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Donne e politica: Women agenda nell’interesse del Paese

Per la prima volta, 70 anni fa, le donne espressero il loro diritto al voto politico e contribuirono alla fine della monarchia. Con Jotti, Anselmi e Marinucci sono state protagoniste di una stagione che ha creato un sistema di protezione sociale tra i più avanzati e aperto la strada al divorzio e all’aborto. Ora serve un cambio di passo che faccia della riduzione delle disparità di genere una riforma strutturale per la crescita.

La nascita della Repubblica italiana avvenne 70 anni fa con il contributo decisivo delle donne. Il referendum tra monarchia e repubblica fu, dopo le elezioni amministrative svoltesi nel 1944  in alcune regioni, la prima volta in cui le donne italiane parteciparono al voto politico. Dopo decenni di lotte e discussioni, iniziate già alla metà dell’Ottocento senza mai arrivare a un risultato, questo diritto fondamentale le donne italiane se lo conquistarono grazie al ruolo importantissimo giocato durante e dopo la guerra. Non solo come combattenti, a pieno titolo e con grande coraggio, nelle brigate partigiane, ma per la tenuta del Paese, delle famiglie, della società che  durante la guerra e nei primissimi anni della ricostruzione si era poggiata tutta sulle spalle e sull’intelligenza delle donne.

Se guardiamo al ruolo delle donne nella politica italiana credo si possa rintracciare una linea di separazione tra la generazione che dopo la guerra affermò il diritto di voto attivo e passivo e rimase protagonista della vita politico-parlamentare dei successivi quarant’ anni, e la generazione successiva. La prima generazione delle donne nella politica repubblicana, quella per intendersi di Tina Anselmi, Nilde Jotti, Elena Marinucci, proprio in virtù di quella vittoria referendaria, seppe realizzare nel nostro Paese uno dei sistemi di protezione sociale per le  donne tra i più avanzati al mondo, a cominciare dalla legislazione sulla tutela della  maternità  prima e dopo il parto e sul diritto delle donne in attesa di un bambino al mantenimento del posto di lavoro. E poi la legge sul divorzio e quella sull’aborto, temi che si erano affermati grazie anche al contributo dei movimenti femministi  che le donne meno giovani in Parlamento avevano saputo recepire e portare avanti. Conquiste che sembravano impensabili in un Paese cattolico come l’Italia e che invece proprio le donne avevano imposto e affermato nella cultura e nel costume della nostra società.

La generazione successiva non riuscì ad avere altrettanta forza nell’imporre i temi dell’agenda politica e in particolare i temi economici e sociali. Le donne che da settant’anni votano, nelle istituzioni  sono state per lo più confinate, sia a livello locale che a livello nazionale,  nei ruoli che tradizionalmente si “attagliano ” alle donne (la scuola, le pari opportunità) senza però riuscire a permeare di questi temi, modernizzandole, le politiche  economiche nazionali.

La disoccupazione che oggi colpisce le donne più degli uomini (+ 19% circa!!), la mancanza di strumenti per la conciliazione dei tempi tra lavoro e famiglia, la  disparità salariale tra uomini e donne presente in tutti i settori, il paradossale disinvestimento dalle politiche dell’education negli ultimi quindici anni, sono il segno della debolezza della presenza femminile negli ultimi decenni, una debolezza che ha fatto sì che in primo luogo e con particolare pesantezza su di loro si scaricasse l’ impatto della crisi.

Ora qualcosa sta cambiando. La generazione più giovane dà per acquisite le conquiste delle generazioni precedenti e non ha complessi di inferiorità. Le quote introdotte a livello elettorale ma anche nei cda delle società quotate e delle società pubbliche stanno allargando la presenza femminile nei luoghi delle decisioni. Ciò che ancora manca è un cambio culturale della politica ma anche degli opinion leaders che trasformi la riduzione delle disparità di genere in una riforma strutturale non solo in termini di diritti di uguaglianza tra i sessi ma, in primo luogo,  come leva fondamentale per la crescita e per lo sviluppo sostenibile. I documenti delle Nazioni Unite e dell’OCSE sono pieni di raccomandazioni in questo senso ma sono sicuramente tra le più ignorate. Oggi l’impegno civile e politico delle donne deve porsi questo traguardo: imporre una “women agenda” per la politica economica e sociale, nazionale ed europea. Non è solo nell’interesse delle donne; come settant’anni fa è soprattutto nell’interesse del Paese e delle future generazioni.

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