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Elettrodomestici e Pc, negozi in crisi ma corre l’online

Le grandi catene devono restare aperte per garantire i consumatori ma registrano crolli verticali delle vendite. La concorrenza poco trasparente dei colossi online e il clamoroso caso dell’Olanda

Elettrodomestici e Pc, negozi in crisi ma corre l’online

-60 per cento e con punte anche del 75 per cento. Il crollo delle vendite dei negozi di elettrodomestici e elettronica di consumo (quasi tutti impavidamente aperti) è disastroso. Eppure quasi tutti sono aperti come del resto aveva consentito di fare il DPCM 11 marzo del Governo, confermato di recente dal DPCM del 10 aprile, in quanto devono garantire la disponibilità off e on line di telefoni, pc, tablet, elettrodomestici grandi e piccoli (ironia della sorte, dei piccoli apparecchi il 90 per cento è roba cinese di bassissima qualità).

“Nessuno li ringrazia, nessuno gli dà atto di fare il proprio “dovere” come imprenditori e cittadini a proprio rischio – sottolinea Davide Rossi direttore generale di AIRES (che riunisce i rivenditori del settore) – e questo nonostante che il crollo dei fatturati riguardi un comparto già da qualche anno in grandi difficoltà e nonostante che sarebbe più conveniente chiudere per molti retailer. I clienti però ringraziano, anche perché non solo è loro consentito di uscire e di andare a fare acquisti nei punti vendita di elettrodomestici ma anche di uscire dal Comune di residenza se questa è l’unica possibilità per trovare il bene del quale hanno bisogno”.

Il comunicato di AIRES garantisce che le attività di vendita si svolgono in un contesto che rispetta scrupolosamente tutte le disposizioni sanitarie emanate dal Ministero della salute e dalle regioni. “lo facciamo-sottolinea il comunicato – per essere vicini agli italiani, anche in questi momenti difficili e intendiamo continuare per i nostri clienti, per le nostre imprese, per i nostri lavoratori e le loro famiglie”. Restano però pochi margini di autonomia finanziaria perché, ad aggravare la situazione, si allunga l’ombra sempre più minacciosa delle vendite on line del gigante, Amazon, che sull’onda della pandemia del Covid-19, incamera crescenti margini e quote di mercato soffiandole ai negozi “fisici” e anche alle loro piattaforme online.

Tanto per conoscere le dimensioni di questo enorme business, il fondatore di Amazon, Jeff Bezos ha accresciuto il suo patrimonio-cassaforte, grazie al Covid-19, nei primi tre mesi dell’anno di ben 24 miliardi di dollari . “Amazon continua a registrare introiti strepitosi danneggiando il commercio tradizionale, esercitando una concorrenza non trasparente e che non conosce le difficoltà logistiche e burocratiche degli operatori con negozi fisici – denuncia Rossi – è urgente che a livello europeo si decidano e si applichino strumenti fiscali adeguati, prelievi forzosi o formule particolari dell’IVA ”.

Lo scenario dei 1500 punti vendita Aires tradotto in numeri rivela un’altra pesantissima forma di dumping esercitato, tra l’altro, da paesi con governi sovranità come quello olandese, che, da un lato rifiuta qualsiasi forma di sostegno ai paesi in difficoltà come l’Italia. E da un altro incassa enormi surplus dal commercio “irregolare”, artificioso, parallelo di enormi quantità di prodotti e in particolare di quelli dei settori elettronici ed elettrotecnici. La prova ce la rivela Davide Rossi. “La spesa annua media italiana in apparecchi elettronici ed elettrotecnici è di 250 euro, quella della Francia 320 e quello della Germania 500 euro . Ma ciò che incredibile e apparentemente inspiegabile è che la spesa media in Olanda è di 1.100 euro” . Un mercato drogato dal fatto che le sedi delle multinazionali – collocate in Olanda – possono liberamente effettuare ordinativi senza limiti alle fabbriche facendoli passare come merce per il mercato olandese che ha notoriamente dimensioni molto ridotte. E quindi vendere alle loro filiali le merci importate in Olanda. I profitti derivanti da questo commercio irregolare, gonfia i bilanci delle sedi delle multinazionali e dell’Olanda ovviamente, ma impoverisce quelli dei paesi dove le multinazionali versano ridicole quantità di tasse. E i bilanci delle migliaia e migliaia di rivenditori.

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