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Dalla Scozia alla Catalogna: i conti dell’indipendentismo non tornano

In Europa sempre più aree ricche pensano che sia meglio sostenersi da sole come la Scozia, che ha un Pil come il Regno Unito, o la Catalogna che produce il 20-25% del Pil spagnolo – Ma al di là del populismo a buon mercato, in Scozia come in Catalogna i conti dell’indipendentismo non quadrano perchè i costi sono tali da annullare i vantaggi.

Dalla Scozia alla Catalogna: i conti dell’indipendentismo non tornano

I venti di indipendentismo che soffiano in Europa si fanno sempre più minacciosi. Ad alimentare queste spinte sono sicuramente (all’origine) ragioni di carattere storico, culturali e politiche, ma più recentemente di origine quasi esclusivamente economiche. Il fatto che queste aree, specie in una situazione di generalizzata congiuntura negativa, godono di privilegi e di risorse (naturali e non) particolari rispetto ad altre regioni dello stesso Paese e della stessa nazione. In altre parole, sono aree ricche che credono, a torto o a ragione, di potersi sostenere da sole e soprattutto sono convinte che sia uno spreco, quello di  dover spartire il loro “tesoro” con il resto del Paese.
La Scozia è un caso emblematico: ha un Pil analogo a quello del Regno Unito, oltre ad essere il principale produttore di petrolio dell’Ue. Finiti dunque gli anni in cui dal Nord del Regno si scendeva a Sud per cercare il successo. Ora il flusso del business, tolta la City di Londra, è al contrario.

Dal canto suo la Catalogna produce il 20-25% del Pil della Spagna. Nella sua regione risiedono le principali industrie del Paese. Guarda caso come nei Paesi Baschi (naturalmente molto meno di una volta), dove l’autonomismo è da sempre una bandiera e dove si è pericolosamente radicalizzato con atti di terrorismo e migliaia di morti in tutta la Penisola.
Difficile capire fino in fondo che conseguenze possa avere in Europa, una Scozia indipendente dal Regno Unito. Se il referendum scozzese dovesse passare è certo che il movimento autonomista catalano incasserebbe una bella vittoria e avrebbe delle buone chance di vincere il suo (peraltro già dichiarato incostituzionale dal Governo di Madrid) in novembre. Un effetto domino, che potrebbe contagiare i vicini Paesi baschi e poi spostarsi in altre nazioni europee dove la “voglia” di autonomia di certe regioni è in sensibile aumento.

La domanda che ci si pone, però, è se queste regioni abbiano o meno la forza di sostenersi con le proprie gambe, perché se è vero che l’autonomia dal punto di vista teorico è sostenibile, dal punto di vista concreto pone invece dei seri problemi. Uno su tutti la moneta, ma anche tutto ciò che riguarda previdenza, sanità, trasporti, educazione scolastica, ricerca…..

La Catalogna, ad esempio, è geograficamente situata in una zona privilegiata: al confine con la Francia, affacciata sul mare….ma allo stesso tempo legata a doppio filo con Madrid per quello che è la vita corrente di tutti i giorni. Staccarsi dal Governo centrale vorrebbe dunque dire investire centinaia di milioni di euro per riorganizzare il sistema: da quello fiscale a quello monetario e industriale. Facciamo il caso della Caixa, colosso del credito tra i principali del Paese: che vantaggi potrebbe avere dall’indipendentismo? Nessuno. Verrebbe così a mancare un’ importante fonte finanziaria di sostegno all’economia locale. Quanto di peggio, dunque, si possa pensare in questo momento.

La conclusione di tutto ciò è che a spingere sull’indipendentismo sono soprattutto i partiti autonomisti e una parte dell’opinione pubblica convinti che con un po’ di populismo ben raccontato si possa diventare più ricchi con più occupazione e più servizi sociali per tutti. In realtà il rovescio della medaglia è che per garantirsi la piena libertà bisognerebbe sostenere costi tali (almeno all’inizio) da vanificare ogni vantaggio competitivo per molto tempo.
Ne vale dunque la pena? Crediamo proprio di no.

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