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Credito cooperativo, la riforma si giocherà sui piani industriali

La questione informatica è più che mai al centro della riconfigurazione dei raggruppamenti delle Bcc dopo la riforma del credito cooperativo che spinge all’ampliamento dell’offerta di servizi digitalizzati, alla diversiifcazione dei rischie alla razionalizzazione dei costi

Il mese di ottobre si chiude con due eventi bancari in palese contrapposizione dal punto delle scelte industriali dei protagonisti.

Il primo riguarda le deliberazioni assunte dalle assemblee di Banco Popolare di Verona e di Banca Popolare di Milano, favorevoli alla fusione delle due entità, per costruire il terzo gruppo per dimensione del mercato bancario italiano.
Si possono riconoscere in tale decisione, oltre al convincimento delle basi sociali, manifestatosi attraverso chiare maggioranze, gli input, che, con insistenza, continuano a provenire da Fmi, Bce, Governo e Banca d’Italia, in favore di un maggior grado di consolidamento del sistema bancario italiano. Gli effetti attesi hanno consentito di superare tanto le resistenze in ordine ai maggiori requisiti di capitale richiesti da Bce, pari a 1 mld, per il Banco popolare, quanto le complessità, a livello progettuale, delle nuove strategie di business e di integrazione delle macchine operative, a cominciare dai sistemi informatici. In attesa di più definiti giudizi del mercato e dell’effettiva capacità di governo della nuova entità, si deve al momento osservare la positiva novità del caso.

Il secondo evento, svoltosi quasi emblematicamente nella stessa unità di luogo (Verona) e di tempo (soltanto due giorni prima), è rappresentato dalla convention delle Bcc promossa da Cassa Centrale Trentina, le cui scelte, se saranno portate a compimento, avranno esito esattamente opposto. Lo “scisma tridentino” mira ad aggregare all’incirca un quarto delle Bcc italiane per costruire un secondo gruppo bancario cooperativo autonomo e in concorrenza con quello di Iccrea, facendo abbandonare definitivamente la possibilità di una soluzione unitaria.

Mettere a raffronto i due eventi è utile per sottolineare le contraddizioni che ancora caratterizzano l’industria bancaria italiana.

Il sistema delle grandi banche popolari, ormai ope legis trasformatesi in società per azioni, è entrato nella lunghezza d’onda delle soluzioni aggregative, con altri poli possibili (Ubi, Bper, Creval, Popolare di Sondrio) e con Popolare Vicentina, Veneto Banca e Banca Etruria nella condizione di preda, a seguito dei rispettivi dissesti.

C’è da attendersi che, a scanso di qualche imprevedibile sussulto, il processo di consolidamento proceda nella direzione appena avviatasi, con auspicabili benefici a medio termine per i vari portatori di interesse e con essi per l’intero sistema.

Dal canto suo, il credito cooperativo, nella sua configurazione complessiva, rappresenta uno dei primi cinque operatori bancari nazionali.

Con un’articolazione periferica di 340 banche e innumerevoli organismi centrali e regionali, di natura sia strumentale (banche specializzate, assicurazioni, società di servizi) sia istituzionale (federazioni, fondi di garanzia vari, volontari e obbligatori), il sistema opera con oltre 3000 sportelli, ha una quota di mercato attorno al 7% di impieghi e di depositi, 20 mld di patrimonio, 30.000 dipendenti. Tale configurazione rivela un sovradimensionamento che si traduce in una ridotta efficienza d’ordine strutturale, che ha finito per controbilanciare i benefici, anche sociali, dei servizi resi nel tempo ai territori italiani, secondo obiettivi mutualistici, piuttosto che di massimizzazione dei profitti.
Le autorità di vigilanza sovranazionali e nazionali chiedono che venga finalmente posta mano alle citate inefficienze attraverso piani industriali sostenibili, pena il declino della categoria.

L’industria bancaria cooperativa italiana ha nel contempo assunto rilevanza sistemica quanto alla propria capogruppo Iccrea Banca – che, come tutte le banche europee ‘significant’, è dal 2014 sottoposta alla vigilanza di Francoforte – e la riforma del credito cooperativo, volta a rafforzare l’intero impianto, evitando dispersione di risorse, mira alla stabilità complessiva del sistema, visto come un unicum.

Il contratto di coesione ne sarà lo strumento realizzativo, imponendo la devoluzione di sostanziali prerogative di impresa da parte di tutte le BCC ad una capogruppo, avente almeno 1 miliardo di capitale. Un secondo gruppo richiederà altrettante risorse, come elemento costituente e, una serie di azioni, anch’esse onerose, per eliminare qualsiasi interdipendenza/sovrapposizione con l’altra entità, a cominciare dagli organismi chiamati a intervenire in caso di crisi e a garanzia dei depositanti.

La normativa di vigilanza sul gruppo bancario cooperativo verrà resa definitiva nel prossimo mese di novembre dopo il recepimento delle osservazioni formulate, inter alia, dal movimento cooperativo stesso e dalla BCE, nella sua funzione di supervisore europeo.

Soprattutto queste ultime indicazioni debbono far riflettere su un futuro che non potrà basarsi né su vocazioni autonomistiche prive di adeguati programmi né su appelli di maniera all’unità del movimento, tanto meno se ricercati attraverso pasticciate soluzioni di governance, come è sembrato scorgere in alcuni più recenti tentativi del vertice di Federcasse.

Le osservazioni che Bce invita ad introdurre nella normativa enfatizzano, infatti, più di quanto previsto nel testo di Bancaditalia, le capacità di controllo della capogruppo, per assicurare coerenza tra l’operatività e le strategie delle singole componenti con le politiche e gli obiettivi del gruppo bancario nel suo insieme, ribadendo l’importanza di funzioni ben congegnate di risk management, controlli di conformita`, audit interno e pianificazione.

Sul punto cardine riguardante l’esigenza della capogruppo e delle banche affiliate di dotarsi di meccanismi di integrazione dei sistemi informativi e dei processi di gestione dei dati, che assicurino affidabilità e correttezza delle rilevazioni dei rischi a livello individuale e consolidato, Bce sottolinea l’opportunità di introdurre un termine per la realizzazione di un sistema informativo unificato di non più di tre anni dalla stipula del contratto di coesione. Nel periodo intermedio sarà necessaria l’adozione di meccanismi di integrazione adeguati, prima di giungere all’assetto definitivo.

I temi su cui si punta per rafforzare l’impianto regolamentare sono quindi di natura prettamente industriale, centrati su sistemi fortemente strutturati di controllo dei rischi, la cui debolezza è stata causa delle crisi bancarie più acute, e su soluzioni tecnologiche, che tengano il passo con processi informativi di automazione e digitalizzazione del banking.

In altri termini, si tratta di puntare sull’ampliamento dell’offerta di servizi digitalizzati, sulla diversificazione dei rischi e sulla razionalizzazione dei costi, tutti profili in rapporto diretto con la scala di produzione.

Senza dubbio il tema tecnologico occupa rilevanza centrale, in quanto deve farsi carico dei deficit funzionali e architetturali che, sotto profili diversi e non marginalmente, impattano al momento tanto sul sistema Icrrea quanto su quello trentino. Pur rappresentando i due maggiori schemi di riferimento, nel mondo cooperativo si annoverano poi scelte che, per quanto meno rappresentative, utilizzano sistemi di altri outsourcer, facendo dell’integrazione delle piattaforme questione essenziale per ottenere l’uniformità richiesta dagli organismi di vigilanza.

Ma la questione informatica non si limita alla creazione di un sistema unico. Riguarda anche l’ammodernamento del cosiddetto core banking system, cioè la riscrittura organica delle principali applicazioni gestionali (anagrafe, conti correnti, prestiti, servizi di pagamento, estero, finanza e tesoreria, contabilità generale), secondo il più recente approccio delle architetture informatiche orientate ai servizi (cosiddette Soa), che presentano vantaggi assoluti in termini di performance, consistenza e costi di manutenzione, rispetto ai sistemi ora in uso.

Il rinnovamento continuo delle applicazioni di front office, inseguito in questi anni, ha infatti finito per posporre scelte di ammodernamento strutturale degli applicativi di base secondo i criteri sopra accennati, essenziali per le nuove funzionalità di web banking, banca digitale e in mobilità, che saranno incentrati sulla rapidità e sulla sicurezza di accesso da remoto ai servizi offerti.

Gli investimenti, non certo di entità contenuta, richiesti da questa trasformazione, si prestano ovviamente ad essere meglio distribuiti quanto più ampia è la base delle banche aderenti.
Inoltre, nel compiere questa scelta di rinnovamento dell’infrastruttura applicativa, possono essere valutate le soluzioni già presenti sul mercato ad opera dell’industria mondiale del software bancario, che presentano caratteri di maggiore efficienza e flessibilità rispetto alle nostre più autoctone soluzioni, con possibilità di agganciare il progressivo spostamento della frontiera tecnologica dell’industria anche da parte delle banche di minori dimensioni.

La gestione all’interno di questi sistemi di alcune peculiarità del mercato bancario italiano non sembrerebbe rappresentare un ostacolo insormontabile, relativamente ai tempi di realizzazione di queste implementazioni.

L’importante è considerare il tema tecnologico come strettamente connesso con quello del business, perché è su questa interazione che si giocherà strategicamente la partita più importante per competere sul mercato bancario, entrato in una fase di auspicabile riconfigurazione.

Siamo quindi convinti che l’augurio “Ut unum sint” da rivolgere a tutte le componenti del credito cooperativo non sia soltanto un richiamo alla solidarietà e alla fratellanza cooperativa, ma soprattutto il solido fondamento per scelte industriali convincenti e sostenibili per il rilancio dell’intero settore, da promuovere con il contemporaneo rinnovamento della classe dirigente chiamata a gestire lo scenario della riforma e le più complesse implicazioni di governance.

E siamo altrettanto certi che il richiamo finale contenuto nelle osservazioni di Bce all’impianto regolamentare delineato da Banca d’Italia circa le proprie indefettibili competenze in materia di rilascio della licenza bancaria a enti creditizi, tra i quali nuovi gruppi bancari cooperativi, lasci intendere i criteri di severità a cui essa subordinerà le autorizzazioni, in funzione della stabilità del sistema nel suo complesso, piuttosto che di segmentazioni che si presentano fin da subito più costose e nel medio termine incerte circa gli effettivi vantaggi per le Bcc.

A buon intenditor…

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