuador e a El Salvador, ma l’Argentina non se la può permettere. Il cambio è ai massimi storici, chi si può permettere di compare dollari oggi? Solo i super ricchi. Il problema è che molti voteranno per Milei pensando che riceveranno gli stipendi in dollari anziché in pesos, ma non funziona così. I più poveri, ma anche la classe media, ci rimetteranno un sacco”.

Secondo lei il tasso di povertà al 40% in Argentina è sovrastimato o sottostimato?

“Direi, come spesso accade, che è sottostimato”.

Rischiamo dunque una crisi come quella del 2001, con la corsa agli sportelli bancari?

“Direi di no, perché all’epoca avevamo meno inflazione, ma avevamo anche meno lavoro. Oggi il lavoro c’è ma l’inflazione è più alta. Secondo gli economisti non sembra esserci il rischio imminente di una iperinflazione, come avvenne sul finire degli anni Ottanta”.

Che cosa pensa invece dello sfidante, il peronista Sergio Massa?

“Intanto che a differenza di Milei lui sì, è uomo dell’establishment: piace alle elite finanziarie argentine e internazionali, così come la candidata del centrodestra Patricia Bullrich, che però ha poche chance di arrivare al ballottaggio. Massa come ministro dell’Economia ha fatto quello che poteva, quando è arrivato la situazione era già compromessa, è stato ragionevole nel trattare con l’Fmi. Lui sarebbe diciamo il male minore, anche se l’Argentina avrebbe bisogno di più giustizia sociale, mentre lui appartiene all’ala centrista della sinistra. In Argentina oggi la sinistra per così dire vera non vale più del 5%. L’unica chance per Massa è che chi non è andato a votare alle primarie lo faccia il 22 ottobre”.

2 thoughts on “Elezioni Argentina, “la dollarizzazione di Milei sarebbe un disastro: ecco perché”

  1. Da 100 anni l’argentina soffre di inflazione perché la casta politica non vuole fermare il populismo. Non dica cavolate se non conosce come si vive nel paese.

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