Condividi

Doris: “O Mediolanum o Medioevo e se Berlusconi volesse vendere la sua quota io compro”

di Ugo Bertone – Il fondatore e leader di Mediolanum si prepara a lanciare la nuova campagna della banca del Biscione che considera la “Apple del sistema risparmio” e parla dei rapporti con il suo socio storico, Silvio Berlusconi. Su Mediobanca dice: “Noi restiamo e facciamo parte del nuovo patto”. E ancora: “Niente investimenti nei paradisi fiscali”.

Doris: “O Mediolanum o Medioevo e se Berlusconi volesse vendere la sua quota io compro”

“O Mediolanum o Medioevo”. Abituatevi fin d’ora alla prossima campagna della banca del Biscione che, al solito, avrà per testimonial mister Ennio Doris in persona, più energico che mai a pochi giorni dal compleanno. Perché il 3 luglio mister Mediolanum compie 71 anni, magari in compagnia del socio e amico Silvio Berlusconi. “Non lo so ancora – risponde Doris – l’anno scorso è venuto alla mia festa e ha cantato fino a notte fonda. Ci vediamo poco, io e Silvio. E in quelle occasioni si parla di calcio. E di musica”. Quest’anno, però, potreste parlarte di affari: magari Fininvest potrebbe voler vendere. “Non mi risulta. Non credo che il mio socio sia venditore. Ma se volesse farlo io sono compratore”. Comincia così l’incontro con Ennio Doris, al solito pieno di idee e di iniziative, convinto com’è di avere creato la “Apple del sistema risparmio”, capace di combinare i vantaggi dell’elettronica (che taglia i costi) e dell’approccio personalizzato, via promotori (“perché per le operazioni più importanti, quelle che portano valore aggiunto, uno ha bisogno di un interlocutore fisico”).

In Mediolanum, caso mai Berlusconi vendesse, lei è compratore. E in Mediobanca, invece, è venditore?

“Assolutamente no. Noi restiamo e faremo parte del nuovo patto”.

Eppure si era pensato a un raffreddamento dei vostri rapporti. Non è stato lei a dichiarare “meno strategica” la quota in Esperia che controllate assieme a Mediobanca?

E’ vero. Esperia per noi è meno strategica di un tempo, perché allora non eravamo presenti nel mercato del wealth management mentre oggi il nostro private banking è una realtà consolidata. Ma questo non vuol dire che siamo venditori. Il private banking è un settore estremamente interessante, non fosse che per una ragione: non assorbe capitali”.

Eppure voi non avete comprato, a differenza della vostra concorrenza, società di wealth management in paradisi fiscali.
“E’ così. Preferisco investire in Germania e in Spagna”.

Forse perché vi condiziona il fatto di esser soci di Berlusconi? Una vostra presenza a Montecarlo susciterebbe più di una curiosità, non crede?

“Sono d’accordo. Ma non ci saremmo andati comunque: non intendiamo far correre ai nostri clienti rischi inutili. Noi siamo una banca di sistema”.

In che senso?

“Dopo lo scoppio della crisi di Lehman non solo abbiamo tenuto i nostri clienti al riparo dal crack dell’istuituto Usa, pagando con soldi della mia famiglia e di Fininvest il prezzo per i bond non andati a buon fine. Ma abbiamo garantito liquidità alle banche italiane. In quei giorni abbiamo investito più di 7 miliardi in obbligazioni del sistema bancario italiano”.

Eppure ora sfidate i banchieri tradizionali all’insegna dello slogan “O Mediolanum o Medio Evo”. Ma sono tutti dei ruderi i vostri concorrenti?

“Per carità, non me lo faccia dire. Ma il sistema bancario merita una riflessione”.

Facciamola.

“La crisi economica è partita alle banche e ora sta tornando alle banche. I motivi sono tanti. L’onda d’urto della crisi del credito si è trasmessa ai clienti delle banche. Sono aumentate le insolvenze che, a loro volta, si sono ripercosse sugli utili delle banche. Nel frattempo, per reggere all’impatto della crisi, si sono tenuti bassi i tassi ma questo ha inciso sulla redditività del sistema. Di qui una crisi, dicamo così, congiunturale che può essere corretta nel breve perché quest’anno si faranno meno accantonamenti e i tassi stanno risalendo. Poi, però, ci sono i problemi strutturali”.

Quali sono?

“Innazitutto Basilea 3 prevede più controlli e più regole da rispettare. Di conseguenza, aumentano i costi perché le banche dovranno assumere nuovi specialisti. Secondo, gli aumenti di capitale diluiranno gli utili”.

C’è altro?

“Molto altro. Perché tutto questo coincide con l’esplosione di Internet. La diffusione della banca elettronica è scontata, con un effetto rilevante sulle commissioni. Il risparmio sui costi, in cambio, è limitato se non puoi incidere sul personale. Insomma, i ricavi calano subito, per i costi ci vuole tempo. Ma la rivoluzione va avanti veloce. Fino a dove? Nel Nord Europa ormai i clienti che non utilizzano Internet sono il 14 per cento del totale”.

Ma l’Italia non è la Scandinavia…

“Ci metteremo qualche anno in più, ma la tendenza c’è. Insomma, per 500 anni il modello della banca si è basato sul rapporto sede centrale- filiali. Uno era tanto più forte quante più filiali aveva sotto controllo. Oggi il modello è cambiato”.

E voi l’avete capito per tempo. Vero?

“Io ho avuto la fortuna di creare la banca nel ’97, quando certe tendenze erano già sull’orizzonte. Mi avessero dato la licenza un paio d’anni prima avrei commesso degli errori che non ho fatto”.

Altri vi hanno preceduto. Ci sono robuste banche on line in giro per il mondo. Anzi, per l’Italia.

“Vero. Ma le faccio notare che le transazioni elettroniche, non solo in Italia, si limitano alle operazioni più semplici, a minor valore aggiunto: prelievi, versamenti, pagamento bollette e così via. Ma quando uno deve prendere una decisione importante, fare un mutuo che lo impegna per dieci o vent’anni, vuole parlare con una persona in carne ed ossa. Vuole un interlocutore fisico, insomma. Non a caso nei nostri call center ci sono solo dipendenti con un contratto bancario, che ogni giorno fanno mezz’ora di formazione per essere in grado di rispondere alle esigenze del cliente”.

Uomo più macchina, insomma.

“Perfetto”

Più un modello molto aggressivo. Mi spiega come fate a guadagnare sul conto deposito offrendo il 3,5% ai clienti?

“Sì, il 3,5 che corrisponde al 2,55% netto. E’ semplice: ci perdiamo. E’ un’operazione promozionale che, all’inizio, prevede un costo. Ma la nostra scommessa va assai al di là del deposito: i clienti che abbiamo conquistato con il conto Freedom oggi hanno collocato il 35 % dei loro risparmi nel nostro gestito, un settore per noi rilevante”.

Già, forse troppo rilevante. Il risparmio in Italia ristagna…

“Ma non è vero! Al contrario, aumenta. Sì, leggo anch’io le statistiche. Ma quelle misurano solo la paura, l’ansia di non farcela. Non i comportamenti collettivi. Ma lo sa che dopo Lehman su 100 statali che avevano intenzione di cambiar macchina, 73 ci hanno rinunciato subito dopo il crack? Era gente che non rischiava né il posto, né il reddito. Ma, per istinto, si è tirata indietro”.

E ha risparmiato di più.

“Già, capita da noi, Ma succede anche in Spagna”.

Crede che l’industria del gestito sia matura per una stagione di acquisizioni e di accorpamenti?

“Se fosse controllata da privati, la ristrutturazione sarebbe già avvenuta. L’attività è diventata molto più costosa e impegnativa anche per le nuove regole previste dalla Mifid e dintorni. Quindi ci vogliono più investimenti. Ma i tempi di reazione delle banche sono diversi. Nel frattempo le piccole reti dei promotori stentano sempre di più a trovare compratori”

Crede che ci sia un futuro per i consulenti indipendenti?

“No. La gente è abituata a pagare l’avvocato, non il consulente”.

Ma le abitudini cambiano. O no?

“Io ho avuto una pessima esperienza in Germania. Lì abbiamo preso accordi con una rete di consulenti indipendenti”.

E come è andata?

“Sono scappato inorridito. Quella è gente che fa consulenza per il proprio portafoglio. L’unica cosa che interessa è massimizzare le commissioni facendo una gara al rialzo tra le società. La vera garanzia per il cliente è la trasparenza garantita da grandi strutture che ci mettono la faccia”.

Come fa lui: “O Mediolanum o il Medio Evo”. E stavolta lo dirà pure in spagnolo. In tedesco, non l’ha ancora imparato.

Commenta