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Credit Suisse, chi vince e chi perde con il rialzo dei tassi Usa: “Non vendere azioni troppo presto”

CREDIT SUISSE – La crescita del Pil e la solidità dei dati sull’occupazione suggeriscono che la Fed potrebbe alzare il costo del denaro prima di quando il mercato si aspetti – Credit Suisse: “Rimanere sovrappesati fino al primo aumento dei tassi” – Mercati volatili verso la fine dell’anno ma azionario più alto – Chi vince e chi perde con le mosse della Fed

Credit Suisse, chi vince e chi perde con il rialzo dei tassi Usa: “Non vendere azioni troppo presto”

Anche l’hamburger non se la passa bene. Da McDonald le vendite sono calate del 2,5% per i guai in Cina (lo scandalo sicurezza) ma anche per “la persistente debolezza del mercato americano”. Ma l’economia americana pare tutto sommato aver ripreso a girare. Il Pil del secondo trimestre è balzato inaspettatamente del 4% e i sussidi di disoccupazione sono sotto controllo. Se il dato diffuso questa settimana ha leggermente deluso le attese indicando nuove richieste superiori alle stime, si tratta comunque di un livello vicino ai minimi degli ultimi 8 anni e una media mobile a quattro settimane ben al di sotto della media dell’anno passato e vicina ai livelli del 2006. Così già da qualche tempo esperti ed analisti ragionano sulla tempistica del prossimo rialzo dei tassi, oggi ai minimi storici tra lo 0 e lo 0,25%. Su questa ipotesi ha frenato recentemente il vicepresidente della Federal Reserve, Stanley Fischer:  la banca centrale americana non opterà per una stretta monetaria nell’immediato, ha detto spiegando che la ripresa negli Stati Uniti e nelle economia globali è stata fino ad ora “deludente”. Il mercato si sta preparando per il giugno 2015 mentre tra gli economisti c’è chi ipotizza che l’ora x scatti nel terzo trimestre del 2015.

Per gli strategist di Credit Suisse c’è invece il rischio concreto che il rialzo possa arrivare ben prima. La tempistica comunque poco importa: gli esperti alla fine suggeriscono di rimanere comunque sovrappesati sulle azioni fino all’aumento dei tassi. “Non si deve vendere troppo presto – scrive Andrew Garthwaite nella Global equity strategy del 13 agosto – dal momento che in passato le azioni hanno raggiunto il picco non prima di quattro mesi prima del primo aumento dei tassi e dal picco al rialzo hanno corretto in media solo del 3%. Dopo il primo aumento dei tassi, la correzione delle azioni ha oscillato tra il 6% e l’11%, ma i mercati tendono a recuperare in media il 4% nei sei mesi dopo il primo rialzo”.

LA FED SI PREPARA AD ALZARE I TASSI PRIMA DI QUANTO CI SI ASPETTI

Gli economisti di Credit Suisse ritengono che il primo rialzo dei tassi di interesse possa arrivare nel terzo trimestre 2015. La stima è stata anticipata rispetto alla precedente del quarto trimestre ma è comunque tuttora più ottimistica del mercato che sta al momento prezzando l’aumento per giugno del prossimo anno. Tuttavia, anche all’interno della stessa Credit Suisse la previsione non è così semplice. I colleghi dell’area Global equity strategy nella loro nota del 13 agosto, ritengono che ci sia un “chiaro rischio” che l’aumento possa verificarsi prima sia di quanto prevedono gli economisti sia di quanto prezza il mercato.  E questo per alcune specifiche ragioni.

La crescita del Pil Usa potrebbe essere più forte di quanto ci si aspetta: i miglioramenti dell’occupazione sono solidi, le ore lavorate sono sopra la media 2004-2007 e alcuni indicatori sono sui massimi; l’immobiliare ha deluso nel 2014 ma ci si aspetta che la debolezza sia transitoria perché le case sono economicamente abbordabili rispetto al passato e le banche stanno registrando una solida domanda di mutui; il settore privato ha ridotto il proprio debito; la disponibilità delle banche e le intenzioni dei ceo sono coerenti con una ripresa degli investimenti delle aziende; l’inflazione non sta più rallentando e le paghe hanno smesso di scendere. Infine, gli esperti di Credit Suisse ritengono che al momento la Fed è molto più disposta a “prendere un rischio di inflazione” (restringendo la politica monetaria troppo tardi) piuttosto che un rischio di fermare troppo presto la ripresa in corso tirando il freno troppo presto. E questo perché negli anni passati ci sono state troppe “false albe”.

IN ARRIVO VOLATILIT
À, MA NON VENDERE TROPPO PRESTO

Quando la Fed aumenterà i tassi, lo farà per la prima volta dal giugno 2006. Per capire l’impatto sulle azioni, gli strategist di Credit Suisse si rifanno agli aumenti dei tassi dell’agosto 1977, del dicembre 1986, del febbraio 1994 e del giugno 2004. “L’S&P500 – spiega il team guidato da  Garthwaite sempre nella nota del 13 agosto  – tende a raggiungere il picco (con l’eccezione del 1977) vicino al momento in cui i tassi sono saliti. Sia nel 1986 sia nel 1994,il mercato azionario Usa ha raggiunto il picco nello stesso mese in cui sono stati alzati i tassi mentre nel 2004 il picco ha preceduto il rialzo di quattro mesi. In ogni caso, i sell off dell’azionario prima dell’aumento dei tassi sono stati di solito piccoli.

In media l’S&P500 ha perso dal picco al primo aumento dei tassi il 3%. Fa eccezione sempre il 1977 con un calo del 9%”. Dopo l’aumento dei tassi in genere il listino ha sperimentato maggiore volatilità. “Mentre gli aumenti hanno storicamente condotto a un a maggiore volatilità, non hanno segnato la fine dei mercati bull In media sei mesi dopo il rialzo le azioni sono salite del 3,7%”, rilevano ancora gli analisti della banca d’affari svizzera. In tre dei quattro periodi analizzati, entro 18 mesi dal primo rialzo dei tassi l’S&P500 è salito di almeno il 10%, con l’eccezione del 1977 quando ci sono voluti due anni per guadagnare il 10%.

E a questo giro? Per Credit Suisse i mercati potrebbero diventare volatili verso la fine dell’anno per le due seguenti ragioni:
1) l’analisi dei quattro periodi suggerisce che i mercati tendono a raggiungere il picco quattro mesi prima del primo rialzo (che gli strategist di Credit Suisse pensano possa verificarsi nel secondo trimestre, prima delle stime degli stessi economisti di Credit Suisse ). Il che significa che il picco potrebbe esserci per fine anno;
2)i mercati hanno corretto 4-5 settimane prima della fine del Qe1 e del Qe2. E, secondo quanto stimano gli economisti di Credit Suisse, la Fed completerà il programma di stimolo in ottobre, suggerendo anche qui possibili cadute a fine di quest’anno.

“La nostra ipotesi – spiegano gli strategist – è per una correzione del 5% per la fine di quest’anno e per un sell-off tra il 5 e il 10% tre mesi dopo il primo rialzo dei tassi (a metà 2015). In entrambi i casi riteniamo che le azioni saranno significativamente più alte dei livelli attuali prima che la correzione inizi e che il terreno perso verrà recuperato successivamente”.

CHI SONO I POTENZIALI VINCITORI?

Gli strategist di Credit Suisse individuano sei temi che potrebbero potenzialmente dare soddisfazioni:
1)    Chi guadagna in dollari. “Non solo ci aspettiamo che la crescita Usa possa essere più solida delle attese – spiegano – ma riteniamo anche che l’euro si indebolirà ancora significativamente rispetto al dollaro dal momento che i cinque principali supporti per l’euro stanno venendo meno”: a) dal meeting di giugno della Bce il tasso Eonia è caduto sotto il tasso Usa e i rendimenti dei bond a dieci anni reali sono coerenti con un euro più debole; b) le Pmi europee si sono mostrate molto più forti di quelle americane nel primo trimestre, tuttavia questo trend si è già invertito e gli effetti di questo sul cambio tendono a esserci a distanza di sei mesi; c)l’euro è stato fino a oggi supportato da un surplus record della bilancia dei pagamenti, tuttavia Credit Suisse ritiene che questa situazione cambierà quando la domanda inizierà a recuperare; d)la Fed non espanderà più il proprio bilancio dopo ottobre 2014, mentre la Bce lancerà i Tltro a settembre.

La debolezza dell’euro, ricordano gli esperti, è centrale per la ripresa dell’Europa: ogni 10% di perdita di forza della moneta unica aggiunge un 1% alla crescita nominale del Pil e un 10% agli utili per azione, dal momento che più della metà delle vendite europee arrivano da fuori l’area euro. Gli strategist rilevano infatti che c’è una chiara correlazione tra l’indebolimento dell’euro e il miglioramento delle revisioni dei profitti. “I potenziali vincitori dell’indebolimento dell’euro – conclude il team guidato da Garthwaite – sono quei settori che hanno un’alta proporzione di vendite negli Usa e una correlazione negativa con l’euro. Queste caratteristiche si applicano specialmente all’healthcare, al pharma, ai beni di consumo. Al contrario banche, utility e real estate sono tra i potenziali perdenti”. Credit Suisse focalizza l’attenzione su quei titoli che hanno un’alta esposizione transnazionale (più ricavi in dollari di costi in dollari) come Richemont, Ericsson, Atlas Coop, Sap, Siemens e Volkswagen (tutte outperform per la casa d’affari). Tra gli italiani è citata Luxottica.

2)    Il secondo tema riguarda la tecnologia, uno dei settori che in questo momento offre diversi aspetti attrattivi tra cui una un’alta esposizione alla spesa corporate, valutazioni che sembrano convenienti e revisioni dei profitti positive. Più in generale gli esperti indicano di guardare a quei settori, come il tecnologico, che hanno un’alta leva operativa e una bassa leva finanziaria.

3)    Sovrappesare i settori ciclici. I Dati storici indicano che i ciclici fanno meglio quando i tassi delle obbligazioni a due anni salgono e mantengono la migliore performance nei mesi dopo il primo rialzo. Inoltre, a livello di P/e le valutazioni su questo settore non sono tirate rispetto ai difensivi e sono sotto la media sia negli Usa sia in Europa. Sono più care se si guarda invece al P/b.

4)    Il quarto tema dei possibili beneficiari riguarda l’aumento degli investimenti (capex) che sono visti in crescita anche con l’aumento dei tassi.

5)    I finanziari rimangono comunque un settore da sovrappesare. Agli analisti di Credit Suisse piacciono soprattutto le banche europee (overweight) e le assicurazioni continentali

In questo scenario non mancano infine i potenziali perdenti tra cui per gli esperti di Credit Suisse, va collocato il credito, i titoli domestici europei non ciclici  con un’alta leva finanziaria (utilities, telecom e real estate per esempio), i titoli ad alto dividendo, nel complesso i titoli americani penalizzati da un dollaro forte. Alcuni Paesi emergenti sono infine ancora a rischio, come per esempio Brasile, Tuirchia e Sud Africa.

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