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Di Maio parla come un robot ma il sindacato va rifondato

L’impennata del leader del M5S contro il sindacato non va presa troppo sul serio perchè è suggerita da un algoritmo della Casaleggio associati ma il tema della rifondazione del sindacato, troppo arroccato nella difesa dell’esistente, è all’ordine del giorno – L’ostilità alle riforme e all’innovazione è alla base della regressione del sindacato che deve invece mettere lo sviluppo al centro della propria strategia ripartendo dai luoghi di lavoro

Le dichiarazioni del grillino Luigi Di Maio sul sindacato (“Cambiate oppure a cambiarvi ci penseremo noi”) hanno sollevato, come era prevedibile, un mare di critiche. Ma, giudicare Di Maio nello stesso modo in cui si giudica un uomo politico è un errore, perché Di Maio non lo è. È un “robot”, privo di autonomia di pensiero e che, da quando è stato selezionato come leader dei Cinque Stelle (co con ben 35.000 clic !) dice soltanto quello che, di volta in volta, l’algoritmo Rousseau (gestito dalla Casaleggio associati) gli suggerisce di dire e che ,di solito, corrisponde a quello che la pancia del Paese vuole sentirsi dire.

È stato cosi con lo Jus Soli e con il referendum sull’Euro, prima minacciato e poi ritirato, ed è cosi ora  con il Sindacato. L’uomo-robot non va dunque preso troppo sul serio, ma il tema che l’algoritmo ha sollevato, invece, si, perché, effettivamente, il sindacato è in crisi, perché fatica ad assolvere alla propria funzione e, soprattutto, perché appare arroccato nella difesa dell’esistente e dei piccoli e grandi privilegi degli occupati e dei pensionati ai quali sembra disposto a sacrificare il futuro dei giovani.

Come è potuto accadere? È accaduto perché il sindacato, di fronte alla crisi, ha abbandonato il terreno della lotta per lo sviluppo. Ha cessato, cioè, di fare della crescita economica, dell’aumento dei salari e della produttività, dell’innovazione e delle riforme il proprio cavallo di battaglia. Salvo lodevoli eccezioni il sindacato non ha promosso iniziative che incoraggiassero l’innovazione tecnologica, il riconoscimento del merito o l’aumento della produttività.

Al contrario, per molti, troppi sindacalisti, in particolare nei servizi e nel pubblico impiego, l’innovazione e la produttività rappresentano una minaccia dalla quale difendersi con battaglie di retroguardia. Altro che bandiere dello sviluppo.

Si tratta di una notevole regressione, anche solo rispetto a pochi anni fa quando il sindacato, magari sbagliando, poneva al centro della propria azione rivendicativa i temi della organizzazione del lavoro (il superamento della catena di montaggio, le 150 ore per la formazione, etc..) e la richiesta di riforme sociali e di investimenti al sud. Magari non era tutto oro quello che luccicava, ma al sindacato di oggi sembra quasi che la crescita non interessi più .

Appare molto più incline a fare proprie le lamentazioni sulla modernità e sullo sviluppo piuttosto che rivendicarle. E’ questo atteggiamento ostile all’innovazione e alle riforme che ha fatto si che oggi il sindacato si trovi in potenziale conflitto con le nuove generazioni ed è su questo immanente contrasto con i giovani che i 5 Stelle fanno leva per conquistare il voto dei giovani. Se il sindacato non cambia atteggiamento e non affronta apertamente, con una battaglia che è anche culturale, il problema dello sviluppo, rischia davvero di soccombere.

Per prima cosa il sindacato deve intestarsi la battaglia per la crescita economica, per l’innovazione, per l’aumento della produttività e per il riconoscimento del merito e della professionalità. Deve rivendicare una radicale riforma della Formazione e affermare i l principio della Formazione Continua e di un nuovo rapporto fra scuola e lavoro.(in pratica, l’esatto contrario di quello che i sindacati della scuola hanno fatto in questi anni).

Deve compiere una scelta chiara in favore della contrattazione articolata da cui deve ripartire fabbrica per fabbrica, ufficio per ufficio, per contrattare innovazione, produttività e professionalità. Deve ripartire dai luoghi di lavoro per contribuire a creare un nuovo sistema di relazioni industriali, non più fondato sul conflitto e neppure sul semplice confronto ma su di una comune assunzione di responsabilità.

La contrattazione articolata è anche la via maestra per affermare il principio della Formazione continua sul lavoro e per contribuire dal basso alla riforma dello stato sociale ,legando una parte del salario di produttività al welfare aziendale. Da li può, inoltre, ripartire anche una battaglia seria per una riforma del mercato del lavoro che affermi il principio che il lavoratore che ricerca il suo primo lavoro o che, avendolo perso , ne cerca uno nuovo deve avere il supporto di agenzie, pubbliche o private, davvero capaci di aiutarlo in questa ricerca e deve potere contare su una tutela del reddito sino a quando questo lavoro non l’abbia trovato.

Se vuole recuperare un rapporto con i giovani il sindacato deve avere una visione del futuro che i giovani possano condividere e che oggi gli manca. I 5 Stelle nella loro miseria culturale e politica pensano di potere utilizzare lo scontento dei giovani per metterli contro i Partiti, contro i sindacati e contro la democrazia rappresentativa. Ma il loro tentativo è destinato a fallire perché il loro movimento è da sempre contrario allo sviluppo, alla modernità e all’innovazione .

Quello dei Cinque Stelle è un movimento che ha in sospetto la scienza, che teme le onde magnetiche, che è contrario ai vaccini e che da credito alla teoria delle scie chimiche. E’ un movimento che esprime la paura per lo sviluppo, non la fiducia in un futuro migliore. Non è perciò un movimento che può conquistare stabilmente i giovani. I quali in realtà vorrebbero vivere in una smart society, aperta all’innovazione, al cambiamento e alla mobilità. Non vogliono una società egualitaria (alla Grillo) ma una società basata sul merito e sulla competenza.

Una società che ai giovani non offra soltanto un sussidio (Il reddito di cittadinanza) ma delle opportunità, una chance. Questo tipo di giovani è l’esatto contrario del militante Cinque Stelle (uno vale uno) ed è esattamente a questi giovani che il sindacato dovrebbe oggi rivolgersi difendendo il loro valore in azienda ed aiutandoli a promuoversi nel mercato del lavoro.

Per farlo il sindacato deve cambiare. Di Di Maio può benissimo disinteressarsi. Ma non può disinteressarsi dei giovani che deve saper coinvolgere nella sua battaglia che, oggi come ieri, non può che essere quella per lo sviluppo e il lavoro.

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